mercoledì 14 febbraio 2018

dal blog di Maurizio Blondet // HUBERT SEIPEL - "PUTIN: "ORA PARLO IO".

 
Non ho mai letto libri su di me. So già tutto”.
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dal blog di Maurizio Blondet // HUBERT SEIPEL 

Il libro è avvincente. Descrive tutte le varie tappe della storia degli ultimi 30 anni circa. Tragedie dolorose come quella del sommergibile Kursk, per poi proseguire con le varie rivoluzioni colorate, a partire da quella della Georgia per finire con quella Ucraina. Al tema delle rivolte nell’est Der Spiegel dedicò due numeri intitolati “SRL DELLE RIVOLUZIONI”. Risalta il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche americane, e dei privati come Soros, in queste operazioni di sovversione.
Putin, personaggio politico che sa ascoltare, rivela subito una capacità di lettura della storia, della strategia e delle mire geopolitiche dell’occidente sulla Russia. Dopo la caduta del muro di Berlino e il successivo disfacimento dell’URSS ci furono parole di cooperazione tra l’occidente e la Russia. Furono discorsi verbali nei quali gli occidentali affermarono che la Nato non si sarebbe mai allargata ad Est per inglobare nella propria organizzazione i paesi che erano appartenuti al Patto di Varsavia. Tutti questi discorsi avevano ricevuto una credibilità dai leader della Russia di allora, quali Eltsin e Gorbaciov. “Sono stati superficiali e adesso non restano che parole al vento”, dice Putin degli ultimi leader dell’URSS. “Purtroppo i discorsi pubblici non hanno il valore di un accordo scritto”...

 LA GRANDE SCACCHIERA
Per Vladimir, però, è chiaro che l’occidente non abbia mai avuto alcuna intenzione di avviare una effettiva collaborazione. “Il resto della storia la trova in un libro” dice il Presidente all’intervistatore. “Legga Zbigniew Brzezinski”.
Figlio di un diplomatico polacco fuggito negli USA durante la seconda guerra mondiale, Brzezinski è stato consigliere dei presidenti democratici Lyndon Johnson e Jimmy Carter, continuando a svolgere il medesimo ruolo con Bill Clinton e Barack Obama. Nel suo libro LA GRANDE SCACCHIERA del 1997, Brzezinski descrisse il piano di espansione della NATO all’Est Europa nei minimi dettagli. ”
Anche il piano temporale previsto per le future mosse geopolitiche corrisponde in modo sorprendente agli avvenimenti reali. Il processo che il governo democratico USA aveva avviato con la presidenza di Bill Clinton negli anni Novanta fu portato avanti dal suo successore repubblicano George W. Bush e poi da Barack Obama. Ecco cosa scrive Brzezinski nel suo libro: “Nel frattempo l’UE avvierà i negoziati per l’adesione dei Paesi baltici e la NATO farà altrettanto – anche nel caso della Romania – in vista di un loro probabile ingresso a pieno titolo nel 2005. E in questa fase non è escluso che prima o poi anche gli altri stati balcanici possano soddisfare i requisiti previsti. (…) Tra il 2005 e il 2010, l’Ucraina, specie se avrà fatto progressi significativi sulla via delle riforme, assumendo sempre più un carattere di Stato centro europeo, dovrebbe essere pronta ad avviare seri negoziati sia con l’UE sia con la NATO”. A 20 anni dalla pubblicazione del libro, la corrispondente realtà europea attuale è sconvolgente.
Un politico europeo che  mise in questione  questo progetto fu il tedesco Frank – Walter Steinmeier ministro degli Esteri della Grosse Koalition: “Dobbiamo chiederci se non abbiamo sottovalutato quanto questo paese (l’Ucraina) sia in verità diviso e debole. Se non abbiamo preteso troppo da lui, chiedendogli di scegliere tra Europa e Russia; se non abbiamo sottovalutato la risolutezza della Russia, che è legata all’Ucraina da vincoli non soltanto economici, ma anche storici e sentimentali”.
