sabato 2 dicembre 2017

Maurizio Blondet - PERCHE’ GLI ITALIANI *AMANO* I SOPRUSI DELLE ISTITUZIONI.



Da qualche giorno   ripenso alla acutissima osservazione del super-intelligente Uriel Fanelli. E’ uno che è andato a lavorare in Germania, come quei centomila giovani che  devono andar via dall’Italia perché qui la società non ha per loro un  lavoro e una vita all’altezza delle loro capacità; giustamente dice che le classi dirigenti italiane, che su questa emorragia di risorse umane versano lacrime di coccodrillo, in realtà sono ben contente di liberarsi di questi potenziali concorrenti al loro potere. Tutti ricordare ancora, spero, la frase che si lasciò scappare un anno fa il ministro (del lavoro!) Poletti. “Centomila giovani se ne sono andati dall’Italia?  Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”.
Qual è il motivo per cui quei giovani danno fastidio a  Poletti che  non li vuole fra i piedi? Perché, dice Fanelli, sono quei giovani che “non si rassegnano al sopruso” delle istituzioni italiane. Come dice lui:

Lo stato italiano, in tutte le sue istituzioni, manda un messaggio continuo: “non devi reagire al sopruso“....

Lo manda in molti modi...
. Lo manda quando il tabaccaio sotto il mirino del rapinatore reagisce al sopruso e passa un guaio. […]  Lo stato ti dice di non reagire al sopruso nemmeno per vie legali, quando denunciare un crimine non serve a nulla e citare per danni ormai e’ un modo di dire.
Lo stato ti dice di non reagire al sopruso quando mostra criminali liberi di circolare: smetti di reagire ai soprusi, chiamare la polizia non serve. L’intera societa’ italiana ti dice di non reagire al sopruso, quando ti lamenti per le condizioni lavorative disumane di Amazon e i giornali fanno fake news pur di dimostrare che quello sciopero e’ fallito. […]  Lo  stato fara’ di tutto per mostrarti che e’ inutile, che non puoi reagire al sopruso e che non puoi nemmeno sottrarti al sopruso.
Lo stato italiano, in tutte le sue istituzioni, manda un messaggio continuo: “non devi reagire al sopruso”, unito ad un secondo messaggio “non puoi sottrarti al sopruso”.
E’ assolutamente chiaro, quindi, quale sia il tipo di cittadino che lo stato intende combattere. E’ chiaro quale sia il cittadino che lo stato – e con lui la societa’ intera – intendono togliersi di torno”.
Ma se  alcuni dei “giovani” intelligenti e capaci decidono di lottare qui? Per cambiare  le istituzioni patrie che   non  producono altro che sopruso  –  tutte, dalla magistratura al fisco, dalla polizia ai sindacati,  dai docenti universitari all’ATAC   alle Regioni meridionali   a tutte le altre burocrazia  inadempienti,   ma senza dimenticare il capo-redattore  che pretende favori sessuali dalla ragazza   che vuole “entrare nel giornalismo” –  cambierebbero le cose?
Risposta di Fanelli: “ Personalmente, credo che quelli che “rimangono a lottare” sono funzionali al disegno complessivo: lo stato e la societa’ si occuperanno di perseguitarli sino a quando il loro fallimento sara’ di monito agli altri.  Restate pure “a lottare”, siete quello che vogliono: sarete crocifissi sulla Via Appia”. 
E’ proprio così. Lo è al massimo grado in Sicilia,  alquanto meno in Lombardia  o Veneto, ma è così in tutta  la comunità: l’adattamento   silenzioso al sopruso, al “comando” di chi”non ha diritto di comandare”,  alle esazioni del fisco  come alle prepotenze della casta giudiziaria,  e in generale agli arbitri della “legge”, è evidentemente la causa dello scadimento generale della nostra società, della nostra classe politica, delle nostre università  persino.

