di Fabrizio Poggi
Sputnik-Estonia se ne è uscita ieri con uno spassoso “Estoni, se trovate una bomba atomica USA, telefonate al 112”, il numero unico per le situazioni d'emergenza. Un numero che pare convenga tenere bene a mente, non solo a quelle latitudini, perché quanto accaduto in Estonia potrebbe verificarsi in ogni momento e in qualsiasi paese in cui forze NATO svolgano le proprie missioni di “air policing” per la “difesa aerea e missilistica integrata”.
Solo per un caso, dunque, è stato un caccia NATO dell'aviazione spagnola Eurofighter Typhoon 2000, alle 15,44 di martedì scorso, a far partire “per sbaglio” un razzo aria-aria AIM-120 AMRAAM, nella zona di Otepää, nell'Estonia meridionale. Avrebbe potuto benissimo trattarsi di uno dei tanti caccia-bombardieri USA F-35 Lightning, con bombe nucleari a bordo, che pure sfrecciano nei cieli baltici, insieme ai caccia di vari paesi dell'Alleanza atlantica – Italia compresa – che partecipano da anni a missioni di pattugliamento contro il “pericolo di aggressione russa”. Avrebbe potuto trattarsi non dell'Estonia; il missile avrebbe potuto esser lanciato “per sbaglio” nei cieli a nord della Sicilia, mentre transitava un qualsiasi velivolo civile...
Il numero 112 avrebbe potuto fare ben poco...
Il comandante delle forze aeree estoni Riivo Valge ha confermato che il missile, il cui raggio d'azione è di 100 km, potrebbe esser finito nella parte russa del lago Peipus - per la storia: quello in cui la fanteria del principe Aleksandr Nevskij sconfisse i cavalieri teutonici, nella storica battaglia del 1242 immortalata da Sergej Eisenstein. Secondo altre fonti, la versione USA del missile AIM-120 AMRAAM può raggiungere i 180 km; ma potrebbe benissimo aver preso una traiettoria opposta ed essersi schiantato, sempre secondo il colonnello Valge, nei boschi del parco nazionale di Lahemaa, nel nord dell'Estonia.
Non è stata nemmeno esclusa la possibilità che non si sia attivato il sistema di autodistruzione in aria, anche se alcuni abitanti di Tartu testimoniano di aver udito un'esplosione più o meno alle 15,44. In ogni caso, non è dato sapere se i resti o il razzo intero siano stati ancora ritrovati e, per ogni evenienza, a Tallin dicono di chiamare il 112: l'ordigno conteneva pur sempre una ventina di kg di esplosivo.
Si può solo immaginare quale sarebbe stata la reazione dei media liberal - che in questo caso si sono limitati ad asettici trafiletti, senza minimamente accennare alla eventualità che al momento e nell'area dell'incidente potesse transitare un areo di linea – se, invece di un caccia NATO, per definizione “in missione di pace”, si fosse trattato di un aereo russo, velivolo aggressivo per antonomasia.
Non rimane che ricordare come, da gennaio al maggio scorsi, alla base estone di Ämari, siano rimasti di stanza anche quattro Eurofighter italiani della Task Force Air 36° Stormo che, secondo il sito dell'Aeronautica, erano schierati in stato di “Quick Reaction Alert” (QRA), ossia pronti a decollo immediato dietro ordine del Combined Air Operation Center (CAOC) di Uedem, in Germania (comando tedesco-belga), nell'ambito della missione NATO di Enhanced Air Policing “Baltic Eagle”.
Ora, a parte gli altisonanti nomi anglosassoni dati a queste missioni, che dovrebbero esaltare il legame italiano alle linee dell'Allewanza atlantica e l'italico contributo alla “difesa aerea estone”, per “assicurare l’integrità e la sicurezza dello spazio aereo della NATO”, il dato di fondo è che anche l'areonautica italiana viene a trovarsi spesso – la missione in Estonia non è che una delle tante, in altre aree dell'Europa orientale – in circostanze che, anche solo fortuitamente, rischiano di degenerare e coinvolgere il paese in situazioni di conflitto, in seguito a decisioni assunte a livelli extranazionali. E non tutti i missili finiscono nei laghi.
Si può solo immaginare quale sarebbe stata la reazione dei media liberal - che in questo caso si sono limitati ad asettici trafiletti, senza minimamente accennare alla eventualità che al momento e nell'area dell'incidente potesse transitare un areo di linea – se, invece di un caccia NATO, per definizione “in missione di pace”, si fosse trattato di un aereo russo, velivolo aggressivo per antonomasia.
Non rimane che ricordare come, da gennaio al maggio scorsi, alla base estone di Ämari, siano rimasti di stanza anche quattro Eurofighter italiani della Task Force Air 36° Stormo che, secondo il sito dell'Aeronautica, erano schierati in stato di “Quick Reaction Alert” (QRA), ossia pronti a decollo immediato dietro ordine del Combined Air Operation Center (CAOC) di Uedem, in Germania (comando tedesco-belga), nell'ambito della missione NATO di Enhanced Air Policing “Baltic Eagle”.
Ora, a parte gli altisonanti nomi anglosassoni dati a queste missioni, che dovrebbero esaltare il legame italiano alle linee dell'Allewanza atlantica e l'italico contributo alla “difesa aerea estone”, per “assicurare l’integrità e la sicurezza dello spazio aereo della NATO”, il dato di fondo è che anche l'areonautica italiana viene a trovarsi spesso – la missione in Estonia non è che una delle tante, in altre aree dell'Europa orientale – in circostanze che, anche solo fortuitamente, rischiano di degenerare e coinvolgere il paese in situazioni di conflitto, in seguito a decisioni assunte a livelli extranazionali. E non tutti i missili finiscono nei laghi.
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