Nel 2014 l’ex cancelliere Helmut Schmidt attaccò la commissione europea di Barroso soprattutto sostenendo che si fosse “immischiata troppo nella politica mondiale, sebbene la maggior parte dei commissari europei non ne capisca nulla”, come è emerso dal “tentativo di annettere l’Ucraina”, aggiungendo che il conflitto gli ricordava la situazione del 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. I due momenti stavano diventando “sempre più simili” e Schmidt non aveva nessuna intenzione di spianare la strada a un nuovo conflitto globale. “Ma il pericolo che la situazione si aggravi come nell’agosto del 1914 aumenta ogni giorno che passa”.
L’atto di divorzio tra Ucraina e Russia, pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea alla fine di maggio 2014, è lungo oltre duemila pagine.
A dicembre 2015 il bilancio del processo di separazione tra Ucraina e Russia è catastrofico: oltre 9000 persone hanno perso la vita. L’Ucraina è divisa e in bancarotta e così resterà ancora negli anni a venire. In Europa, a partire dal golpe di Kiev del febbraio 2014, è sceso di nuovo il gelo. Evidentemente la Guerra Fredda si è presa solo una breve pausa. Questo allargamento ad Est viene fatto a spese degli europei. Anche Putin paga un prezzo elevato. Il nazionalismo russo sta crescendo. L’economia del paese sta entrando nella crisi più grave dal 2008, non solo per via delle sanzioni, ma anche a causa del crollo del prezzo del petrolio. Tuttavia, dopo l’annessione della Crimea il capo del Cremlino gode di grande popolarità tra i suoi cittadini.
“La storia della Crimea è la nostra storia, il nostro orgoglio” dice Putin in occasione della cerimonia, visibilmente commosso, illustrando le motivazioni nazionali per l’annessione della penisola e della città di Sebastopoli alla Russia.
Non è solo l’elite politica russa a festeggiare con grandi ovazioni il suo discorso nel salone di San Giorgio del Cremlino. Il presidente tocca un tema che sta a cuore a tutto il popolo russo, che ama trascorrere le vacanze sul Mar Nero.
“La Crimea, ovvero Sebastopoli, una città leggendaria dal destino straordinario, la patria della flotta del Mar Nero”. E naturalmente era partito dalla premessa che gli “ucraini saranno per noi buoni vicini”, per poi aggiungere: “Tuttavia, la situazione sta prendendo un corso inaspettato” e “sia i russi sia gli altri abitanti dell’Ucraina stanno soffrendo della costante crisi politica che sta sconvolgendo il paese da ormai più di venti anni”.
Gli europei non si aspettavano una reazione simile e dopo aver agito da colpevoli idioti dicono di essere innocenti. Addirittura hanno agito per il meglio.
“Nessuno avrebbe potuto prevedere quanto rapidamente questa si sarebbe trasformata nella crisi più grave dai tempi della Guerra Fredda” afferma il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier nell’aprile 2014 per giustificare il fallimento del suo gruppo di Lavoro. Frasi fatte, tipiche dei politici che finiranno sui libri di storia per la loro impotenza e dell’inevitabilità di determinati sviluppi politici.
Anche se è costretta ad arrendersi all’ineludibile logica della necessità politica, “Non esistono alternative”, afferma Angela Merkel ogni qual volta decide di imporre la sua visione. Come se il conflitto si fosse originato da un momento all’altro e, soprattutto, dopo due guerre mondiali il compito fondamentale della politica non fosse quello di disinnescare per tempo scontri di una simile portata.
A cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale la giustificazione che non si sarebbe potuto fare altrimenti non ha guadagnato credibilità. È rimasta falsa come sempre è stata. In virtù del ruolo che ricoprono, i politici sono automaticamente coinvolti in maniera attiva nella creazione dei conflitti. “Se si arriva allo scontro”, aveva scritto poco prima della Grande guerra l’allora cancelliere Moritz August von Bethmann-Hollweg in un telegramma all’ambasciatore tedesco a Vienna Heinrich Von Tchirschky “bisognerà fare in modo di incolpare i russi dell’attacco”. Il Reich aveva spinto gli Asburgo ad attaccare la Serbia, ben sapendo che a quel punto sarebbe entrata in guerra anche la Russia. Nel suo libro del 1961 – ASSALTO AL POTERE MONDIALE. La Germania nella guerra 1914 / 1918 – lo storico tedesco Fritz Fischer aveva demolito il mito secondo cui la Germania avrebbe preso parte alla Prima guerra mondiale senza cattive intenzioni, scatenando uno dei più accesi dibattiti storiografici della Repubblica federale tedesca. Da allora la scusa standard dei politici ha perso di valore. La strategia di incolpare gli altri dell’esplosione di un conflitto è vecchia come il mestiere del politico.
Anche se l’attuale crisi è molto diversa da quella che portò alla Prima guerra mondiale, la Germania negli ultimi anni non è stata affatto un innocente intermediario tra l’Occidente e la Russia ma una parte in causa nel conflitto tra Ucraina e Mosca.. il tentativo di estendere fino alla Crimea l’area di influenza della NATO, nonostante le proteste di Mosca, è stata una decisione sbagliata presa da Angela Merkel e da lei portata a compimento.
Vladimir Putin aveva dato avvertimenti già nel discorso al parlamento tedesco nel 2001 e si era ripetuto alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel 2007. Davanti ai deputati nel palazzo del Reichtag di Berlino, Presidente da un anno, aveva esposto in termini del tutto espliciti il problema nelle relazioni con la NATO e l’Occidente. “Al giorno d’oggi capita che le decisioni vengano prese senza di noi. Solo dopo ci viene chiesto, con una certa insistenza, di esprimere il nostro accordo. (…) Si dice persino che senza la Russia sarebbe impossibile metterle in pratica. Dovremmo cheidercitutti se è una situazione normale, se questo nostro rapporto è reale. (…) Continuiamo a vivere sulla base di un vecchio sistema di valori. Parliamo di alleanza, ma la verità è che non abbiamo ancora imparato a fidarci gli uni degli altri”.
A diciassette anni di distanza nulla è cambiato.

Putin e il ruolo delle ONG straniere in Russia. Spie o agenti della società civile?
Una nuova legge approvata nel novembre del 2012 prevede che tutte le organizzazioni non governative devono con scopi politici devono registrarsi e dichiarare la provenienza dei loro finanziamenti. La nuova legge dovrebbe impedire, negli anni a venire, l’intromissione nella politica interna russa degli stati esteri. Alle Ong con fini politici che ricevono sovvenzioni da altri Paesi è infatti richiesto di registrarsi come “agenti esteri” e sottoporsi a rigorosi controlli sulle attività e sulla contabilità.
L’intento politico alla base di questo nuovo ordinamento è chiaro. Molte Ong russe ricevono finanziamenti dall’estero. Gli interessati dalla normativa, però, si dichiarano indignati. Finora nessuna organizzazione si è registrata come agente estero. Nel marzo 2013 le autorità hanno iniziato a svolgere i loro controlli e il procuratore ha fatto visita, oltre che alle Ong russe, anche alla fondazione Konrad Adenauer a San Pietroburgo vicino alla CDU di Angela Merkel e alla fondazione Friedrich Ebert (SPD) di Mosca.
L’acceso dibattito sul ruolo delle organizzazioni umanitarie straniere in Russia non è certo una novità. Queste non farebbero altro che il bene, si preoccuperebbero dei bambini in difficoltà, porterebbero avanti la battaglia contro l’AIDS e salvaguarderebbero la natura. Sono una sorta di missionari. Allo stesso tempo illustrano l’economia sociale di mercato, si battono per la libertà di stampa, e aiutano a trasformare la democrazia “guidata” di Putin in una società civile di stampo occidentale. L’Occidente come progetto universale, da realizzare ovunque e comunque. Una battaglia per vincere la quale vengono stanziati miliardi dollari ogni anno.
