“Ci sparavano contro – hanno raccontato i superstiti – e filmavano tutto”.
I cristiani copti stavano viaggiando verso il monastero di Anba Samuel. Un commando armato ha sparato contro l’autobus: almeno 35 morti, molti dei quali bambini
Questa mattina, a Minya, città di quasi 200mila abitanti a circa 250 chilometri a sud del Cairo, è stato preso d’assalto un autobus. Ad attaccarlo è stato un commando formato da dieci persone a volto coperto che, imbracciando armi automatiche, hanno aperto il fuoco sui quaranta cristiani copti che, dalla città di Beni Suef, stavano andando al monastero di San Samuele. Ne ha ammazzati 35, alcuni dei quali erano bambini. I feriti, una ventina in tutto, sono stati trasportati presso l’ospedale di Maghagha.
L’attentato di oggi in Egitto contro un bus che trasportava cristiani copti è l’ennesimo attentato terroristico contro questa comunità con radici millenarie, che vanta 10 milioni di fedeli, moltissimi appartenenti alla diaspora, che formano il 10% della popolazione del Paese a stragrande maggioranza musulmana. Dalle Primavere Arabe del 2011 e dalla cacciata di Hosni Mubarak, che godeva del sostegno dell’ex patriarca Shenouda III, i copti hanno vissuto in uno stato di crescente tensione che ha avuto il suo apice durante il periodo del governo del presidente islamista, Mohamed Morsi. Solo dal 2013 vi sono stati una quarantina fra aggressioni di cristiani e attacchi a chiese, in pratica un episodio al mese, con decine di morti....
L’epicentro delle violenze è l’Egitto rurale e in particolare la regione di Minya, il turbolento governatorato con il mix esplosivo di un 35% di popolazione cristiana e un forte radicamento jihadista. E proprio nella regione di Minya, a circa 250 chilometri a sud-ovest del Cairo, si è verificato l’attacco armato di oggi. Il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, che ha destituito Morsi promettendo di ripristinare l’ordine e di proteggere le minoranze, ha convocato una riunione di emergenza del Consiglio nazionale di sicurezza. Recentemente aveva ribadito che gli egiziani “sono tutti uguali nei loro diritti e nei loro doveri, in accordo con la Costituzione” e ha lodato la calma e la saggezza con cui la comunità cristiana sta rispondendo alle violenze. Una legge per punire ogni atto che mina all’unità nazionale e per allentare le limitazioni per la costruzione di nuove chiese è all’esame del Parlamento.
I copti sono una minoranza che ha sempre avuto un ruolo chiave nell’economia e nell’establishment dell’Egitto, anche se molti di loro oggi vivono sotto la soglia di povertà. Sono cristiani la maggioranza degli orafi e la gran parte degli impiegati nel settore farmaceutico del Paese, così come alcune delle famiglie più ricche dell’Egitto come i Sawiris, che controllano il gigante delle telecomunicazioni Orascom. Dinastie di copti hanno ricoperto incarichi politici di primo piano: un membro della famiglia Boutros Ghali ha sempre fatto parte dei vari governi prima della caduta di Mubarak e un suo esponente, Boutros Boutros Ghali, è stato ministro degli Esteri prima di diventare segretario dell’Onu.
Fin qui Sergio Rame – Ven, 26/05/2017
Al Sissi ha risposto bombardando terroristi in Libia
Subito dopo ed apparentemente come risposta a questa strage, il presidente egiziano Al Sissi ha ordinato sei incursioni aeree contro posizioni di jihadisti in Libia, nella zona di Derna.
Nel suo discorso televisivo alla nazione per lo sterminio dei pellegrini copti, il generale ha fatto numerosi riferimenti alla Libia e alle forze dell’ISIS che da lì minacciano l’Egitto. L’anno sorso, ha detto, oltre mille veicoli usati dai terroristi per passare il confine ed entrare in Egitto sono stati distrutti. Il presidente ha asserito che lo scopo di questi gruppi è far cadere l’Egitto. “C’è stata una ritorsione e ce ne saranno ancora”, ha detto.
Da notare il carattere non solo gratuitamente atroce dell’attacco al pulmann di pellegrini copti (è stato ammazzato anche un bambino di 2 anni), ma anche il suo aspetto voluto, preparato, freddo e mediatico: “Ci sparavano e filmavano tutto” (per il SITE?).
