martedì 5 febbraio 2019

Orizzonte48 - Il Trattato franco-tedesco di Aquisgrana e l'incompatibilità rispetto alle politiche comuni dell'UE.

Risultati immagini per foto di <merkel e Macron insieme


(traduzione di Pellegrina - commento di Sofia)

Una gentilissima lettrice del blog (Pellegrina), si è premurata di tradurre iTrattato franco-tedesco di Aquisgrana. Nel ringraziarla per questo suo lodevole lavoro, lo pubblichiamo su Orizzonte48, non senza qualche preliminare considerazione.

1) Innanzitutto, dovrebbe essere evidente come questo Trattato si inserisce in un contesto molto più ampio, in cui si intersecano interessi nazionali, europei, mondiali, in cui dovrebbero valere le regole del diritto internazionale governate, come sappiamo, dai rapporti di forza che si affermano nel tempo.
Su questo contesto di massima, Orizzonte48 ha già scritto molto in questo blog, ed in particolare, in un post che risale, addirittura, al 12 febbraio 2014, aveva chiarito come funzionano certi rapporti di forza, quelli in particolare che hanno certamente portato alla formazione dei Trattai europei ma il cui schema è riproducibile per ogni tipo di trattato internazionale o bilaterale.
Orizzonte48 aveva infatti chiarito come il diritto internazionale altro non è che umodo di regolare conflitti ineguali, ed il cui esito è sostanzialmente già deciso, o comunque ben delineato, nella realtà politica internazionale, per fare in modo che siano mantenute le posizioni di vantaggio dei più forti e che siano limitate le perdite per i più deboli, attraverso "concessioni" che altrimenti non sarebbero raggiungibili... 
Ciò avviene attraverso trattati internazionali e, quindi, decisioni politiche che conducono a forme transattive (reciproche concessioni, per prevenire o porre fine ad un controversia tra di loro), ma i cui pesi e contrappesi dipendono sempre ed inevitabilmente dai rapporti di forza delle parti contraenti. Nel senso che avranno maggiore peso coloro che apportano il maggior contributo iniziale (la cui influenza si manifesterà nella capacità dettare la formulazione delle norme pattizie) e il maggior peso contributivo-organizzativo, i quali poi invariabilmente utilizzeranno la propria posizione di forza, generalmente nata nella realtà contemporanea sul piano economico-industriale-finanziario, anche nella successiva applicazione del trattato, imponendo la prassi applicativa delle regole del trattato che più conviene ai forti.
Quanto alle parti più deboli, quindi, se nei fatti bruti della realtà internazionale un certo Stato (comunità) è recessivo rispetto a una o più delle controparti di un trattato, ciò si riflette, ancor prima della conclusione di esso, nel fatto che la classe politica e dirigente di tale Stato, è già, in qualche forma e "misura", captured, cioè controllata da quella del Paese più forte: "...il diritto internazionale destatalizzato si trasforma in un ordinamento privatistico su scala mondiale, che istituzionalizza il traffico del mercato globalizzato. Il dominio delle leggi che si autoeseguono non avrà più bisogno di alcuna sanzione statale, perché le funzioni di coordinamento del mercato mondiale bastano a una integrazione pre-statale della società mondiale (Habermas, 2005, pp.188-189)".

2) Ovviamente, alla lunga, i rapporti di forza e gli interessi particolaristici vengono inevitabilmente allo scoperto. Lo si è visto con riferimento ai Trattati europei, dove l’asse frenco-tedesco si è mostrato in tutta la sua evidenza, ancor più dopo la Brexit, e dove la tendenza privatizzante e derubricatrice degli Stati e della loro sovranità democratica, inizia a mostrare la corda, sotto i colpi dei fallimenti del mercato.
Anche in questa nuova situazione, pur essendo evidente che  i rapporti di forza continuano ad operare e il Trattato di Aquisgrana né è un esempio, ci spiegava Quarantotto come non sia facile comprendere e anticipare le mosse dei diversi interlocutori, ognuno dei quali, oltre ad essere condizionato dalle proprie matrici culturali, persegue obiettivi propri sul piano internazionale e mondiale che sono mutevoli anche in relazione all’evolversi delle circostanze.
Ad esempio, le scelte strategiche dell'Italia saranno certamente condizionate dal fatto che questa è guidata dal monetarismo sul piano del sistema bancario e dalle supply side-export oriented-deflattivo-salariali sul piano delle politiche economico-fiscali, da circa 30 anni e che ha trovato alimento e cerca tutt'ora di appoggiarsi nel liberismo intrinseco della governance economica USA. L’Italia, quindi, come noto, sta all’interno di un disegno dominante e i politici finiscono per essere meri esecutori, non sempre in grado di comprendere neppure quando, nel tempo, i propri approcci si rivelano inadeguati rispetto agli stessi originali propugnatori, cioè alla linea politica USA che è inevitabilmente influenzata dalla pressione "privatizzata" dei grandi gruppi economico-finanziari, che ha obiettivi propri e non vive di formule preconcette rigide, ma risponde a un sistema molto più dinamico.
Lo stesso può dirsi per Francia e Germania, che non solo hanno potuto dettare una linea determinante per la salvaguardia dei propri interessi nell’ambito dei Trattati Europei, peraltro immodificabili senza il loro contributo, ma anche ora che l’Unione Europea incomincia a manifestare segni di sfaldamento, regolano, sempre in base ai reciproci rapporti di forza, i loro rapporti bilaterali sia con riferimento al contesto Europeo che mondiale.

3) Ora, su cosa ci sia veramente dietro questo Trattato, sono state fatte giàmolte congetture, ma comunque tutti concordano sul fatto che il disegno di  una Europa più integrata e unita è ormai una chimera.
Qualcuno sostiene che con l’uscita del Regno Unito, l’Unione Europea non avrebbe capacità di proiezione esterna e spazio di manovra sullo scenario mondiale, e in previsione anche degli esiti delle elezioni europee, il patto franco-tedesco costituirebbe una sorta di Piano B, una mossa difensiva delle due potenze in difficoltà fuori dallo scenario europeo, e dagli Stati Uniti, con cui da un lato si proietta il futuro dell’Europa  (costituita da Francia Germania e tutto il resto sono colonie, quale ennesima prova del fatto che l’attuale Europa è ormai obsoleta ) e dall’altro si lancia un chiaro messaggio alle richieste/pretese USA (che vorrebbe maggiori acquisti dei propri armamenti da parte dell’Europa) contrapponendo l’obiettivo di sviluppare un’industria militare e una forza di intervento esclusivamente franco-tedesca.
Insomma, a parere di qualcun altro, Francia e Germania si arroccano in una posizione di potenza invece che distribuire il peso della potenza medesima tra tutti gli interlocutori del’Unione, contribuendo in tal modo all’indebolimento dell’Europa su scala globale. Sostanzialmente, il Trattato di Aquisgrana confliggerebbe con i nostri interessi fondamentali, il nostro ”peso determinante”. In questo senso, infatti, il Trattato aggraverebbe la nostra posizione internazionale perché accrescerebbe i nostri gradi di dipendenza subalterna nell’equilibrio europeo.