Gli USA finanziano da tempo, con chiari fini strategic, ong russe come Golos, che nel corso delle elezioni del 2011 e del 2012 ha mobilitato osservatori elettorali e diffuso una serie di notizie fasulle. Golos non agisce da sola. Centinaia di Ong organizzano seminari sulla disobbedienza civile o le tecniche di comunicazione alternativa per gli oppositori. Washington sostiene azioni legali reali o presunte. Sono queste le ragioni che hanno spinto il governo russo ad approvare la legge sulla registrazione delle organizzazioni umanitarie sponsorizzati dai paesi esteri.
La normativa interessa anche Memorial, la più importante ong russa, che riceve gran parte delle donazioni dall’estero, dalla fondazione Heinrich Boll, o da quella del miliardario americano George Soros. L’associazione fu fondata nel 1989 dal dissidente e premio Nobel per la pace Andrej Sacharov, allo scopo di restaurare la memoria delle vittime della repressione sovieica. Da allora, però sotto questa insegna imperversano diversi gruppi che agiscono in nome dei diritti umani, circostanza che ha spinto il ministero della Giustizia a cercare di sciopgliere del tutto l’organizzazione. Le autorità persero la causa davanti alla corte costituzionale russa, e adesso Memorial cerca di trovare più finanziamenti in patria.
Vladimir Putin ha ripetuto più volte la necessità di una forma di restrizione. Si tratta di introdurre una norma che altrove costituisce la normalità. La scelta rigida è derivata dall’intromissione dei paesi esteri nelle elezioni russe del 2011 e del 2012 dei paesi esteri attraverso queste pseudo ong. “L’indignazione morale” dei paesi occidentali che ne è seguita è la prova del doppio standard che caratterizza le valutazioni dell’Occidente. “Negli Stati Uniti una legge simile è in vigore già dal 1938. Immagino che il governo di Washington conosca i motivi per cui è stata introdotta”.
Il Foreign Agents Registration Act (FARA), al quale si riferisce Putin, fu emanato per difendersi dagli infiltrati nazionalsocialisti. Risale a molto tempo fa, ma viene ancora attuato ed è rivolto contro ogni “intrigo antiamericaro” e contro l’infiltrazione di forze e servizi segreti esteri. Il Dipartimento della Difesa americano descrive la norma in questi termini: “La legge prevede che ogni persona fisica o organizzazione che agisce per conto di un committente straniero debba essere registrata e dichiarare per chi lavora”. Tra i “committenti stranieri” il FARA annovera “governi, partiti politici, persone fisiche o organizzazioni esterne agli Stati Uniti e qualsiasi tipo di impresa che risponda alle leggi di un altro stato”.
Il 1° ottobre 2012 è stata chiusa la sede dello USAID a seguito di una comunicazione fatta da Lavrov all’allora segretario di Stato Hillary Clinton. Da anni Washington sfrutta lo USAID (United States Agency for International Development), strumento particolare di aiuto allo sviluppo per intromettersi nella politica interna russa.
La decisione di Putin mette fine all’attività in Russia di una delle agenzie governative americane che persegue più efficacemente gli interessi d’oltreoceano. Fu fondata nel 1961 dal governo statunitense per promuovere “democrazia, diritti umani e sanità pubblica” nel mondo.
L’USAID è attiva in oltre cento paesi e in passato ha collaborato con i servizi segrete americani. Una ragione possibile per questa sua fine improvvisa, riferisce il New Yor Times, sarebbe “la storia stessa dell’agenzia, che nel corso della Guerra Fredda fungeva da copertura per lo spionaggio americano. Il suo ruolo è ancora fresco nella memoria dei rappresentanti esteri, molti dei quali non hanno ancora messo da parte del tutto la loro diffidenza”.
