sabato 13 maggio 2017

MAURIZIO BLONDET - FATIMA e... OMAGGIO A GIACINTA, PICCOLA GUERRIERA.

 (MB. Questo articolo si intitolava Pedagogia di lassù, lo pubblicai il 2 novembre 2013. Lo ripubblico  nel centenario di Fatima per omaggio alla piccola intrepida guerriera, al cui eroismo tanti sconosciuti hanno dovuto la salvezza dalla dannazione, senza nemmeno saperlo).

Questa è un omaggio a Giacinta, intrepida bambina. Riguardo la sua foto, quella che scattò ai tre ragazzini non so quale nobiluomo che disponeva di un  apparecchio.

I tre guardano tutti aggrottati, come facevano i contadini davanti alla macchina fotografica una volta, prima che della civiltà dell’immagine, così da sembrare scontrosi, ma perché essendo il fotografo con le spalle al sole, loro erano abbacinati –  e intimiditi. Sono vestiti della festa, Francesco con un copricapo a maglia, le due ragazzine hanno la testa coperta non da un velo, ma da una specie di spessa copertina. Un’immagine da folklore.
Giacinta però spicca: è vistosamente la più piccolina di statura, avrà avuto otto anni, ha messo la mano sull’anca con un gesto di imperiosa, innata eleganza, e ci guarda dritto negli occhi, proprio noi. Lo sguardo e la bocca fermamente chiusa (tutti e tre nascondono segreti che non saranno rivelati se non decenni dopo: troppo intimi per parlarne, dirà la sopravvissuta) esprimono un sentimento preciso: determinazione....
. Determinazione di accettare anche questo «per i peccatori». Non fu il loro minor tormento, allora, vedersi circondati dalle folle, la curiosità degli estranei, le persone sconosciute che gli facevano domande indiscrete; sappiamo che Giacinta specialmente correva a nascondersi. Adesso, in posa, incantevole bambina, Giacinta offre anche questo sacrificio con assoluta determinazione.

Con assoluta determinazione

Una decisione che ha preso, si sa quando. «La visione dell’inferno suscitò un tale orrore in Giacinta che tutte le penitenze e mortificazioni le sembravano niente per riuscire a liberare qualche anima», ha scritto Lucia. «Spesso si sedeva e pensierosa cominciava a dire: l’Inferno, l’inferno! Quanta compassione ho delle anime che ci vanno! E la gente là dentro brucia come legna al fuoco!» E tutta tremante, s’inginocchiava con le mani giunte per recitare la preghiera che la Madonna ci aveva insegnato: O Gesù mio, perdona le nostre colpe, liberaci dal fuoco dell’inferno, e porta in cielo ….».


La Signora aveva chiesto loro: «Volete offrirvi a Dio disposti a sopportare tutte le sofferenze che egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione per i peccato con i quali è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori»:
«Sì, lo vogliamo» avevano risposto tutti e tre, ardenti. Da allora facevano a gara per inventare sacrifici nelle loro giornate fra le sassaie, a sorvegliare le pecore, trovarono una corda lasciata da un carettiere, ruvidissima e grossa da «far soffrire orribilmente», e se ne fecero tre cilici, senza sapere che cos’erano. Giacinta era piena d’iniziativa per inventare sacrifici.

«Diamo le nostre provviste a questi bambini poveri per la conversione dei peccatori».
«Quando avevamo qualche prova da sopportare, Giacinta domandava sempre: “Hai già detto a Gesù che è per amore verso di Lui?”. E unendo le sue piccole mani alzava gli occhi al cielo e diceva: o Gesù, è per amore verso di voi e per la conversione dei peccatori».
I tre bambini furono messi in prigione: si voleva strappare loro il segreto. Giacinta credette che i genitori l’avessero abbandonata «e diceva, con le lacrime che le scendevano per le guance: né i tuoi né i miei sono venuti a vederci! Non gli importa niente di noi!» Aveva sette anni. «Non piangere, offriamo tutto a Gesù», le disse il fratellino Francesco, e fece l’offerta: «O mio Gesù, è per amor vostro e per la conversione dei peccatori». In carcere, «decidemmo di dire il nostro Rosario. Giacinta tirò fuori una medaglia che aveva al collo, e chiese a un carcerato che lo appendesse a un chiodo del muro e, in ginocchio, davanti alla medaglia, cominciammo a pregare. Anche i carcerati pregarono con noi, per quanto sapevano pregare, o almeno rimasero inginocchiati».