4) In ogni caso, che anche il Trattato di Aquisgrana sia l’ennesima manifestazione e rappresentazione di specifici rapporti di forza, emerge anche dalla tecnica giuridica di redazione del Trattato stesso che, avuto riguardo al linguaggio dei trattati contemporanei, è piuttosto stringente e dunque foriero di prassi applicative politicamente forti. Con una esplicitazione di oggetto e scopo, che non sono affatto coerenti con oggetto e scopo del trattato Ue, ma anzi paiono, secondo il principio di specialità, il tentativo di controllare (cosa che già era nei fatti) l'Ue in modo più esplicito e soprattutto idoneo a ridefinire la natura stessa del Trattato europeo.
Sostanzialmente,  non solo c'è una logica imperialista (e quindi di massimizzazione del controllo politico dei due paesi forti su tutti gli altri), ma questa è anche contraria al processo di cessione simultanea di sovranità attuata da tutti gli altri paesi dell’UE e di prospettata parità. La sovranità esterna dei due paesi, nei rapporti internazionali, ne viene esaltata, e il trattato UE finisce per essere politicamente, economicamente e militarmente subordinato.
Il Trattato franco-tedesco, dal nostro punto di vista, non solo mette in situazione di imbarazzo tutte le politiche attuate quale corollario della limitazione di sovranità attuata dal nostro Paese in adempimento dell’art. 11 Cost, che aveva quale presupposto le condizioni di parità con gli altri stati (quando è invece evidente che alcuni stati forti si sono avvantaggiati competitivamente della limitazione di sovranità operata di altri Stati), ma si palesa incompatibile con i Trattati Europei.
I vari paesi, infatti, vi hanno aderito (cedendo “di fatto” la propria sovranità) sul presupposto della “creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa” (art. 1 TUE), e di una “coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri” (art. 3 TUE).
Inoltre, sempre in base all’art. 3 TUE “Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione”.
Mentre è evidente che con il Trattato di Aquisgrana i due paesi, in maniera subdola, se pure non sembrano sottrarsi alle politiche comunitarie, di certo si sottraggono a quella componente solidaristica, paritaria, comunitaria delle politiche per perseguire interessi sempre più particolaristici e, in un certo senso, attraverso lo sfruttamento di una posizione dominante derivante dai propri rapporti di forza, rafforzare tale posizione privilegiata, sia dentro l’Europa che fuori.  
Basta leggere le scarne disposizioni dell’accordo bilaterale franco-tedesco per rendersi conto come queste non siano compatibili con quelle dei Trattati che invece, impongono politiche industriali, commerciali e di politica estera, unitarie. Ad esempio, secondo l’art. 42 del TUE “La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune” (comma 1) e ancora, al comma 2 che “La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell'Unione” e (comma 3) “contribuisce a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipa alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e assiste il Consiglio nella valutazione del miglioramento delle capacità militari”.
Le politiche comuni attengono anche all’industria (v. art. 173 TFUE), tema su cui  “gli Stati membri si consultano reciprocamente in collegamento con la Commissione e, per quanto è necessario, coordinano le loro azioni”. Così come alla coesione economica, sociale e territoriale (art. 174 TFUE) su cui pure gli “Stati membri conducono la loro politica economica e la coordinano anche al fine di raggiungere gli obiettivi dell'articolo 174” (v. art. 175 TFUE).
Insomma, pare piuttosto evidente come gli impegni dei due paesi trasposti nel Trattato, non possano definirsi coerenti con i principi dei Trattati Europei e le obbligazioni che ne scaturiscono a carico di ciascun paese aderente che come noto,  deve continuamente adeguare le proprie politiche interne alle esigenze comuni dei Trattati.
E allora, se pur avendo aderito all’Europa, i vari stati non si trovano più ad agire in situazioni di parità e non vengono più perseguite politiche comuni (le sole che giustificano forti limitazioni della libertà di autoregolare le proprie politiche economiche interne) perché gli interessi particolaristici (che in verità ci sono sempre stati) riprendono vigore attraverso escamotage più o meno espliciti, occorre domandarsi quale sia il senso e il futuro dell’Europa.
E  soprattutto se vi siano i presupposto per esercitare una sorta di recesso a causa dell’inadempimento di alcune parti e del venir meno delle finalità che con l’UE si volevano perseguire.

5) Quarantotto ha ampiamente esposto anche le proprie teorie sul punto, sull’applicabilità del recesso ex art. 50 TFUE, cui si rimanda, richiamando, ora, solo un breve passaggio che si attaglia perfettamente  al tema ora trattato:  “la funzione e gli obiettivi fondamentali dell’Unione, anche nella loro proiezione “monetaria” (concretizzatasi nella scelta dell’adozione dell’euro), non possono che individuare, come parametro di correttezza dei comportamenti riconducibili ai vincoli pattizi, l’interesse negoziale, “reciproco” e condiviso, dedotto dal soggetto (statale) aderente. Tale interesse ha una sostanza giustificativa inevitabilmente comune a tutti gli Stati-membri, dunque valevole come “condizione” essenziale (paritaria) per l’adesione, e deve necessariamente consistere nella promozione del “benessere” dei cittadini che in quel soggetto aderente si riconoscono. Da tale rilievo, tra l’altro, si può trarre la ragionevole e obiettiva deduzione interpretativa che la stessa manifesta violazione delle condizioni di parità “di interesse sostanziale” tra Stati (e rispettivi cittadini soggetti alle conseguenze politiche economiche del trattato) integri di per sé la “eccessiva onerosità” che giustifica l’invocazione della clausola “rebus sic stantibus”….Pertanto, alla luce della giustificazione costituzionale e della “causa naturale” della stessa partecipazione “europea”, ove:
- nell’applicazione di un trattato tali condizioni di parità non siano state effettivamente reciprocamente garantite, in conseguenza di un’interpretazione “inattesa”, secondo il metro della “buona fede in senso oggettivo”, ovvero addirittura “dolosa”, delle clausole del trattato da parte di altri Stati membri;
- le posizioni univocamente assunte da altri partners - che abbiano vìolato o “eluso” principi o obiettivi fondamentali della convenzione-, mostrino che le medesime “condizioni”(parità e perseguimento omogeneo del benessere dei cittadini) siano divenute non più avverabili a costi obiettivamente ragionevoli, nonché coerenti con un quadro correttamente cooperativo (che è la “causa” generale “tipica” di tale tipo di trattati);
- ne discende che la denunzia del trattato secondo, quantomeno, il principio “rebus sic stantibus” (mutamento essenziale dei presupposti giustificativi del patto internazionale), appare un dovere attuativo della previsione costituzionale.