A partire dal 1992, l’USAID ha investito 2,7 miliardi di dollari per progetti in Russia. Negli anni passati quel danaro è servito a rimpinguare, ben più che le casse della sanità pubblica, quelle di oltre cinquanta ong “che si impegano a favore della democrazia, dei diritti umani e di una più stabile società civile” affermava Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato americano, il 18 settembre 2012, nel corso di una conferenza stampa dell’USAID. Premette che il lavoro andrà avanti con altri mezzi. “Certo, l’USAID non è più presente fisicamente in Russia, ma continueremo a promuovere la democrazia, i diritti umani e lo sviluppo della società civile russa”. Infine il Dipartimento di Stato comunica i nomi degli eredi dell’agenzia: Il National Democratic Institute (NDI), l’International Republican Institute (IRI) e il National Endowment for Democracy (NED).
L’annuncio segna la continuazione della lotta politica con mezzi simili. I nuovi istituti infatti sono vecchie conoscenze che da anni operano all’estero e sono finanziati dal Dipartimento di Stato e dall’USAID. Tutti hanno come obiettivo la diffusione dei valori democratici e dei diritti umani. Ai verti troviamo persone come Madeleine Albright ex segretario di Stato, o l’ex comandante della NATO Wesley Clark, o l’ex capo della CIA James Woosley.
Uno dei padri della NED, fondata nel 1983 sotto la presidenza di Ronald Reagan, fu Allen Weintein professore della Georgetown University, che descrisse in modo chiaro e conciso lo scopo dell’organizzazione in una intervista al Washington Post nel 1991: “Molto di quello che facciamo oggi, fino a 25 anni fa veniva fatto di nascosto dalla CIA”.
L’espulsione dell’USAID dalla Russia ha provocato un forte risentimento in Angela Merkel che ha criticato apertamente l’operato del presidente russo. Putin, senza giri di parole,accusa la cancelliera di esacerbare un clima anti russo.

Alla “morale” omosessuale dell’occidente si contrappone la riscoperta delle radici cristiane della Russia.
“Perché il problema dell’omosessualità dovrebbe essere trattato come un problema di stato? Io non ho niente contro i gay, ma lo stato dovrebbe concentrarsi sulle cose importanti. Gli omosessuali, per esempio, non fanno figli. E non è compito dei governanti discutere o indirizzare le preferenze sessuali. E nemmeno cercare di imporre la propria visione su questi argomenti di politica estera”. Questo dice Putin all’intervistatore. “È una decisione che spetta solo e soltanto alla nostra società. Non ho niente contro il signor Westerwelle” aggiunge con una punta di ironia. Il motivo scatenante di questa presa di posizione fu generata dal fatto che la nuova legge sull’omosessualità approvata dal parlamento russo aveva alimentato un dibattito in Europa sia pubblico che politico.
L’omosessuale ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle pubblicò sul sito del suo dicastero un avviso in cui sconsigliava i viaggi nella Federazione: “L’omosessualità in Russia non è perseguibile, tuttavia il grado di accettazione di coppie dello stesso sesso nella società russa è molto basso. Il 30 giugno 2013 è entrata in vigore la legge federale contro la ‘Propaganda di relazioni non tradizionali tra i minori’. La legge punisce anche gli stranieri, in caso di diffusione di informazione e manifestazione pubblica a sostegno dell’omosessualità, con pene pecuniarie fino ad un massimo di centomila rubli oppure con quindici giorni di detenzione e l’espulsione dalla Federazione russa”.
Ovviamente sullo stesso sito nessuna avvertenza per chi intende recarsi in Arabia Saudita o altri paesi arabi, dove mostrare chiara propensione per lo stesso sesso può avere conseguenze ben più gravi. L’approvazione delle leggi a favore dei gruppi LGBT in Germania scatena il dibattito mediatico e pressioni sulla Russia che risponde picche.
