domenica 4 marzo 2018

Luca Telese: "“Le previsioni di Massimo D’Alema...LEU”.

È una campagna elettorale più o meno difficile delle altre?
(In macchina, tra una manifestazione e l’altra, Massimo D’Alema lascia la saletta di un bar di San Donaci per raggiungere un teatro a Lecce. Mi comunica, quasi divertito: «Chi vuole intervistarmi deve accontentarsi dei ritagli di tempo». Guardo l’orologio).
È curioso: corro nel Salento, nel mio collegio di Gallipoli, lo stesso in cui mi sono candidato per la prima volta trent’anni fa. Per me è un ritorno alle origini, una prova, ma anche l’unico modo degno che ho per rispondere a una legge elettorale truffaldina e, a mio parere, incostituzionale.
Poteva correre nel Lazio, sul proporzionale, sfruttando la sua visibilità mediatica. Nessuno le avrebbe detto nulla.
Allora lei non mi conosce. Faccio politica in Puglia dal 1980, sono stato eletto qui, sono rimasto qui, sempre reperibile sul territorio: non sono un candidato yogurt, di quelli che il giorno dopo il voto scadono e li butti.
Perché è una legge elettorale truffaldina?
Non esiste al mondo un sistema in cui tu scegli un partito e il tuo voto va a un altro. Tuttavia, malgrado i complessi meccanismi del Rosatellum, posso dire ai miei elettori una cosa vera: decidono loro. Se mi eleggeranno tornerò in Parlamento a rappresentarli. Altrimenti andrò a casa...