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Trattato tra la Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca sulla cooperazione e l’integrazione franco-tedesche.

Testo pubblicato su La Tribune il 16 gennaio 2019.
[Link aggiunti dal traduttore].

La Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca:

Riconoscendo il successo storico della riconciliazione tra i popoli francese e tedesco a cui il Trattato del 22 gennaio 1963 tra la Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca sulla cooperazione franco tedesca ha apportato un contributo eccezionale e da cui è nata una rete senza precedenti di relazioni bilaterali tra le rispettive società civili e i rispettivi poteri pubblici a tutti i livelli,

Convinte che sia giunto il momento di innalzare le loro relazioni bilaterali a un livello superiore e di prepararsi alle sfide cui i due Stati e l’Europa sono confrontati nel XXI secolo, e desiderando far convergere le rispettive economie e i rispettivi modelli sociali, favorire la diversità culturale e avvicinare le proprie società e i propri cittadini,

Convinte che la stretta amicizia tra la Francia e la Germania è stata determinante e rimane un elemento indispensabile di una Unione europea unita, efficace sovrana e forte,

Impegnate a approfondire la loro cooperazione in materia di politica europea al fine di favorire l’unità, l’efficacia e la coesione dell’Europa, contemporaneamente mantenendo tale cooperazione aperta a tutti gli stati dell’Unione europea,

attaccate ai principi fondatori, diritti, libertà e valori dell’Unione europea, che difendono lo stato di diritto ovunque nell’Unione europea  e lo promuovono all’esterno,

impegnate a operare in vista di una convergenza sociale ed economica ascendente in seno all’Unione europea, a rinforzare la solidarietà reciproca e a favorire il miglioramento costante delle condizioni di vita e di lavoro conformemente ai principi dello zoccolo europeo dei diritti sociali, anzitutto accordando un’attenzione particolare all’acquisizione dell’autonomia da parte delle donne e alla parità tra i sessi,

Riaffermando l’impegno dell’Unione europea in favore di un mercato mondiale aperto, equo e fondato su regole, il cui accesso riposa sulla reciprocità e la non discriminazione, retto da norme ambientali e sociali di alto livello,

Coscienti dei loro diritti e obblighi in virtù della Carta delle Nazioni Unite,

Fermamente attaccate a un ordine internazionale fondato su regole e sul multilateralismo di cui le Nazioni Unite costituiscono l’elemento centrale,

Convinte che prosperità e sicurezza non potranno essere assicurate che agendo d’urgenza al fine di proteggere il clima e di preservare la biodiversità e gli ecosistemi,

Agendo conformemente alle loro rispettive regole nazionali costituzionali e giuridiche e nel quadro giuridico dell’Unione Europea,

Riconoscendo il ruolo fondamentale della cooperazione decentrata dei comuni, dei département [suddivisioni amministrativo-territoriali francesi la cui istituzione risale alla Rivoluzione francese], delle regioni, dei Länder [stati federali della RFT], del Sénat [camera eletta da grandi elettori per rappresentare le collettività territoriali] e del Bundesrat [camera dei Länder], come quello della cooperazione tra il Plenipotenziario della Repubblica federale tedesca addetto agli Affari culturali nel quadro del Trattato sulla cooperazione franco-tedesca e i ministri francesi competenti,

Riconoscendo il ruolo essenziale della cooperazione tra l’Assemblée Nationale e il Bundestag tedesco, in particolare nel quadro del loro accordo interparlamentare del 22 gennaio 2019, che costituisce una dimensione importante degli stretti legami tra i due paesi,

Convengono quanto segue:


Titolo primo
Affari europei

Art. 1
I due Stati approfondiscono la loro cooperazione in materia di politica europea. Agiscono in favore di una politica estera e di sicurezza comune efficace e forte, e rinforzano e approfondiscono l’Unione economica e monetaria. Si sforzano di condurre in porto il compimento del Mercato unico e si impegnano a costruire una Unione competitiva facente assegnamento su una forte base industriale, che serva di base alla prosperità, promuovendo la convergenza economica, fiscale e sociale, così come la durevolezza in tutte le sue dimensioni.

Art. 2
I due Stati si consultano regolarmente a tutti i livelli prima delle grandi scadenze europee, cercando di stabilire posizioni comuni e di concordare interventi coordinati dei loro ministri. Si coordinano sulla trasposizione del diritto europeo nel rispettivo diritto nazionale.

Titolo 2
Pace, sicurezza, sviluppo

Art. 3
I due Stati approfondiscono la loro cooperazione in materia di politica estera, di difesa, di sicurezza esterna e interna e di sviluppo, sforzandosi contemporaneamente di rinforzare la capacità di azione autonoma dell’Europa. Si consultano al fine di definire posizioni comuni su ogni decisione importante che tocchi i loro interessi comuni e di agire congiuntamente in tutti i casi in cui ciò sarà possibile.