“L’Occidente ha la sua visione del mondo, che ci piaccia o meno” commenta Padre Tichon, guida spirituale e confessore del presidente russo. “E su alcuni punti avremo sempre opinioni divergenti”. Certo, ammette che i matrimoni gay siano una questione privata, ma sottolinea che per la Chiesa Ortodossa russa restano esclusi nella maniera più categorica. E se lo stato decidesse di accettarli compirebbe il “primo passo verso la distruzione”. Su questo punto il religioso si trova in perfetto accordo con la Chiesa Cattolica (siamo ancora nel 2013).
L’abate racconta a Seipel un episodio per chiarire l’atteggiamento pragmatico del presidente rispetto alla questione. Durante una cena, al telegiornale avevano trasmesso la notizia di una futura visita di Putin a Berlino, nel corso del quale il presidente avrebbe avuto modo di incontrare l’allora sindaco Klaus Worwereit. Il notiziario non mancava di sottolineare che il primo cittadino fosse dichiaratamente omosessuale. In qualità di sua guida spirituale, padre Tichon aveva colto l’occasione per sconsigliare al presidente di stringergli la mano in pubblico. Putin si era opposto. In primo luogo perché si trattava di una faccenda privata e poi perché il politico rappresentava la città di Berlino. Quando la consorte di Putin, Ljudmilla, era intervenuta per sostenere la posizione di Tichon, il presidente si era limitato a risponderle con aria divertita: “Tesoro, non hai motivo di essere gelosa”. Questo è Putin. Quando le circostanze lo richiedono si mostra totalmente flessibile ma le sue convinzioni politiche di fondo non cambiano.
“Vladimir Putin è cristiano, non solo a parole ma anche nei fatti. Si confessa, partecipa al sacramento dell’Eucarestia ed è perfettamente conscio delle proprie responsabilità” dice Tichon, che di solito celebra la Messa nella cappella presidenziale. L’abate è il superiore del monastero di Sretenskij che sorge nel cuore di Mosca, sulla strada Bolsaja Lubjanka. Li vicino si trova il quartier generale dei servizi segreti, dove, sotto il periodo sovietico sono stati trucidati decine di migliaia di ecclesiastici. Da allora la Chiesa ortodossa si è costruita la fama di unica istituzione riuscita a sopravvivere alla tragedia della rivoluzione bolscevica, grazie al suo mandato divino.
“C’eravamo prima noi qui. Il monastero è stato fondato 560 anni prima del KGB, non dal KGB”, precisa Tichon. Sotto il regime sovietico il monastero fu chiuso e il KGB usò l’edificio per propri fini. Una croce di pietra nel giardino ricorda questa pagina oscura del passato: “In memoria dei cristiani ortodossi che negli anni della follia furono qui torturati e uccisi”.
Padre Tichon ricorda con scarso entusiasmo i primi anni della sua missione: “Quando arrivai qui fu come se mi avessero mandato al fronte. Il monastero era completamente distrutto e doveva essere ricostruito. Nel 1992 ero l’unico monaco”.
Al secolo Georgij Aleksandrovic Sevkunov, ex studente di cinema, ebbe la sua conversione negli anni Ottanta. Dopo aver letto Marx, Lenin e Trockij e aver studiato lo yoga e il sanscrito, si dedicò a Dostoevskij, Tolstoj e Kant. Si fece battezzare a 24 anni e prese i voti nel monastero delle grotte di Pskov, nella Russia nord occidentale, non lontano dal confine con l’Estonia, uno dei pochi edifici religiosi sopravvissuti all’era sovietica. La guida spirituale di Tichon fu il priore di Pskov, padre Ioann Krestiankin, che negli anni Cinquanta aveva trascorso cinque anni in un campo di prigionia. Padre Tichon è diventato un personaggio molto conosciuto in tutta la Federazione russa per le sue attività religiose. Si attiene al principio evangelico secondo cui la fede può spostare le montagne. Nel 2008 ha prodotto un documentario, trasmesso diverse volte dalla televisione russa in prima serata, nel quale racconta “l’antico splendore del regno bizantino, che sconsideratamente si era lasciato condizionare dall’influsso nocivo di partner commerciali e consiglieri stranieri”. Un ammonimento alla Russia di fronte alla decadenza occidentale. Il suo sito, pravoslavie.ru, è uno dei portali più seguiti in tutta la Russia. La sua autobiografia, intitolata Santi di tutti i giorni, (pubblicata anche in Italia da Rubettino nel 2015) è un omaggio agli amabili e imperturbabili uomini di Chiesa dell’epoca dell’opposizione. Glissa sapientemente sul fatto che la Chiesa di stato aveva una stretta collaborazione col regime. Il libro è un bestseller, ha venduto 1,2 milioni di copie.