Una strage peggiore, anche questa freddamente pianificata, è avvenuta in Libia il 19 maggio : ben 141 soldati e piloti sono stati trucidati nella base aerea di Brak al-Shati, 650 chilometri a sud di Tripoli. Erano uomini dell’aviazione della cosiddetta Lybian National Army (LNA) del generale Haftar. Non si è trattato di un combattimento e ancor meno di un attentato esplosivo con kamikaze: i 141 uomini tornavano da una parata, erano disarmati, hanno subito un’esecuzione. Fra di loro molti civili, cuochi, lavandai che lavoravano nella base. Tutti sono stati uccisi, nessuno escluso.
I 141 ammazzati nella base di Haftar
A commettere l’enorme eccidio è stata la cosiddetta “terza forza”, la milizia del “governo riconosciuto dall’Onu” (ma non eletto) di Faez Sarraj, il prescelto dall’Occidente, a cui Haftar, sostenuto dal Cairo e da Mosca, non si sottomette. La milizia, fatta di scherani di Misurata, ha rivendicato la strage con queste parole: “ Abbiamo liberato la base e distrutto tutte le forze che vi erano dentro”.
La strage a freddo, plateale e voluta, rompe la malagevole tregua raggiunta ad Abu Dhabi con la mediazione del principe Mohamad bin Zayed alk Nahayan della UAE, che aveva radunato al tavolo Serraj e Haftar. Al Sissi era presente, insieme ad un diplomatico russo. Una settimana dopo, l’11 maggio, i due avrebbero dovuto incontrarsi al Cairo sotto la mediazione di Al Sissi: ma Serraj non s’è fatto vivo. Si dice che la sua milizia l’aveva minacciato di morte se andava a trattare.
Serraj s’è invece fatto vivo domenica all’incontro di Ryiad, dove è stato presentato a Trump (non informato delle atrocità commesse dai miliziani del “governante scelto dall’ONU”). L’inviato speciale dell’Onu per la Libia Antonio Guterres, e il capo della missione di supporto (UNSIMIL) Martin Kobler hanno ventilato che la strage possa essere portata davanti alla Corte Penale Internazionale. Avremmo così un “governante scelto dall’ONU” e non eletto da nessuno imputato per crimini di guerra.
Sarà il caso di ricordare che il 21 aprile Alfano e i media italiani strombazzarono un successo della nostra diplomazia, la “bilaterale Tripoli-Tobruk a Roma”: furono riuniti al tavolo il presidente del parlamento (eletto) a Tobruk Agelah Saleh e il capo dell’Alto Consiglio di Stato Abdurrahman Swehli. Due scartine. Fu, secondo i più seri osservatori internazionali, “una campagna di fantasia per convincere il mondo che due anni di guerra stavano in qualche modo per finire”, grazie a Roma e alla sua diplomazia.
Tutto perché la nostra pregiata diplomazia alla Gentiloni non riconosce che Haftar, col parlamento di Tobruk, oggi comanda l’ esercito più forte, controlla due terzi del paese e soprattutto la mezzaluna petrolifera; è sostenuto a da Al Sissi e da Mosca. Anzi, dal momento che Trump ha detto che gli Usa “Non hanno alcun ruolo in Libia”, è inteso che Washington lascia in Libia campo libero a Mosca. La quale, a fine maggio farà una esercitazione navale davanti alle coste libiche, ed ha affidato la cura di Haftar al presidente ceceno Kadirov; il quale ha qualche successo nella insolita veste di mediatore (sarà per questo che gli inglesi han tirato fuori la storia che in Cecenia, Kadirov tortura gli omosessuali, tanto golosamente ripresa dai media?).
Magari il buon senso suggerirebbe di affidare ad Haftar lo stroncatura della mafia scafista, mafia non solo libica ma italiana e UE; invece continuiamo a trattare Serraj come fosse il governante legittimo – che non riesce nemmeno a dar ordini alla sua milizia che si macchia dei crimini più atroci (e forse c’entra qualcosa anche col bus dei poveri copti). Adesso, la strage della base aerea ha riacceso una vera e propria guerra, con tiri d’artiglieria pesante attorno a Tripoli; sarà una lotta sanguinosissima.
Intanto apprendiamo che l’Italia “ha firmato domenica un accordo con Libia [sic], Ciad e Niger per frenare il flusso dei migranti rinforzando i controlli alle frontiere”. Le “frontiere”, in tal caso consistono in migliaa di chilometri di Sahara e Sub-ahar. Un altro successo della diplomazia italiana.----
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