È possibile definire un atto rivoluzionario? Di esempi ce ne sarebbero tanti. Quello del salto in alto di Dick Fosbury, ad esempio, che lasciò attonito un intero stadio e sgomenti i giudici di gara, che corsero immediatamente a consultare i regolamenti per vedere se fosse possibile girarsi di spalle durante il salto. Oppure Arturo Merzario, che si fermò durante la gara per salvare Niki Lauda… O ancora Giovanni Falcone, che sapeva di essere condannato ma decise lo stesso di andare avanti. E cosa dire di Piero Calamai, che invece di salvare la nave Andrea Doria decise di salvare 1500 persone distruggendo la sua carriera. Perché conosciamo tutti Schettino, ma nessuno conosce Piero Calamai?
Quando Platone descrive lo schiavo che si volta per uscire dalla caverna, la chiama “rivoluzione dolorosa”. Rivoluzione è l’atto di voltarsi e cambiare prospettiva. Dolorosa perché, se sei abituato alle catene, la prima sensazione che hai quando te ne liberi è di sofferenza, perché quando acquisiamo conoscenza la prima terribile ricompensa è quella di accorgersi della propria sterminata ignoranza....
Quando poi con i tuoi atti testimoni che “si può fare”, diventi il nemico di tutti coloro che stanno benissimo nel sentirsi dire cosa devono fare e che hanno dunque il grande vantaggio di poter imprecare contro la pioggia incessante e il governo ladro. È questo il vero salto quantico descritto dal perugino Nicola Donti, storico della filosofia, nel suo intervento tratto dal convegno “Flusso della vita e naturale capacità di amare” organizzato da UNIALEPH a Camogli lo scorso 7 aprile.
Davvero si può credere che l’uno percento di chi detiene il novantanove per cento della ricchezza mondiale voglia cambiare? Sembra un luogo comune, ma mon possiamo aspettare che gli altri cambino: la vera rivoluzione parte da noi stessi.---
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