Art. 4
(1)           in conseguenza degli impegni che li legano in virtù dell’ art. 5 del Trattato del nord Atlantico [N.d.T = NATO] del 4 aprile 1949 e dell’art. 42 c  7 del Trattato sull’Unione europea del 7 febbraio 1992, modificato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato istitutivo della Comunità europea, i due Stati, convinti del carattere indissociabile dei loro interessi in materia di sicurezza, fanno convergere sempre più i loro obiettivi e politiche di sicurezza e difesa, rinforzando perciò stesso i sistemi di sicurezza collettivi di cui fanno parte. Si prestano aiuto e assistenza con ogni mezzo di cui dispongono compresa la forza armata, in caso di aggressione armata contro i loro territori. Il campo di applicazione territoriale della seconda parte del presente comma corrisponde a quello dell’art. 42, par. 7, del Trattato sull’Unione europea.
(2)           I due Stati agiscono congiuntamente in tutti i casi in cui ciò sarà possibile, conformemente alle proprie rispettive regole nazionali, nella prospettiva di mantenere la pace e la sicurezza. Essi continuano a sviluppare l’efficacia, la coerenza e la credibilità dell’Europa nel campo militare. Così facendo essi si impegnano a rafforzare la capacità di azione dell’Europa e a investire congiuntamente per colmare le lacune di capacità, rinforzando così l’Unione europea e l’Alleanza nord-atlantica [NATO].

(3)       I due Stati si impegnano inoltre a rafforzare la cooperazione tra le rispettive forze armate nell’ottica di instaurare una cultura comune e di operare dispiegamenti congiunti. Essi intensificano l’elaborazione di programmi di difesa comuni e il loro allargamento a dei partner. Ciò facendo essi intendono favorire la competitività e il consolidamento della base industriale e tecnologica della difesa europea. Essi sono a favore della cooperazione più stretta possibile tra le rispettive industrie della difesa, sulla base della reciproca fiducia. I due Stati elaboreranno un approccio comune in materia di esportazione di armamenti per ciò che concerne i progetti congiunti.
(4)       I due Stati costituiscono il Consiglio franco-tedesco di difesa e di sicurezza come organo politico di pilotaggio di questi reciproci impegni. Il Consiglio si riunirà al più alto livello a intervalli regolari.


Art. 5
I due Stati estendono la cooperazione tra i loro ministeri degli Affari esteri, ivi comprese le missioni diplomatiche e consolari. Essi procederanno a scambi di personale di alto rango. Stabiliranno scambi in seno alle loro rappresentanze permanenti alle Nazioni Unite di New York, in particolare tra le loro équipe delConsiglio di sicurezza, le loro rappresentanze permanenti presso la NATO e quelle presso l’Unione europea, così come tra gli organismi dei due Stati incaricati di coordinare l’azione europea.

Art. 6
Nel campo della sicurezza interna i governi dei due Stati rafforzano ancora la loro cooperazione bilaterale in materia di lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, così come la loro cooperazione nel campo giudiziario e in materia di servizi segreti e di polizia. Essi mettono in opera misure comuni di formazione e dispiegamento e creano una unità comune in vista di operazioni di stabilizzazione in paesi terzi.

Art. 7
I due Stati s’impegnano a stabilire un partenariato via via più stretto tra Europa e Africa rinforzando la loro cooperazione in materia di sviluppo del settore privato, integrazione regionale, insegnamento e formazione professionale, parità dei sessi e all’acquisizione dell’autonomia delle donne, con lo scopo di migliorare le prospettive socioeconomiche, la vivibilità, la buona gestione  così come la prevenzione dei conflitti, la risoluzione delle crisi, soprattutto nel quadro di mantenimento della pace, e la gestione delle situazioni post-conflitto. I due Stati istituiscono un dialogo annuale a livello politico in materia di politica internazionale di sviluppo al fine di intensificare la coordinazione e la pianificazione dell’attuazione delle loro politiche.

Art. 8
(1)           Nel quadro della Carta delle Nazioni Unite, i due Stati coopereranno strettamente nel seno di tutti gli organi dell’ONU. Essi coordineranno strettamente le loro posizioni nel quadro di uno sforzo più ampio di concertazione tra gli Stati membri dell’Unione europea che siedono nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nel rispetto delle posizioni e degli interessi dell’Unione europea. Essi agiranno di concerto al fine di promuovere alle Nazioni Unite le posizioni e gli impegni dell’Unione europea di fronte a sfide e minacce di portata mondiale. Essi non tralasceranno nulla per raggiungere una posizione unificata dell’Unione europea in seno ai relativi organi delle Nazioni Unite.
(2)           I due Stati si impegnano a proseguire i propri sforzi per concludere negoziazioni intergovernative riguardanti la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’ammissione della Repubblica federale tedesca in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite è una priorità della diplomazia franco- tedesca.

Titolo 3
Cultura, insegnamento, ricerca e mobilità

Art. 9
I due Stati riconoscono il ruolo decisivo che giocano la cultura e i media nel rinforzare l’amicizia franco-tedesca. Di conseguenza, essi sono risoluti a creare per i loro popoli uno spazio condiviso di libertà e possibilità, così come uno spazio culturale e mediatico comune. Essi sviluppano la mobilità e i programmi di scambio tra i loro paesi, in particolare rivolti ai giovani nel quadro dell’ Office franco-allemand pour la Jeunesse e definiscono degli obbiettivi quantitativi in questi campi. Al fine di favorire legami sempre più stretti in tutti i campi dell’espressione culturale, soprattutto per mezzo di istituzioni culturali integrate, essi istituiscono programmi specifici e una piattaforma digitale destinati in particolare ai giovani.

Art. 10
I due Stati avvicinano i rispettivi sistemi educativi grazie allo sviluppo dell’apprendimento reciproco della lingua dell’altro, all’adozione, conformemente alla reciproca organizzazione costituzionale, di strategie che mirano a accrescere il numero di allievi che studiano la lingua del partner, a una azione in favore del reciproco riconoscimento dei titoli di studio e alla istituzione di strumenti franco-tedeschi di eccellenza per la ricerca, la formazione e l’insegnamento professionale, così come di doppi programmi franco-tedeschi nell’insegnamento universitario.

Art. 11
I due Stati favoriscono la messa in rete dei loro sistemi di insegnamento e di ricerca, così come delle loro strutture di finanziamento. Essi perseguono lo sviluppo dell’ Università franco-tedesca e incoraggiano le università francesi e tedesche a partecipare a reti di università europee.

Art. 12
I due Stati istituiscono un Fondo civico comune destinato a incoraggiare e sostenere le iniziative e i gemellaggi tra città con lo scopo di avvicinare ancora i loro due popoli.