Quando cominciò ad ammalarsi, Lucia andava a trovarla e «c’era sempre un buon gruppo di bambini fuori dalla porta che mi chiedevano se potevano entrare a vederla. Lei si intratteneva con loro, insegnava loro le preghiere e a cantare, e consigliava loro di non fare peccati per non offendere il Signore a non andare all’inferno».
A questa bambina furono inviate visioni impressionanti del futuro. Un giorno a mezzogiorno, presso il pozzo, d’improvviso disse a Lucia: «Non hai visto il Santo Padre?» No. «Non so come è andata, ma ho visto il Santo Padre in una casa molto grande, in ginocchio davanti a un tavolo, piangente e con le mani sul viso; fuori della casa vi era molta gente e alcuni gli tiravano pietre, altri gli lanciavano imprecazioni e gli dicevano molte brutte parole. Dobbiamo pregare molto per lui!».
Una sera del 1917, disse alla cugina: «Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di gente che piange perché ha fame e non ha niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa che prega davanti al Cuore Immacolato di Maria? E tanta gente che prega con lui?»
Un giorno rimase tutta pensierosa. «Giacinta, a cosa stai pensando?». «Alla guerra che deve venire, Deve morire tanta gente! E va quasi tutta all’inferno! Devono essere distrutte tante case e morire molti sacerdoti. Vedi, io vado in cielo e tu, quando vedrai di notte la luce che quella Signora ha detto che viene prima (1) vienici anche tu». Vedeva, si ritiene, la seconda guerra mondiale, i suoi bombardamenti sulle città, i combattenti che vanno «quasi tutti all’inferno» perché quella fu la guerra delle ideologie atee di massa, milioni di uomini si massacrarono per le nuove fedi cieche e buie.
Nell’ottobre 1918 entrambi i fratellini si ammalarono. Giacinta raccontò a Lucia: «La Madonna ci è venuta a trovare, e ha detto che molto presto viene a prendere Francesco… A me ha chiesto se volevo convertire altri peccatori. Le ho detto di sì. Mi ha detto che sarei andata in un ospedale, e che là avrei sofferto molto. Di soffrire per la conversione dei peccatori, in riparazione dei peccati contro il Cuore immacolato e per amore di Gesù. Ho chiesto se tu saresti venuta con me; ha detto di no ed è la cosa che mi dispiace di più. Mi ha detto che mi ci porterà mia madre e poi resterò là, da sola!».
Riguardo la sua foto. Questa bambina di otto anni, con quel visetto dolcemente corrucciato, il corpicino gracile e indifeso, che resta sola nello squallore di un letto di ospedale lontano, in una città irraggiungibile dai suoi genitori, piccola malata incurabile e perciò chissà quanto mal sopportata. Padre Pio accennò una volta: essere «malato fra gente a cui dai fastidio, ecco una buona mortificazione». Non conosceremo mai le segrete umiliazioni che subì Giacinta, le mancanze d’affetto che le furono date, sempre circondata da volti estranei e cuori freddi; mai una carezza della mamma, la più desolata solitudine.
«Giacinta tornò ancora per qualche tempo a casa dei genitori verso la fine d’agosto 1919, con una grande ferita aperta sul petto». Un ferita aperta sul petto. Subiva le tormentose cure (le inutili cure, lei lo sapeva, a cosa doveva quella piaga) «senza un lamento, senza mostrare la minima insofferenza. Ciò che le costava di più erano le visite frequenti e gli interrogatori della gente, dalla quale ora non poteva più nascondersi. Offro anche questo sacrificio per i peccatori”, diceva».
A dicembre dello stesso 1919, ricevette di nuovo la visita della Vergine. «Mi ha detto che andrò a Lisbona, in un altro ospedale; che non rivedrò né te né i miei genitori; e che dopo aver sofferto molto, morirò sola; ma che non devo aver paura, che mi viene a prendere lei là per portarmi in cielo».