Tichon non è soltanto un amico ma anche il più grande alleato di Putin nello sforzo di ravvivare nella memoria collettiva l’idea della Chiesa come parte integrante della storia russa. Chiesa e stato sono già da tempo sulla stessa lunghezza d’onda. Il monaco e il politico si incontrarono nel 1998. Putin fu nominato capo dell’FSB, ruolo che ricoprì per tredici mesi. “Quando lavorava a pochi metri da qui, veniva spesso al monastero in incognito” dice Tichon ricordando la loro decennale amicizia. Da allora in poi l’abate è stato una specie di mediatore tra Stato e Chiesa per le questioni di fede.
Putin e Tichon hanno condividono la stessa visione del mondo, dei valori tradizionali, della morale e della storia. “Un paese immenso come il nostro si può governare soltanto a partire da solide basi storiche. La storia che ha preceduto la rivoluzione e il meglio dell’Unione Sovietica. Abbiamo un vissuto comune e senza storia non abbiamo un futuro. Il marxismo non ha funzionato, e nemmeno la democrazia, almeno non nella forma terribile che ci è stata proposta negli anni Novanta. La Russia deve trovare la propria forma di governo”.
L’abate abbina bene le sue doti di pastore con quelle di comunicatore di grande successo. Nel 2014 è stata inaugurata a Mosca una monumentale mostra sui Rurikidi, antica dinastia della quale si erano occupati solo gli specialisti. Diventata poi una mostra itinerante, ha fatto il giro del paese affascinando centinaia di migliaia di persone, interessate a saperne di più sui loro nobili antenati. La dinastia che governò il territorio dell’impero di allora dal IX al XVI secolo. Uno degli episodi culminanti di questa ricerca delle proprie origini è il battesimo del principe Vladimir I° nel territorio dell’attuale Ucraina, una sorta di mito fondativo della nazione. La mostra si attiene alla strategia di Putin di mettere in relazione i periodi storica “per far emergere la semplice verità, ovvero che la Russia ha una storia altrettanto ricca di quella degli altri paesi, e su questa deve basarsi per riscoprire il proprio potenziale e formarsi un’identità nazionale”.
La fine stessa della saga dei Rurikidi fa apparire gli ultimi discendenti della dinastia sotto una luce migliore di quanto si fosse fatto inprecedenza. Lo zar Ivan IV, noto col soprannome di “Ivan il Terribile” perché si diceva che aveva fatto uccidere suo figlio, affetto da una malattia mentale, si sarebbe invece distinto dai suoi predecessori per essersi impegnato per la coesione dell’impero russo. Qualche tempo prima, padre Tichon aveva fatto allestire una mostra nazionale sulla dinastia dei Romanov, con effetti sonori e schermi interattivi, che aveva ottenuto grande successo di pubblico.
Va sottolineato che Putin, fin dal suo primo mandato si è adoperato, con successo, per ricucire lo strappo tra la Chiesa ortodossa riemersa in territorio russo dopo il crollo dell’URSS e quella in esilio, che aveva le sue basi in tutto il mondo occidentale e prevalentemente negli Stati Uniti.
MEDIO ORIENTE
Sulla Siria il capitolo non è chiuso ma grazie all’intervento diretto di Putin, Assad è ancora al potere e l’Isis, strumento in mano agli occidentali e ai paesi del Golfo ha avuto la peggio.

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