Titolo 4
Cooperazione regionale e transfrontaliera

Art. 13
(1)           I due Stati riconoscono l’importanza rivestita dalla cooperazione transfrontaliera tra Repubblica francese e Repubblica federale tedesca per rinsaldare i legami tra cittadini e imprese da ambo le parti della frontiera, soprattutto il ruolo essenziale delle collettività territoriali e altri attori locali a questo riguardo. Essi intendono facilitare l’eliminazione degli ostacoli nei territori di frontiera al fine di attuare progetti transfrontalieri e facilitare la vita quotidiana degli abitanti di questi territori.
(2)           A questo effetto, nel rispetto delle regole costituzionali rispettive dei due Stati e nei limiti del diritto dell’Unione europea, i due Stati dotano le collettività territoriali dei territori frontalieri e le entità transfrontaliere come gli eurodistrettidi competenze appropriate, risorse dedicate e procedure accelerate, in particolare nei campi economico, sociale, ambientale, sanitario, energetico e dei trasporti [NdT:qui la descrizione degli obbiettivi di un eurodistretto come la dà quello di Strasburgo-Ortenau]. Se nessun altro mezzo permette loro di sormontare gli ostacoli, possono essere accordate disposizioni giuridiche e amministrative adattate, soprattutto deroghe. In questo caso tocca ai due Stati adottare la legislazione appropriata.
(3)           I due Stati rimangono legati alla preservazione di norme rigide  nei campi del diritto del lavoro, della protezione sociale, della salute e della sicurezza così come della protezione dell’ambiente.


Art. 14
I due Stati istituiscono un comitato di cooperazione transfrontaliera che comprende soggetti interessati come lo Stato e le collettività territoriali, i parlamenti e le entità transfrontaliere come gli eurodistretti e, in caso di necessità, le euroregioni interessate. Il comitato è incaricato di coordinare tutti gli aspetti dell’osservazione territoriale transfrontaliera tra la Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca, di definire una strategia comune di scelta dei progetti prioritari, di assicurare il controllo delle difficoltà incontrate nei territori di frontiera e di avanzare proposte nell’ottica di porvi rimedio, così come di analizzare l’incidenza della nuova legislazione nei territori di frontiera.

Art. 15
I due Stati sono attaccati all’obiettivo del bilinguismo nei territori di frontiera e accordano il proprio sostegno alle collettività di frontiera al fine di elaborare e attuare strategie appropriate.

Art. 16
I due Stati faciliteranno la mobilità transfrontaliera migliorando l’interconnessione delle reti digitali e fisiche tra loro, soprattutto nei collegamenti ferroviari e stradali. Essi agiranno in stretta collaborazione nel campo della mobilità innovativa, sostenibile e accessibile a tutti, al fine di elaborare approcci o norme comuni a entrambi gli Stati.

Titolo 5
Sviluppo sostenibile, clima, ambiente e affari economici

Art. 17
I due Stati incoraggiano la cooperazione decentrata tra le collettività dei territori non frontalieri. Essi si impegnano a sostenere le iniziative lanciate da queste collettività che sono attuate in questi territori.

Art. 18
I due Stati si adoperano per rafforzare il processo di attuazione di strumenti multilaterali relativi allo sviluppo sostenibile, alla salute mondiale e alla protezione dell’ambiente e del clima, in particolare l’ Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015 e il Programma di sviluppo sostenibile orizzonte 2030 delle Nazioni Unite. A questo effetto, essi agiscono di concerto al fine di formulare approcci e politiche comuni, soprattutto istituendo dispositivi nell’ottica della trasformazione delle loro economie e favorendo delle azioni ambiziose di lotta contro i cambiamenti climatici. Essi garantiscono l’integrazione della protezione del clima in tutte le politiche, soprattutto attraverso scambi trasversali regolari tra governi nei settori chiave.

Art. 19
I due Stati faranno progredire la transizione energetica in tutti i settori appropriati e, a questo scopo, sviluppano la loro cooperazione e rinforzano il quadro istituzionale di finanziamento, di elaborazione e di messa in atto di progetti congiunti, in particolare nei campi delle infrastrutture, delle energie rinnovabili e dell’efficacia energetica.

Art. 20
(1)           I due Stati approfondiscono l’integrazione delle loro economie al fine di istituire una zona economica franco-tedesca dotata di regole comuni. Il Consiglio economico e finanziario franco-tedesco favorisce l’armonizzazione bilaterale delle rispettive legislazioni, soprattutto nel campo del diritto degli affari, e coordina in modo regolare le politiche economiche tra la Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca al fine di favorire la convergenza tra i due Stati e di migliorare la competitività delle loro economie.
(2)           I due Stati istituiscono un “Consiglio franco-tedesco di esperti economici” composto di dieci esperti indipendenti al fine di presentare ai due governi delle raccomandazioni sulla loro azione economica.

Art. 21
I due Stati intensificano la loro cooperazione nel campo della ricerca e della trasformazione digitale, soprattutto in materia di intelligenza artificiale e di innovazione radicale. Promuovono su scala internazionale direttive sull’etica delle nuove tecnologie. Costruiscono iniziative franco-tedesche aperte alla cooperazione a livello europeo al fine di promuovere l’innovazione. I due Stati istituiranno un processo di coordinamento e un finanziamento  comune al fine di sostenere programmi congiunti di ricerca e innovazione.

Art. 22
Le parti coinvolte e gli attori interessati dei due Stati sono riuniti in seno a un Forum per l’avvenire franco-tedesco al fine di lavorare sul processo di trasformazione delle loro società.

Titolo 6
Organizzazione

Art. 23
Riunioni tra i governi dei due Stati hanno luogo a cadenza almeno annuale alternatamente nella Repubblica francese e nella Repubblica federale tedesca. Dopo l’entrata in vigore del presente Trattato, il Consiglio dei ministri franco-tedesco adotta un programma pluriennale di progetti di cooperazione franco-tedesca. I segretari generali per la cooperazione  franco-tedesca incaricati di preparare le riunioni assicurano il controllo dell’attuazione del programma e riferiscono al Consiglio dei ministri.

Art. 24
In alternanza un membro del governo di uno dei due Stati prende parte almeno ogni tre mesi al Consiglio dei ministri dell’altro Stato.