E così fu. Riportato all’ospedale a Lisbona (diverso da quello in cui era stata, per due mesi, in precedenza) poi la trasferirono in un orfanatrofio di suore a Lisbona, poi in un altro ospedale ancora. Sempre sola. E con quella gran ferita aperta sul petto. In uno dei suoi ultimi giorni, qualcuno le chiese se voleva vedere la mamma. Giacinta disse: «La mia famiglia durerà poco tempo. Presto ci incontreremo in cielo…».
Negli ultimi quattro giorni, la Signora le tolse tutti i dolori. Giacinta è morta il 20 febbraio 1920, suo fratello Francesco era stato chiamato in cielo quasi un anno prima. Lei non aveva compiuto ancora i dieci anni.
Mi rendo conto che questo racconto, piccolo omaggio alla bambina più eroica di cui abbia mai sentito, sarà inteso da molti come una prova della crudeltà del Cielo. La pedagogia vigente oggi risparmia ai bambini la visione del nonno morto, perché «non abbiano traumi», men che meno una descrizione dell’inferno, perché se no hanno paura; anzi, nemmeno le vecchie fiabe devono conoscere, perché «sono angoscianti». Non si deve far paura ai bambini, così cresceranno sicuri di sé, «senza traumi» e «senza complessi»; bisogna esentarli da ogni durezza della vita, ricoprirli di abiti firmati, prepararli a capire che è importante «aver successo», risparmiarli da punizioni, e soprattutto non imporre loro alcun dovere. La frase «volete sacrificarvi per…?» è da noi vietata. «Volete offrirvi a Dio per..?», suscita addirittura cachinni ed esecrazione.
Così, anche da adulti grandi e grossi e sperimentati – parlo anzitutto di me – ci si sottrae alla domanda «Volete offrirvi a Dio?», anche quando si capisce con la mente che è la questione più importante per noi uomini, che è il nostro sì che vuole, e che non ne dobbiamo aver paura perché «chi vuol salvare la propria vita la perderà».
La pedagogia di lassù è chiaramente diversa. Giacinta, che nemmeno sapeva leggere, rispose quel «sì» di cui non siamo capaci, incondizionato e determinato. Ha subìto crudeltà? Lei stessa si offenderebbe: l’ho voluto io! Per i peccatori!
Quanto al successo nella vita a cui dobbiamo preparare i figli… ora i tre fratellini sono in quella luce che videro quando la Signora aprì le mani: «comunicandoci una luce così intensa, una specie di riflesso che usciva e ci penetrava nel petto e nel più intimo dell’anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella luce, più chiaramente di come ci vediamo nel migliore degli specchi».
Racconta Lucia che «ciò che più impressionava o assorbiva Francesco (il più contemplante e trasognato, ndr) era Dio, la Trinità in quella luce immensa che ci aveva penetrato nel più intimo dell’anima». Diceva: mi è piaciuto vedere il Signore e ancor più vederlo in quella luce in cui stavamo pure noi. Noi stavamo ardendo in quella Luce che è Dio ma non bruciavamo! Come è Dio! Non si può dirlo!».
Così, prego Giacinta. Con la tenue speranza di vederla – da una lontanissima penombra – lì in quella luce, la manina sul fianco mentre dà l’altra alla Vergine Mamma, che arde senza bruciarsi, con un gesto del braccio ringraziarla da lontano, lontanissimo: grazie Giacinta per quello che hai fatto anche per me.
1) Nella notte dal 25 al 26 gennaio 1938 i cieli di tutta Europa furono rischiarati da un fenomeno che gli scienziati interpretarono come un’aurora boreale. Suor Lucia vi scorse invece la grande luce predetta dalla Signora come annunciatrice della guerra mondiale imminente, e raddoppiò gli sforzi perché il Vaticano adempisse alle richieste fatte dalla Vergine; scrisse una lettera direttamente a Pio XI.----

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