Chi ci  prova,   si trova solo

Ma perché è così? E  cosa rende queste istituzioni-sopruso irreversibili? Se  richiamo alla memoria le cinque o se  volte   nella mia lunga vita in cui ho provato a resistere al sopruso  – pubblicamente, in situazioni pubbliche, su questioni di ingiustizia in cui  davo per scontato l’appoggio di amici,  compagni di scuola e colleghi –   sono stato facilmente sconfitto perché mi son trovato solo. “Avanti miei prodi! Sfidiamo il potente!”, mi volto e i miei prodi  son lì fermi, anzi hanno fatto un passo indietro, si chiamano fuori, non  vogliono entrare nella faccenda, alcuni con mimica inequivocabile stanno   segnalando al potente, perché  li veda e ne tenga conto, che loro mi considerano   pazzo, un  fanatico, uno che si monta la testa …Si  picchiettano la fronte col dito.
Succede sempre così, in Italia. Che gli altri, quando si tratta di non  stare al sopruso pubblico, si tirano indietro.  E’ per questo che  alla fine alcuni  dicono a sé e agli altri che “la soluzione è individuale”, e  adottano l’individualismo competitivo e vincente – una posizione giustificata esistenzialmente,  perché dopotutto uno ha una vita sola, appena sufficiente per conquistarsi un posto nel mondo – ma sbagliata sul piano filosofico.  Perché “il problema è sociale”, non individuale. Benissimo dice Fanelli: non è solo o  tanto lo Stato, quanto “la società” si occupa di perseguitare quelli che vogliono resistere al sopruso, “sino a quando il loro fallimento sara’ di monito agli altri”.  Sono gli altri che, collettivamente,  invocano la tua “crocifissione sulla Via Appia”.
Nei miei cinque o sei insuccessi,  mi sono chiesto: come mai i compagni e i colleghi – che prima   giuravano di non voler più stare al sopruso, che erano d’accordo con me – davanti al potente mi  hanno lasciato solo? Solo ad andare all’assalto, che cosa ridicola. Come mai loro stavano fermi?
D’accordo, mettiamo in conto la viltà italiota. Ma non basta a spiegare tutto, anzi spiega poco. Se provo a rievocare cosa dicevano  gli sguardi sfuggenti, i silenzi derisori o le mezze frasi di scusa dei “miei prodi”  che mi avevano lasciato solo e ridicolo  (e con la diserzione saldato  su di noi il sopruso più forte di prima) trovo  una riserva inconfessata: “Non sarà che seguendolo, sto dando troppo potere a lui? Che sto facendogli troppo favore, facendolo vincere,  dandogli la soddisfazione di farmi dirigere da lui? Dopotutto,  non sono   completamente d’accordo con lui: ci sono cose nelle sue idee che non mi convincono; e io ho le mie idee.  Mica è mio fratello, dopotutto. Se lui vince, io cosa ci guadagno?”.
Pensateci: è questo insieme di riserve mentali, di mancanza di generosità  e di invidiuzze oscure che ammala radicalmente la nostra vita politica. Che, per esempio,  rende mediocri, comprabili,  deboli i nostri  politici. Come?!, protesterete voi: sono loro, i politici,   che “non hanno le palle”, che “non  sono intelligenti”, che “non hanno le qualità di comando”!
E’ anche vero. Ma queste proteste nascono da un errore fondamentale: credere che “avere le palle”  siano doti personali del personaggio. La verità è esattamente il contrario:   il “valore sociale degli uomini che dirigono dipende dalla capacità di entusiasmo che gli dà la massa”, scrive Ortega y Gasset. Insomma, è il pubblico che dà al politico “le palle”, o gliele nega.   La forza, il valore, le capacità  non sono tanto nel  politico  individuale, quanto “precisamente quelle che il pubblico, la moltitudine, la massa pone” in lui come “persona eletta”.  E non si parla qui di voti, ma di  ben altra “elezione”: guai a pensare che una tecnica elettorale , o anche  delle leggi,  o una “morale” etica imposta da procuratori giudiziari ai politici “corrotti”, sia alla base  di una società sana. La   società sana è quella in cui il pubblico, le masse, la cittadinanza, si sente docile a personalità in cui riconosce delle qualità “elette”;  e quindi dà loro, con generosità e senza riserve, la forza sociale che gli consentirà di sfidare il sopruso diventato istituzione, che è duro come l’acciaio, ed occorre molta forza unita per abbatterlo.   La “personalità”  di un leader  politico è – in grandissima misura –   quella  che gli attribuiscono le masse;  e il politico sarà indotto a diventare migliore da questa esigenza generosa del pubblico.