Art. 25
I consigli, strutture e strumenti della cooperazione franco-tedesca sono oggetto di un esame periodico e sono, in caso di necessità, adattati senza indugio agli obbiettivi fissati di comune accordo. Il primo di questi esami dovrebbe avere luogo entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente Trattato e proporre gli adattamenti necessari. I segretari generali per la cooperazione franco-tedesca valutano regolarmente i progressi compiuti. Essi informano i parlamenti e il Consiglio dei ministri franco-tedesco sullo stato generale di avanzamento della cooperazione franco-tedesca.

Art. 26
Dei rappresentanti delle regioni e dei Länder, così come del comitato di cooperazione transfrontaliera, possono essere invitati a partecipare al Consiglio dei ministri franco-tedesco.

Titolo 7
Disposizioni finali

Art. 27
Il presente Trattato completa il Trattato del 22 gennaio 1963 tra la Repubblica francese e la Repubblica federale tedesca sulla cooperazione franco-tedesca ai sensi del paragrafo 4 delle Disposizioni finali del Trattato.

Art. 28
I due Stati si informano reciprocamente, per via diplomatica, del compimento delle procedure nazionali richieste per l’entrata in vigore del presente Trattato. Il presente Trattato entra in vigore alla data di ricevimento dell’ultima notifica.



LUNEDÌ 7 GENNAIO 2019

LA PRESUNTA INCOSTITUZIONALITÀ DELL’ITER DI APPROVAZIONE DEL DDL BILANCIO: IN ATTESA DELL’ESAME DELLA CONSULTA DEL 9 GENNAIO.



 (post di Sofia)


1. Il 28 dicembre l'Aula della Camera ha avviato la terza lettura della legge di Bilancio 2019. Una corsa contro il tempo (causata anche dalle trattative con l’Unione Europea) per evitare l'esercizio provvisorio per cui nella notte, la commissione Bilancio di Montecitorio ha approvato, con i voti di M5s-Lega e l'opposizione di Pd e Forza Italia, il mandato al relatore, e il via libera alla trasmissione del provvedimento all'assemblea senza discutere né votare (come già al Senato in seconda lettura) i circa 350 emendamenti presentati.
La Camera, con 327 voti favorevoli e 228 contrari, ha votato il 29 dicembre la questione di fiducia posta dal Governo sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo 1 del disegno di legge: Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 (A.C. 1334-B), nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato.
La manovra ha avuto il via libera finale e definitivo dall'Aula della Camera, con 313 sì e 70 no, il 30 dicembre a cui è seguita la firma del Presidente della Repubblica.

2. Come riporta IlSole24ore, da un esame dei resoconti parlamentari delle sedute, negli ultimi due passaggi - al Senato prima e alla Camera poi - viene fuori che il testo è rimasto all’esame delle due Commissioni per un totale di 45 ore circa. In Commissione al Senato, l’esame è durato oltre 28 ore, 7 ore per il passaggio alla Camera.
Non cero una novità, tanto che nell’intervento tenuto in aula alla Camera il 28 dicembre, riportato nei resoconti parlamentari, il presidente Roberto Fico ha ricordato alcuni precedenti in cui si è proceduto direttamente al voto del mandato senza aver votato nessun emendamento: «Seduta delle Commissioni riunite bilancio e finanze del 13 dicembre 2011 e 21 luglio 2009, Commissione bilancio del 7 dicembre 2007». E poi ancora: «La seduta della I Commissione del 31 luglio 1996, 1997, 2000, 2006, delle Commissioni IX e XI nel 1998, dell'VIII Commissione nel 1996, della VI Commissione il 17 ottobre 1996; la III Commissione il 26 novembre 2015».
Sul fronte della discussione dei provvedimenti di bilancio, da un controllo effettuato meramente sui resoconti d’aula, e con riferimento alla Camera, viene fuori che le discussioni sulla legge di Bilancio sono durate, nel 2016 e nel 2017, circa 11 ore, compresa la discussione sulla questione di fiducia.

3. Il Pd presenta ricorso alla Corte Costituzionaleritenendo l’incostituzionalità dell’iter a tappe forzate del ddl Bilancio e sollevando un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sull'iter di approvazione della legge.
Il presidente della Corte Costituzionale ha fissato con decreto la trattazione dell’ammissibilità del ricorso nella Camera di consiglio del 9 gennaio 2019.
Secondo il deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti, il ricorso  - presentato dal capogruppo del Partito democratico al Senato Andrea Marcucci e da altri 36 senatori del Pd - metterebbe in evidenza la violazione dell'articolo 72 della Costituzione, “secondo il quale ogni testo legislativo deve essere esaminato dalla commissione di merito e votato articolo per articolo dall'Aula”. Il ricorso, sostanzialmente, sembrerebbe basarsi sull'idea che un gruppo parlamentare sia un potere dello Stato e che quindi possa avanzare un ricorso diretto alla Consulta, così come prevede l'articolo 134, secondo comma della Costituzione.
In attesa del pronunciamento della Corte, si sono già espressi diversi costituzionalisti.
Secondo Ugo De Siervocostituzionalista, ex presidente della Consulta, un ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzione non sarebbe possibile perchè i conflitti intervengono tra i poteri supremi dello Stato. E un partito non rientra nella categoria di tali poteri.
La medesima tesi è confermata da Cesare Pinelli, docente di Diritto pubblico alla Sapienza.
Mentre Francesco Clementi, docente di Diritto Pubblico all'Università di Perugia e tra i promotori del ricorso, ne sostiene l’ammissibilità, ritenendo che  il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare la volontà del potere. Nel caso di specie, a presentare il ricorso è un decimo dei parlamentari di un gruppo, per cui, il ricorso sarebbe ammissibile perché presentato da una quota di un gruppo parlamentare, e non da un partito (la cui legittimazione è espressamente stata esclusa dalla Corte).
Giovanni Guzzetta, docente di Diritto Pubblico a Tor Vergata, ritiene che ci si  trovi in un terreno ignoto (ed in effetti non risultano precedenti simili) ma che comunque i margini per l'ammissibilità del ricorso ci sarebbero in quanto “i gruppi parlamentari sono menzionati dalla Costituzione come articolazioni delle Camere”. Tuttavia, lo stesso costituzionalista deve ammettere che c'è una grande continuità tra il governo Conte e i governi precedenti, perché tutti hanno scavalcato il Parlamento e fatto ricorso all'utilizzo dei maxiemendamenti.

