Numeri, inciuci, pateracchi. Una classe politica ripiegata su se stessa, autoreferenziale (e che nonostante ciò si ripresenta agli elettori come un campo di gigli, nel mentre è una porcilaia che emette olezzi maleodoranti, che ha usato il Paese come una sua dépendance, che non ha disdegnato legami e patti con organizzazioni malavitose), uno scenario stantio e mefitico di un agone politico malato, vecchio, complice e sfacciatamente impegnato nei disinvolti giri di valzer di sempre. Un coacervo di tutto lo scibile umano mai visto prima d’ora, almeno non a questi livelli. Che oltrepassa i limiti di ogni umana immaginazione. E poi ci si meraviglia per il fatto che per queste elezioni il primo partito sarà quello dell’astensione…
Un “vento” difficile da cambiare, un vento antico, che sta spazzando le idee e le proposte, alcune nuove, con il sistema usato sicuro. Al punto che il povero elettore medio italiano, con gli “occhi pallati” davanti la televisione, è oramai più suonato di una sveglia: e ciò a dimostrazione che vi sono prima gli italiani da cambiare, specchio fedele di una classe politica finora ampiamente aderente e meritata.
Numeri: larghe intese, solidarietà nazionali o governi tecnici che nei desiderata di questa classe politica saranno comunque d’obbligo per cui non agitiamoci troppo e quando e se andremo a votare ricordiamo ciò che scrisse a suo tempo il grande Leo Longanesi: “A preoccuparmi non sono le idee, ma le facce”.
Numeri: quelli degli italiani, di una società che vive il momento, non sa niente del passato e non si pone il problema dell’avvenire. Dove i protagonisti della campagna elettorale sono ancora Bruno Vespa e Barbara D’Urso. Dove se c’è un problema bisogna semplicemente far finta che non ci sia: l’ottimismo è il profumo della vita. Un po’ come sul Titanic, la nave affonda ma sul pontile un’improvvisata orchestrina suona fin che si spengono le luci e il mare comincia a inghiottirla.
Numeri: quelli che all’indomani del voto l’Europa ci imporrà. Una manovra correttiva e riapparirà minaccioso il fantasma dei numeri: ricordo solo che per ogni secondo che passa, il contatore del debito pubblico aggiunge 4.469 euro.
Numeri: quelli che raccontava il Fan Faròn fiorentino qualche tempo fa quando ci diceva che tutto andava bene, e sappiamo com’è andata a finire. E oggi fa o tenta di fare esattamente la stessa cosa. Significativa in tal senso l’ultima stilettata di De Bortoli apparsa su Twitter: “Programmi, promesse, tagli, crescita. Quante occasioni perdute negli ultimi anni! Avevamo tesori e opportunità e non ce ne siamo accorti. Ma chi era al governo? O era un altro Paese?”.
Numeri: quelli del Partito democratico. Ieri lo votavano perché c’era il Fan Faròn fiorentino oggi se lo voteranno sarà nonostante il Fan Faròn fiorentino. Il molesto giullare sfuggito in questi anni all’antidoping e oggi sopraffatto dal suo supplente felpato… e dire che Gentiloni era solo un cappello sulla poltrona, per tenere il posto. Lo stesso Fan Faròn fiorentino che quando apparve al mondo politico nazionale, fuoriuscendo dalla platonica caverna della Leopolda, tra gli assetati di novità suscitò simpatie: il suo piglio impertinente fino alla sfrontatezza, la sua sicurezza non ancora trasmodata in sicumera, quel suo scattare, ironizzare, assolvere e condannare schioccando le dita, fecero di lui il beniamino degli illusi. Ben presto però l’illusione si voltò in disillusione. E oggi appare un risolutore irrisolto. Pericoloso non solo per sé, pure per gli altri. In un triennio di governo ha saputo addossare sul groppone degl’italiani centocinquanta miliardi di debito pubblico, in più. Ciò nonostante, si ripropone agli elettori, come un boccone indigesto.
Numeri: quelli dei lavoratori della multinazionale brasiliana Embraco che ha deciso di chiudere la fabbrica di Riva di Chieri e spostarla in Slovacchia, 500 operai, che ora sono disperati e che aspettano col fiato sospeso i notiziari che parlano dell’ira di Calenda (che ha fallito), come fosse quella di Achille. Questo nipote di Comecini, figlioccio di Montezemolo, portavoce di Confindustria; questo pariolino, predestinato all’applauso del Palazzo che parla di gentaglia e di irresponsabilità dell’azienda…
Numeri: quelli di questa campagna elettorale per le elezioni politiche di marzo che mediaticamente assomiglia sempre di più a una commedia dell’assurdo. Con un giornalismo da tè coi pasticcini che deplora i metodi di Fanpage.it, ma evita d’interrogarsi su tutte le inchieste-verità che stanno incendiando questo Paese. Così schizzinoso, ad esempio, con l’inchiesta che vede coinvolto il figlio di De Luca, che anziché alzarsi dalla scrivania e buttare fuori dal proprio ufficio un camorrista, ci parla, e ci discute di come smistare le ecoballe, un “prodotto tipico campano moderno”, la monnezza. E da cui mi aspetterei, per lo meno, il medesimo frastuono mediatico che è stato riservato, che so, ai cinquestelle, per cose non penalmente rilevabili ma che hanno prodotto, per risposta coerente, espulsioni e chiarimenti dal movimento stesso. A tal proposito è indicativo come, il fiorentino Fan Faròn, si stia smarcando dal problema. Fino a che si trattava di fritture di pesce come Dio comanda, andava tutto bene, era solo colore e folclore…
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