Non ha un paracadute proporzionale?
Sono capolista al Senato nel collegio Puglia 2, ma per un movimento come Leu questa non è una garanzia perché è evidente che solo una pluricandidatura sarebbe un vero paracadute. Così si può essere eletti solo se si ottiene un risultato particolarmente buono.
Ama il rischio?
Preferisco le sfide alle fughe. Che pena quei poveretti felici di essere già eletti, dopo la nomina al tavolo delle candidature!
Lei però è un ex premier.
Sì, sono stato segretario di partito, Presidente del consiglio e ministro degli Esteri ma oggi non ho più nessuna carica. Ora sono un privato cittadino che rivendica la sue convinzioni andando in giro per le case, i ristoranti, i bar, le polisportive, i marciapiedi.
Tutto questo le piace, lo ammetta.
Amo l’idea che puoi vincere o perdere, ma sempre nel segno delle stesse idee e – soprattutto – degli stessi valori. Mi considero un antidoto al decadimento della politica.
Massimo D’Alema ha iniziato a fare campagna elettorale a dicembre. Ha deciso che avrebbe provato a contattare direttamente almeno 50 mila persone. Non è lontano dall’obiettivo. Ha un comitato (di volontari) all’americana, gira come una trottola per la Puglia, 12 tappe al giorno. Entra e dice: «Se avete domande fatemele subito. Sono in corsa contro il tempo». Lo puoi trovare in un agroturismo di cinque camere, o al Caffè Artemisia di San Pietro in Lama con 30 persone, nella sala biliardo di un bar, in un teatro parrocchiale, davanti a 200 persone nei teatri tutte le sere. Ovunque trova gente: incerti, militanti, curiosi.
Alle politiche del 2013 lei non si era ricandidato. È presidente della Fondazione Italianieuropei, la chiamano a fare conferenze nel mondo, va in tv quando vuole. Perché correre in queste condizioni?
Sostengo e promuovo un nuovo progetto politico, che nasce a sinistra intorno a Liberi e uguali. Non abbiamo soldi, mezzi di comunicazione che ci sostengano, il nostro simbolo è ancora sconosciuto. Abbiamo però le nostre facce, le nostre biografie, quello che rappresentano.
Sul suo carattere, non proprio affabile, si sono scritti dei trattati.
Questa scelta è figlia del mio carattere, della mia storia politica e personale.
Si riferisce alla sua famiglia?
Anche. Il mio nonno materno, Giulio Modesti, era un impiegato delle Poste che fu cacciato dal suo posto di lavoro per non essersi voluto iscrivere al Partito fascista: non voleva la cimice sul bavero. Andò a fare l’ebanista, aprendo una bottega nel quartiere Celio a Roma.
Lei ha fatto in tempo a conoscerlo?
Sì. Un uomo buono e popolare. Che tuttavia, per carattere, quando il 25 luglio del 1943 cadde il fascismo e lui fu reintegrato a fare l’impiegato alle Poste, non si voltò dall’altra parte.
In che senso?
Imparò che una lettera anonima indirizzata al comando tedesco poteva significare delazione contro un ebreo nascosto.
E cosa fece?
Portava quelle lettere a casa. Le apriva con il vapore, leggeva il nome del denunciato, lo faceva avvisare dalla Resistenza. Poi richiudeva le buste e le consegnava ai tedeschi. Quando le SS andavano nelle case non trovavano nessuno. Per questo, se non fosse chiaro, rischiava la pelle.
Comunista e antifascista, come suo padre.
Mio padre mi mostrava lo spolverino forato.
Cioè?
Dopo la lunga notte del 1943, quando tutti i capi antifascisti di Ferrara erano stati giustiziati dai nazifascisti – questo lo racconta anche Amendola in Lettere a Milano – mio padre fu mandato lì a ricostruire la rete clandestina. Il che voleva dire esporsi.
Anche Giuseppe D’Alema era uomo di carattere, dunque. Ma il soprabito?
Una sera, in piazza, trovò ad aspettarlo una squadraccia fascista arrivata in camion da Ravenna. Loro iniziarono a sparare, lui a correre. Il soprabito fu trafitto da più pallottole ma mio padre, miracolosamente, rimase illeso.
E come si salvò?
Risalendo per il corso incrociò un compagno che passeggiava, il suo nome era Azzi: quello gli tirò la sua bicicletta, mio padre la inforcò e si salvò. Azzi, invece, fu preso, torturato a sangue, ucciso. Non abbiamo mai dimenticato il suo gesto.
Ma dire che oggi i fascisti sono alle porte…
Le mie radici mi portano ad avere una certa preoccupazione per qualsiasi forma di rigurgito neofascista. In Italia ci sono la Costituzione e leggi molto chiare, occorre farle rispettare.
Nonno Modesti era padre di sua madre. Anche lei comunista. Anche lei donna di carattere.
Suo fratello Gastone era andato a combattere armi in pugno per fermare i tedeschi a Porta San Paolo. Mia madre aveva un carattere di ferro.
Un esempio?
(Sospiro). Ero tornato da Pisa, in pieno Sessantotto, con le mie idee libertarie, la critica del totalitarismo sovietico…
E lei?
Mi gridò dietro: «Hai il coraggio di parlar male dell’Unione sovietica in questa casa? Considerati in punizione!».
Anche lei però non è un tipo tenero: con Renzi avrebbe potuto evitare la guerra se avesse voluto?
Non ho dichiarato nessuna guerra. È Renzi che ha proclamato fin dall’inizio l’obiettivo di rottamare D’Alema e altre personalità della sinistra.
È riuscito a rottamarla?
(Occhiata inenarrabile). Direi di no.
Però lei lo conosceva da prima, sia sincero.
No. Il primo vero contatto, tra noi, risale alla sua campagna da sindaco a Firenze. Non l’ho mai raccontato. Mi chiamò e andai a fare la campagna elettorale per sostenerlo.
Adesso Renzi dice: «Chi vota Liberi e uguali fa il gioco della destra, chi vota D’Alema elegge Salvini».
Questa è un’autentica stupidaggine. Questa legge, per i due terzi è proporzionale, quindi chi vota Leu elegge i parlamentari di Leu. Avevamo chiesto il voto disgiunto per la quota maggioritaria, ma ci hanno sbattuto la porta in faccia ponendo otto voti di fiducia. Specialmente nel Mezzogiorno la battaglia nei collegi uninominali è tra centrodestra e M5S, se il Pd fa l’appello al voto utile per evitare Salvini rischia di fare il gioco dei 5 Stelle. È già avvenuto in Sicilia dove il candidato dem ha preso otto punti in meno rispetto alle liste che lo appoggiavano.
Le diranno che ha una questione personale aperta, con lui.
Nessuna questione personale. Politica, semmai. Trovo sconcertante che dopo aver spaccato la sinistra, abbandonandone i valori, faccia il piagnisteo.
Potrebbe essere un rimpianto.
Ho una memoria di ferro, purtroppo. Non dimentico l’articolo in cui sul Corsera dichiarava: «Bersani e compagni se ne vanno, senza di loro saremo più forti».
Lei sta dicendo che Renzi all’epoca non ha sofferto per la scissione?
Sofferto? Ha spinto. Ha brigato. Ha fatto di tutto per mettere fuori quelli di noi che erano rimasti, per spirito di appartenenza, lealtà o sopportazione.
Perché? Col senno del poi – e il crollo che tutti i sondaggi sul Pd da allora registrano – era un suicidio politico.
Lui non lo aveva capito, però. Aveva un disegno: trasformare il Pd nel Partito di Renzi, il Partito della nazione.
Ci è riuscito?
Il primo risultato perseguito è stato quello di perdere tutte le elezioni, il secondo obiettivo da perseguire è stato quello del referendum, ma lo hanno fermato gli italiani. Infine l’epurazione di ogni altra anima del Pd dalle liste in queste elezioni, che produrrà, il 4 marzo, il rigetto degli elettori.
Ma non le sembra di guardare indietro? Perché lo ha fatto?
Per difendere i diritti, il lavoro, i giovani dalla precarietà, la salute degli italiani. Per dire: bisogna rimuovere subito il blocco del turnover, assumere 40 mila medici perché altrimenti il sistema sanitario va in pezzi. Il successo di Leu contribuisce a costruire un nuovo centrosinistra, anche aiutando coloro che nel Pd guardano a questa prospettiva.
La Bonino, che lei stima, vuole congelare la spesa pubblica per abbattere il debito.
Nei prossimi anni vanno in pensione 21mila medici di base. Non sostituirli non sarà un risparmio, ma un costo per i cittadini. Milioni di italiani rinunciano a curarsi. Al Sud si vive mediamente tre anni di meno che al Nord: questa è una misura di come si declina la nuova disuguaglianza in questo Paese.
Anche il Pd fa promesse sullo stato sociale.
(Scuote la testa). Io parlo di politiche: di promesse illusorie non ne faccio. Non parlo di bollo auto, di tasse che spariscono o del canone gratis… Negli ultimi giorni mi attendo che ci regalino il gratta e vinci per i parcheggi! Non c’è nulla di serio.
Il canone gratis lo ha promesso Renzi, ma anche Gentiloni: non condivide le parole di Prodi che esalta l’attuale premier?
Riconosco a Gentiloni un tono e uno stile che apprezzo, tuttavia non posso dimenticare che aveva promesso che non avrebbe messo becco nella legge elettorale, e poi l’ha imposta al Parlamento. Che avrebbe fatto lo Ius soli, e poi non l’ha votato. Ha difeso la Boschi, quando avrebbe dovuto garbatamente accompagnarla alle dimissioni.
Lei è un garantista, perché è così severo con la sottosegretaria?
Non è un problema di condanne: se si scopre che tu vai a parlare con un banchiere sponsorizzando la banca di tuo padre, dopo non puoi servire lo Stato.