4. Al di là delle diverse opinioni finora espresse, comunque, la decisione di ammissibilità da parte della Corte costituzionale sul ricorso del gruppo Pd Senato deve in sostanza rispondere a una domanda fondamentale, ossia se nella categoria dei poteri dello Stato prevista dall'articolo 134 della Costituzione può o no rientrare un gruppo parlamentare.
Infatti, il conflitto di attribuzione tra poteri dello stato (c.d. conflitti interorganici),insorge tra organi statali, cioè tra articolazioni organizzative appartenenti al medesimo soggetto (lo Stato, appunto) e riguardano comportamenti (azioni e/o omissioni) o atti lesivi delle attribuzioni costituzionalmente previste. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, non sono ammessi conflitti meramente ipotetici: è necessario che il comportamento (o l’atto) sia suscettibile di produrre una lesione concreta dell’altrui attribuzione.
La giurisprudenza della Corte costituzionale, comunque, per riconoscere un potere dello Stato, richiede: che esso sia almeno menzionato dalla Costituzione; che gli competa una sfera di attribuzioni costituzionali; che ponga in essere atti in posizione di autonomia e indipendenza; che questi atti siano imputabili allo Stato.
Per quanto riguarda la legittimazione ad essere parte (attore o convenuto) di un conflitto interorganico, tale conflitto deve insorgere «tra organi competenti a dichiararedefinitivamente la volontà del potere cui appartengono» (l. n. 87/1953).  La legittimazione a sollevare conflitti di attribuzione spetta non necessariamente all'organo gerarchicamente superiore nell'ambito di un potere, ma a quello che può manifestare in via definitiva la volontà del potere cui appartiene. 

5. Ebbene, un gruppo parlamentare (o meglio una parte di un gruppo come nel caso di specie) risponde a questi requisiti così da potersi vedere riconosciuta la legittimazione a sollevare un conflitto di attribuzione?
Al momento non pare sussistano dei precedenti sui gruppi parlamentari, e quindi possono essere di ausilio gli altri precedenti della Corte.
La Corte costituzionale ha ammesso, nel tempo, la legittimazione di una serie di organi che va ben al di là della tradizionale tripartizione (legislativo, esecutivo e giudiziario) e che pure, a stretto rigore, non sarebbero organi di vertice: oltre, infatti, ai singoli rami del Parlamento (v. Corte Costituzionale, 19/07/2018, n.163 che riconosce la legittimazione delle Camere ma non dei singoli parlamentari - per cui v. anche le ordinanze 20 maggio 1998, n. 177; 14 aprile 2000, n. 101; 17 luglio 2009, n. 222; 16 giugno 2016, n. 149 - e n, 164 che esclude la legittimazione del singolo cittadino nella sua qualità di elettore; v. anche nello stesso senso Corte Costituzionale, 21/12/2017, n.280 e Corte Costituzionale, 28/11/2016 , n. 256), al Consiglio dei ministri e ad ogni singolo giudice e pubblico ministero (con la motivazione che il potere giudiziario costituisce un potere diffuso, cioè non soggetto al principio gerarchico; Magistratura), sono legittimati a un sollevare conflitto di attribuzione anche il Presidente della Repubblica, la stessa Corte costituzionale, la Corte dei conti, il Consiglio superiore della magistratura (nonché la sua Sezione disciplinare), le Commissioni parlamentari di inchiesta, la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (c.d. Commissione di vigilanza sulla RAI), il Presidente del Consiglio dei ministri (solo per le attribuzioni di rilievo costituzionale a lui riservate), il Ministro della giustizia, nonché, addirittura, figure esterne allo Stato-apparato, come il Comitato promotore di un referendum abrogativo, anche se limitatamente per ciò che attiene allo svolgimento del procedimento referendario. È stata negata, invece, la legittimazione ai partiti politici (Corte Costituzionale, 28/11/2016 , n. 256).
Sulla base di questi precedenti, quindi, il ricorso sarebbe inammissibile se si considerasse proposto da un partito politico (o parte di esso) ma anche da singoli parlamentari proprio perché non sono organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono.
Significativo è il precedente caso di cui all’ordinanza n. 277/2017. La Corte costituzionale ha rigettato la tesi, pure adombrata in dottrina, di «concorrenza potenziale tra la legittimazione tanto del singolo parlamentare quanto della camera di appartenenza», escludendo «la tesi dell’assorbimento dell’interesse del singolo parlamentare nell’organo assembleare, stante non solo l’autonoma rilevanza di esso, ma anche l’attualità dell’interesse» (v. Luca Grimaldi e Cosimo Pietro Guarini “Su alcuni conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati a seguito della «situazione venutasi a creare» con le ultime leggi elettorali” che a sua volta  richiama  A. MORRONE, Note sul ricorso del singolo parlamentare per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in R. BIN, G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), “Il caso Previti”. Funzione parlamentare e giurisdizione in conflitto davanti alla Corte, Torino, 2000, 121 ss., 134).
Come già notato in dottrina, però, «ricostruire la posizione del parlamentare come titolare pro quota della sovranità nazionale attribuita al popolo dall’art. 1 Cost. o del potere di determinare la politica nazionale (richiamando dunque l’art. 49 Cost. in relazione ai partiti politici) o sulla base della sua funzione di rappresentante della nazione (art. 67 Cost.) non pare affatto decisivo al fine di individuare una sfera costituzionalmente assegnata al parlamentare e lesa dall’approvazione di una legge illegittima».
Peraltro, nell’ordinanza n. 280 del 2017 la Corte pare anche aver escluso una possibile estensione della sfera di legittimazione al conflitto «sino a ritenerla comprensiva di un asserito diritto alla regolarità delle procedure parlamentari» o lamentando violazioni regolamentari.
Come già evidenziato dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza 2 novembre 1996, n. 379 la possibile enucleazione di «diritti» del singolo parlamentare non deve condurre automaticamente a considerare tali diritti quali attribuzioni rilevanti ai sensi dell’art. 37, l. n. 87 del 1953 e, quindi, alla prospettiva del suo (ammissibile) accesso alla sede del conflitto tra poteri. Anche nell’ordinanza n. 149 del 2016 la Consulta ha riconosciuto che dalle disposizioni costituzionali deriva «la titolarità, in capo a ciascun parlamentare, del potere di iniziativa legislativa, che si estrinseca non solo con la presentazione di proposte di legge, ma altresì con la formalizzazione di emendamenti ai progetti di legge in discussione e con la partecipazione ai lavori delle Commissioni parlamentari, anche se di esse non si faccia parte»; essa, però, ha anche chiaramente affermato che «le eventuali violazioni di mere norme regolamentari e della prassi parlamentare lamentate dai ricorrenti debbono trovare all’interno delle stesse Camere gli strumenti intesi a garantire il corretto svolgimento dei lavori, nonché il rispetto del diritto parlamentare, dei diritti delle minoranze e dei singoli componenti».
In questa prospettiva (cfr. quanto sostenuto da M. VILLONE, La legge elettorale dal conflitto politico al conflitto tra poteri) non c’è dubbio, ad esempio, che al parlamentare sia consentito presentare emendamenti a un testo in discussione. Ma è altrettanto certo che l’emendamento può essere precluso, senza che si giunga al voto, ad es. per l’approvazione di altri emendamenti o per limiti alla emendabilità di determinati testi (legge finanziaria, di stabilità, leggi di bilancio). Può presentare proposte di legge o mozioni, ma senza alcuna pretesa che siano sottoposte al voto in commissione o aula. Ha diritto a prendere la parola, che però gli può essere concessa, negata, tolta».
In definitiva, quindi, se la Corte prendesse ad esame il ricorso presentato dai parlamentari, sia come singoli, sia come raggruppamento, il ricorso sarebbe inammissibile.

