Il Comitato tecnico scientifico consigliò l’istituzione di una zona rossa nei Comuni di Alzano e Nembro. Ma alla raccomandazione seguirono giorni fatali, nei quali quel provvedimento non venne deciso. E ai magistrati — scrivono Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini — Conte disse di non aver mai ricevuto quel verbale.
Pubblichiamo un brano del libro «Come nasce un’epidemia - la strage di Bergamo, il focolaio più micidiale d’Europa» (Rizzoli) di Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini. In questo brano viene ricostruita la vicenda del verbale del Comitato tecnico scientifico del 3 marzo scorso, quando l’organismo consigliò l’istituzione di una zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro. Nel verbale appare chiaro come la Regione Lombardia non chiese l’istituzione di una zona rossa. E, secondo quanto detto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte ai magistrati, quel verbale non arrivò mai sulla sua scrivania.
Il 3 marzo la situazione precipita....
Gli ospedali della Bergamasca vengono presi d’assalto, i Pronto soccorso si riempiono all’inverosimile. Vengono aperte le sale destinate alle grandi emergenze, come i terremoti e le alluvioni, ma non bastano. Nella provincia di Bergamo si registrano 372 contagiati, 56 a Nembro e 26 ad Alzano Lombardo.
Il Comitato tecnico scientifico si riunisce nella sede della Protezione civile di via Vitorchiano a Roma. In quella enorme sala, collegata attraverso i monitor alle sedi di tutte le Regioni, si prendono le decisioni che possono cambiare l’andamento del contagio. Che ormai è in corso, ma forse si può ancora circoscrivere. E però non c’è, o meglio non ci sarebbe, un minuto da perdere.
L’analisi degli esperti valuta numerosi fattori. Si deve esaminare la velocità di propagazione del virus, ma soprattutto la sua aggressività. Si deve stabilire la tenuta del sistema sanitario, contando i posti occupati in terapia intensiva. E, in base all’incrocio di questi numeri, occorre verificare quanti siano i malati gravi e quanti i morti. A leggere il verbale che racconta l’accaduto di quel giorno, si comprende il livello di preoccupazione degli scienziati.
E si ha la conferma che dalla Regione Lombardia non è mai arrivata alcuna richiesta di istituire una zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro.
Il linguaggio utilizzato nel documento è burocratico, come sempre. Ma in qualche modo lascia trasparire quale sia il problema che si pone in queste ore così drammatiche. L’ordinanza, firmata il 5 febbraio dal commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 Angelo Borrelli per creare il Comitato tecnico scientifico, ne individua le prerogative ma anche i limiti. E chiarisce che ha «il compito di garantire il necessario supporto tecnico alle attività da porre in essere per realizzare gli obiettivi previsti». In particolare il comitato è finalizzato «ad attuare le misure necessarie a fronteggiare la situazione di emergenza in atto al fine di salvaguardare l’incolumità della popolazione».
«Supporto». È questa la parola chiave. Significa che gli scienziati studiano la situazione, suggeriscono il rimedio, indicano la strada da seguire. Sono consulenti, il loro parere è importante. Ma non è vincolante per il governo, nonostante quello che spesso lascia intendere Gallera. Alla fine, è il presidente del Consiglio a dover decidere, dopo aver consultato i ministri competenti. Durante le riunioni, ma anche nel corso degli incontri pubblici, le conferenze stampa, gli interventi su giornali e televisioni, le interviste radiofoniche, i componenti del Comitato tecnico scientifico ripetono tutti la stessa frase: «Noi proponiamo, ma la parola finale spetta al decisore politico». Sarà così anche per Alzano Lombardo e Nembro.
Il verbale, che dà conto di quanto accade il 3 marzo durante la riunione del Comitato tecnico scientifico, elenca ogni passaggio e si sofferma sui dettagli dei contatti tra le varie istituzioni.
«Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto Superiore di Sanità i dati relativi ai Comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Al proposito è stato sentito per via telefonica l’assessore Gallera e il direttore generale Cajazzo che confermano i dati relativi all’aumento. I due Comuni si trovano in stretta prossimità di Bergamo e hanno una popolazione rispettivamente di 13.639 e 11.522 abitanti. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molte probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta pertanto che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà, in futuro, essere applicato in contesti analoghi».
Appare chiaro quali siano i timori che spingono gli scienziati a chiedere di intervenire con urgenza: l’impennata del numero dei malati e la vicinanza dei due paesi con la città di Bergamo. Tutti coloro che sono riuniti nella sala della Protezione civile sanno quanto alto sia il pericolo che una mossa sbagliata si trasformi in una catastrofe per la popolazione. E dunque si sceglie di procedere, sollecitando una linea di intervento drastica e rapida.
Il verbale viene subito trasmesso a Palazzo Chigi.
Ma qui succede qualcosa di imponderabile, un vero e proprio mistero.
«Quel documento non mi è mai arrivato», dichiarerà infatti Giuseppe Conte ai magistrati di Bergamo che il 12 giugno arriveranno a Roma per interrogarlo come testimone nell’inchiesta avviata proprio per accertare se l’epidemia che ha sconvolto la Bergamasca sia stata colposa, se le sottovalutazioni, le omissioni, i ritardi possano aver favorito il contagio e fatto salire il numero delle vittime. Ai magistrati, forse un po’ sorpresi, che gli chiedono conferma di quel che ha appena detto, il presidente del Consiglio risponde: «Quel documento, io non l’ho mai visto».
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