La Boschi ha detto: «L’ho fatto perché mi stava a cuore il mio territorio».
Ne sono certo. Le stavano così a cuore gli artigiani aretini che ha finito per candidarsi a Bolzano.
E il Movimento 5 stelle? Lei in Puglia contende i voti alla protesta.
Vado davanti alle organizzazioni di categoria, per esempio Federbalneari di Lecce, e dico: «Volete essere rappresentati da un competente o da un improvvisatore?».
Ho visto che si è fermato a parlare un coltivatore, che le diceva: «La stimo, ma sono arrabbiato e tentato di votare Beppe Grillo».
Vero. Parlo con tutti. Gli ho risposto che la Xylella fastidiosa non si ferma con la rabbia ma con delle leggi scritte bene. E a proposito del Sud dimenticato, se la Xylella fosse arrivata in Toscana ne avrebbero parlato all’Onu.
E i 5 Stelle non hanno questa capacità?
Ma se non sono riusciti nemmeno a fare le liste! Eleggeranno 20 persone che hanno già espulso dal loro movimento, e che vagheranno in Parlamento in attesa della migliore offerta. Altro che uno vale uno.

Berlusconi è il suo nemico?
È un avversario politico che ha già governato l’Italia. E non bene. Non può fare il premier per la legge Severino, è alleato di Salvini e della Meloni che insieme pesano più di lui.
Tutti ripetono: «No alle larghe intese». Ci crede?
Bufale per gabbare gli elettori. Dopo le elezioni cambia tutto.
Però lei conosce la Realpolitik, adesso fa la verginella perché non è più nelle stanze del potere?
Sono cresciuto in un tempo in cui c’era identità. Torno alla politica perché non si può sopportare un sistema in cui incontri un tizio che a gennaio è tuo alleato, a febbraio sta in un altro partito, il 5 marzo sta con i suoi nemici del giorno prima. Gattopardi e trasformisti.
E lei cos’è?
L’opposto. Sono stato sempre coerente. Ai miei elettori dico: «Dovete proteggermi con il voto, il vero panda sono io».
Ma sul caratteraccio fa autocritica o no?
Ho mille difetti, ma sono una persona seria. E questo lo sanno anche i miei più aspri avversari.
E se non viene eletto che cosa farà?
Continuerò a lavorare con Italianieuropei. La politica è passione, una malattia inguaribile. Non ti puoi dimettere da una passione.---

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