6. Ma il medesimo discorso può valere anche per i Gruppi parlamentari (e ancor più per una parte di un gruppo parlamentare).
Giuseppe Ugo Rescigno ha definito i gruppi parlamentari come «l'unione dei membri di un ramo del Parlamento appartenenti allo stesso partito che si costituiscono in unità politica con un'organizzazione stabile ed una disciplina costante di gruppo». Dal punto di vista pratico costituisce la proiezione di un partito politico in parlamento (parliamentary party). Sostanzialmente, quindi, i gruppi parlamentari svolgono un ruolo essenziale nella formazione delle opinioniEsaminano i principali oggetti (elezioni e affari correnti) prima che siano sottoposti ai Consigli e tentano di trovare un’intesa su una posizione comune che i deputati possano difendere davanti al Consiglio stesso.
Quindi anche se gli art. 72 e 82 della Cost. fanno accenno ai gruppi parlamentari (mentre sono i Regolamenti, solitamente a prevedere che ciascun deputato debba appartenere a un Gruppo parlamentare) ad essi non compete una precisa sfera di attribuzioni costituzionali né per le composizioni, articolazioni e funzioni su viste, possono definirsi poteri dello Stato. Benchè mai, proprio per il fatto di essere una minoranza (e nel caso di specie una minoranza appartenente all’opposizione) possono essere  competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere  - ossia le Camere - cui appartengono (tenuto conto che la funzione legislativa può essere definitiva solo quando è espressione della maggioranza dell’Assemblea).
Questo dato mette in rilievo anche un ulteriore motivo di improcedibilità del ricorso, ossia una assoluta mancanza di interesse. Infatti, anche ammettendo che le motivazioni di ricorso siano corrette e che si sarebbe dovuta seguire una procedura di approvazione del DDL diversa, il risultato per questa ridotta minoranza non sarebbe certamente cambiato perché la maggioranza avrebbe comunque fatto valere le proprie prerogative.
Sotto il profilo soggettivo, quindi, della legittimazione, non vi dovrebbero essere margini di ammissibilità del ricorso.
Sarà da vedere, però, se la Corte costituzionale, posto il carattere policentrico del nostro ordinamento costituzionale, e quindi la non corrispondenza tra funzione e potere, e considerando inoltre la differenza che si pone tra attribuzione (che si fonda su disposizioni costituzionali) e competenza (che, essendo la misura dell'attribuzione, trova la sua fonte in disposizioni legislative), tenderà a ridurre o meno l'importanza dell'organo-soggetto per aumentare quella dell'oggetto, ponendo l'attenzione più che sulle attribuzioni, sulla natura costituzionale degli interessi.

7. Ciò detto, non potrà negarsi, forse, che gli accadimenti siano stati tali da aver messo fortemente «sotto stress» le procedure parlamentari, anche su presupposti e con implicazioni, per certi versi, inediti e che un certo rilievo possa avere anche l’utilizzo dello strumento della fiducia.
Ma anche su questo aspetto,  va ricordato che la questione di fiducia pur non essendo prevista esplicitamente dalla nostra Costituzione (ma affermatasi nella prassi salvo poi assumere vera e propria natura consuetudinaria), è considerata implicitamente consentita dall’ordinamento costituzionale in diretta connessione con la natura “bilaterale” del rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo e con i conseguenti profili di responsabilità politica (passiva di quest’ultimo ed attiva del primo) che ne derivano (e comunque prevista nei regolamenti parlamentari). Essa, infatti, è ormai generalmente considerata, anche sulla base di quanto previsto dalle norme regolamentari oltre che da prassi parlamentari ininterrotte, non solo un istituto “immanente” al sistema costituzionale, ma anche una delle implicazioni proprie del rapporto di fiducia così come costituzionalizzato nel nostro ordinamento.
Ciò non toglie che, proprio nella prospettiva dei rapporti interni al Parlamento, la Corte stessa, potrebbe considerare (ove la situazione fosse stata correttamente impostata dal PD) gli aspetti di maggiore problematicità relativi ai rilevanti effetti della questione di fiducia.
E’ lo stesso Giudice dei conflitti, infatti, ad aver sostenuto, nell’ordinanza n. 277 che resta impregiudicata «la configurabilità di attribuzioni individuali di potere costituzionale per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a promuovere un conflitto fra poteri» e che la questione di fiducia è, comunque, «idonea, in astratto, a incidere sulle attribuzioni costituzionali dei membri del Parlamento, che rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato (art. 67 Cost.)», perché finisce col limitare il potere di emendamento dei singoli parlamentari direttamente tutelato dalla Carta costituzionale e “rafforzato” proprio nei casi in cui è prevista la riserva d’Assemblea.
Insomma, sulla base dei precedenti il ricorso presentato dal PD dovrebbe essere dichiarato improcedibile e/o inammissibile per non essere una parte del gruppo parlamentare ricorrente un Potere dello Stato, ma viste le sorprese riservateci dalla Corte in precedenti e non lontane occasioni, non ci resta che attendere il 9 gennaio.---

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