Marco Biagi (Bologna, 24 novembre 1950 – Bologna, 19 marzo 2002) è stato un giuslavorista italiano.
Docente di diritto del lavoro in diverse università italiane, a partire
dagli anni novanta, ha avuto numerosi incarichi governativi come
consulente e consigliere di diversi ministeri del Governo Italiano.
Il 19 marzo 2002 venne assassinato da un commando di terroristi appartenenti alle Nuove Brigate Rosse.
Determinante nella redazione della legge è l'argomentazione sostenuta
da Biagi fin dagli anni ottanta nella tesi di laurea con la quale
conseguì la cattedra di diritto del lavoro, secondo cui nel codice
civile italiano il potere organizzativo e direttivo dell'azienda spetta esclusivamente al datore di lavoro,
e non può quindi essere sindacato o sottoposto a giudizio di merito
dalla magistratura del lavoro. Nella risoluzione dei licenziamento
sarebbe quindi illegittima un'ordinanza di reintegrazione nel posto di
lavoro, potendosi la controversia risolvere al massimo con un'indennità
pecuniaria. I contratti di lavoro flessibili, piuttosto che la libertà
di licenziamento in un contratto a tempo indeterminato, sono visti in
questo modo non soltanto come una via per creare o mantenere nuova
occupazione, ma come una questione di diritto e legalità nei confronti
dell'imprenditore.
I risultati della legge Biagi sono stati oggetto di forti dibattiti:
da una parte coloro i quali la difendono, sottolineandone l'effetto
positivo sul ricambio dell'occupazione, dall'altra chi la contesta
ritenendo che essa abbia soltanto aumentato la precarietà
dei lavoratori ed il numero di precari (ossia lavoratori senza garanzie
e tutele, anche per lavori che invece ne necessiterebbero).
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PS: Una vita umana non ha prezzo, c'è chi muore per un'idea propria su come legiferare il lavoro altrui; c'è chi muore a causa di questo modo di legiferare il lavoro.
umberto marabese
La formula maggiormente discussa è quella del contratto a progetto, una lavoro non subordinato (c.d. lavoro parasubordinato),
produttore di redditi che già dal 2001 erano assimilati fiscalmente ai
redditi da lavoro dipendente: questa formula è divenuta famosa perché
utilizzata come sistema per eludere la legge
ed evadere oneri contributivi e il minimo salariale sindacale previsto
dal rapporto da lavoro dipendente. Nella realtà la figura contrattuale
testé delineata è stata abusivamente modificata nella sua applicazione
per tramite di aziende e consulenti in cerca di facili soluzioni al
vincolo di un rapporto di lavoro subordinato. In effetti, per voce dello
stesso autore della legge, il prof. Michele Tiraboschi, il contratto a
progetto avrebbe dovuto proprio rimediare a quella distorsione, in campo
di tutela dei lavoratori, generata dall'introduzione delle CO.CO.CO.
(collaborazioni coordinate e continuative). Esse, sovente, venivano
utilizzate effettivamente per eludere gli obblighi normativi che
disciplinano lo svolgimento del rapporto di lavoro di tipo subordinato.
Di fatto non sono mancate, nella pratica, pratiche di mutazione dei
vecchi contratti di CO.CO.CO. nei nuovi contratti CO.CO.PRO. A ben
leggere la norma si può intuire quanto questo aspetto sia lontano dalla
volontà del legislatore e, quindi, abusivo. Non sono mancate, infatti,
diverse sentenze di merito sulla errata qualificazione di questi
rapporti di lavoro, inquadrati come parasubordinati in luogo di
effettivi rapporto di subordinazione. (Dott. Giovanni Catania,
consulente in Latina)
La legge in questione
è criticata dai giuristi anche solo dal punto di vista puramente
tecnico, senza entrare nel merito delle questioni; si tratta di fatto di
una legge complicatissima, composta da più di 80 articoli, applicabile
solo in piccolissima parte.
È da rilevare,
tuttavia, che la presunta complicazione della norma è in realtà più
legata ad aspetti esogeni che ad elementi endogeni interpretativi della
norma stessa. Infatti, la difficoltà di applicazione della L. 30/2003 è
insita nell'incapacità di alcune componenti sociali di dare corso alla
dismissione del contratto di lavoro a tempo indeterminato in cambio di
uno più flessibile, ma con scarse o nulle garanzie. L'ostracismo opposto
alla legge ha impedito, di fatto, di dar pieno corso agli effetti di
questa norma che innegabilmente ha mutato il panorama giuslavoristico
italiano. In più occasioni, l'organizzazione testé citata si è rifiutata
di aprire un dialogo costruttivo sulla riforma varata opponendo un
secco rifiuto alla sua applicazione e richiedendone ripetutamente
l'immediata abolizione.
La legge Biagi,
secondo i suoi sostenitori, avrebbe in realtà solamente dettato delle
norme per regolarizzare quei rapporti di lavoro, come quello a tempo
determinato oppure il job on call, che già esistevano, in una condizione di carente regolamentazione. Tali contratti non sono quindi stati creati dalla legge Biagi
(che tuttavia ha introdotto alcune figure contrattuali innovative
tuttora messe in discussione, come il "lavoro a chiamata" o come il
lavoro in coppia, detto anche job sharing). Secondo i sostenitori della legge, dunque, attraverso la legalizzazione del cosiddetto "lavoro flessibile",
la legge Biagi avrebbe ottenuto il risultato di aumentare il numero dei
lavoratori occupati regolarmente, offrendo tutele e discipline, sia
pure minime, a vantaggio del gran numero di "precari" privi di reali
diritti.
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