L'ex presidente della Camera commenta la legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari.
Luciano Violante, magistrato prima di entrare in politica per un lungo tragitto che dal Pci lo ha condotto
fino al Pd, ha insegnato diritto e procedura penale all’università. E’ stato presidente di Montecitorio
nel ’96 e ha fatto parte del comitato dei “saggi” per le riforme costituzionali voluto nel 2013 dall’allora
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il 20 settembre si voterà per il referendum sul taglio dei parlamentari, in abbinamento con un
nuovo sistema elettorale in senso proporzionale che però molto difficilmente vedrà la luce entro
quella data. Qual è il suo giudizio complessivo su questa riforma?
La riduzione del numero dei parlamentari è stato previsto in tutte le riforme costituzionali esaminate
dalle Camere negli ultimi vent’anni. Ma sempre inserito nella revisione dell’attuale bicameralismo.
Questo per me rappresenta un punto decisivo...
Sì alla riduzione di deputati e senatori solo nel quadro dell’addio al bicameralismo paritario.
Perché?
Una Camera con 400 componenti potrebbe fare le stesse cose che fa una Camera con 630. Ma un
Senato con 200 componenti non potrebbe certamente svolgere adeguatamente le stesse funzioni della
Camera E soprattutto, a causa degli altri impegni istituzionali di presidenti di commissione, capigruppo,
componenti dell’ufficio di presidenza, della Commissione RAI, del Copasir etc, alla fine i senatori che
davvero prenderebbero le decisioni sarebbero troppo pochi e non rappresentativi dei cittadini. Il lavoro
parlamentare, potrebbe essere fortemente rallentato, sino alla paralisi.
E’ l’unico ostacolo che vede?...
In realtà c’è un secondo problema che riguarda i costi delle campagne elettorali. L’Italia ha circa 8mila
comuni, l’80% dei quali ha meno di 5mila abitanti. Ogni collegio senatoriale avrebbe una base
elettorale di 300mila elettori: decine di comuni con ogni sindaco che ha esigenze diverse da quelle del
proprio vicino. I costi delle campagne elettorali lievitano.
Tra i contrappesi che il Pd vorrebbe inserire c’è la revisione della base elettorale del Senato, non
più regionale bensì circoscrizionale. Non basterebbe?
In ogni caso i senatori da eleggere sono 200 e gli italiani circa 60 milioni e quindi se i collegi sono
uninominali devono comprendere circa 300.000 cittadini; se sono plurinominali molti di più. La
soluzione è aumentare i costi legittimi e documentati per fare campagna elettorale, cosa che può
agevolmente avvenire con legge ordinaria. Poi c’è la revisione dei regolamenti parlamentari, su cui
ogni Camera dovrebbe procedere in modo autonomo.
Zingaretti sostiene che senza il proporzionale la riforma che taglia i parlamentari potrebbe
rivelarsi “pericolosa per la democrazia”. E’ così?
E’ giusto dare maggiore rappresentatività al Parlamento attraverso un sistema elettorale proporzionale.
Non è esatto che così si garantisce la stabilità dei governi. Nessuna legge può farlo. Con il maggioritario,
dal 1994 al 2006 abbiamo avuto otto governi: Berlusconi, Dini, Prodi, due D’Alema, Amato, di nuovo
due Berlusconi. Negli ultimi dieci anni abbiamo cambiato sette governi: Berlusconi, Monti, Letta,
Renzi, Gentiloni Conte 1 e Conte 2, tutti frutto di sistemi elettorali più o meno proporzionali. Le leggi
elettorali non danno stabilità: trasformano i voti in seggi, poi cosa si fa con i seggi lo decidono gli eletti
. Quando i parlamentari si muovono al di fuori dei partiti di elezione e senza responsabilità politica il
sistema diventa instabile.
La soluzione sta nella modifica dei regolamenti parlamentari?
No, sta nell’introduzione della sfiducia costruttiva.
Professore, lei parla di importanti riforme costituzionali. Da qui al 20 settembre non ci sono i
tempi…
Non ci sono ovviamente, ma bisogna avere una strategia riformatrice che restituisca credibilità ai partit
i e alla politica. E poi indicare contenuto degli impegni e tempi di realizzazione, cominciando ad agire.
Del resto, l’idea che sia soltanto la Camera a dare e togliere la fiducia e a dare il voto finale alle leggi,
esclusi i trattati internazionali e le norme costituzionali, è un’idea ormai acquisita. Al Senato spetterebbe
il potere di richiamo delle proposte approvate dalla Camera, entro tempi certi e limitati, le Commissioni
di inchiesta, i poteri di controllo e i rapporti tra Stato e Regioni
Lei come voterà al referendum?
Se ci saranno sufficienti garanzie per far funzionare il sistema voterò Sì. La riduzione dei parlamentari
senza la legge elettorale proporzionale e la fine del bicameralismo paritario potenzierebbe enormemente
i poteri dell’esecutivo e condannerebbe il Parlamento all’immobilismo oppure al disordine. Il Paese
pagherebbe un prezzo elevato. Da sempre sono favorevole alla riduzione del numero senatori e deputati,
ma bisogna anche preoccuparsi di salvaguardare il funzionamento della democrazia e di mettere fine al
pantano decisionale.
L’obiezione più diffusa è che ancorare una riforma costituzionale a una legge elettorale ordinaria
vuol dire accettare il rischio che la prossima maggioranza possa cambiarla, di nuovo, in senso
maggioritario.
Ogni gruppo politico dirigente decide sulla base dello status quo. Non si può fare o non fare una cosa
sulla base dell’ipotesi che altri in futuro la modificheranno. Il punto, come ho detto, prima, è un altro.
Dare garanzie che il sistema come delineato funzionerà.
Anche per convincere Italia Viva a votare il proporzionale, il Pd sta mettendo in campo una serie
di contrappesi che vanno dalla riduzione dei delegati regionali per l’elezione del presidente della
Repubblica all’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo per il Senato a quello per la Camera.
Secondo lei sono norme che attenuano gli squilibri o sono pannicelli caldi?
Bisognerà vedere in concreto. Significherà che,se i delegati regionali scendono da tre a due, li eleggerà
solo la maggioranza? E poi, in qualsiasi Paese esistano due assemblee legislative diverse, le regole di
elettorato attivo e passivo sono anch’esse diverse. Altrimenti che senso avrebbero due Camere?
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