Manca il capitale sociale

Questo è il “capitale sociale”, ed è il pubblico che lo dà, dando la forza e  la personalità al leader politico. O negandogliela, come per lo più avviene da noi.
Perché? Peché  la società italiana è composta di una massa “di cui ogni membro crede di essere personalità direttrice”, “incapace di umiltà, entusiasmo e ammirazione dei superiori”-  questa massa nega al capace  il proprio capitale sociale, la propria forza d’urto.   Ad ogni personalità audace nel pubblico campo,   i milioni di individualisti si tirano indietro, avanzano le loro riserve mentali,   si domandano : ma   lui non ci guadagnerà troppo, se io lo faccio vincere?
E’ per questo che la scena politica italiana è “un atroce paesaggio saturo di indocilità e troppo vuoto di esemplarità”. Perché l’italiano diffida profondente, d’istinto, di chiunque sospetti superiore  a sé, e dicui dovrebbe seguire l’esempio (ricordate: si obbedisce a un ordine, si  ad un esempio si è docili) E quindi, preferisce in fondo vivere sotto l’istituzione-sopruso invece che al servizio di una “personalità” come, poniamo, un Orban  gli ungheresi, un Putin i russi – o anche una Thatcher gli inglesi, o Reagan gli americani, sicuramente  “personalità”  a cui le masse hanno dato la forza per cambiarle istituzioni (non discutiamo ora se in meglio) ormai fossilizzate  – si mette al sevizio di qualche capopopolo rozzo e volgare  che quasi subito dopo abbatte
Questa storica insubordinazione spirituale delle masse contro le sue minoranze eminenti, produce il particolarismo frenetico che ci vediamo nella vita pubblica. Dove qualunque gruppetto ha   forza bastante per disfare (sindacati, giornalisti, caste)  ma nessuno ha forza per fare  – nemmeno assicurare i propri diritti.
O vediamo nella vita interna dei partiti il  triste spettacolo che, invece che le masse seguire i capi, sono le masse che impongono il loro peso ai capi; non sono i capi che dirigono le loro militanze ed elettorati, ma sono questi, le loro tifoserie,  che impongono loro questo o quella posizione  politica  “di pancia”, perché”uno  vale uno”.

(Alla fin fine, tre democristiani ripassati. Eran meglio gli originali).

A controprova, vediamo da quali personalità a volte “il popolo italiano” si lascia conquistare emotivamente e sentimentalmente, ed ha cui dà la sua forza sociale: “Si tratta invariabilmente di qualche personaggio rovinoso e inferiore”,   di qualità scadenti (che non mettono in soggezione la massa) con tutti i vizi  e falle personali in bella vista, invidiato e invidiato per quelle. Da Berlusconi a Grillo. Ma voi potete fare altri esempi. Del resto, valgono in tutti i campi, non solo in quello politico: gli scrittori   influenti; i cantanti  che riempiono gli  stadi,   gli intellettuali più  ascoltati nei talk show sono i più volgari,assimilabili dalle menti piccine delle masse.
Ora, si capisce se  una società  si priva per molte generazioni di personalità di vigorosa intelligenza che servano da diapason e norma ai più, che diano  il tono di intensità mentale   richiesto dai problemi i una complessa società contemporanea – che richiede   scienza, tecniche, amministrazione, qualità militari,  filosofia, cultura all’altezza  – la massa tenderà , per la legge del minimo sforzo, a pensare via via con meno rigore; il repertorio di curiosità, idee, punti di vista, si restringerà progressivamente – fino a cadere  al disotto del livello obbligatorio per le necessità della sua epoca.  Parallelamente, la sicurezza pubblica periclita e scade,  l’economia privata si debilita, tutto si fa angusto e disperato, si spegne la volontà di futuro. I risultati della disorganizzazione generale  si ripercuotono duramente sulle vite private  di ciascuno.  Una società intellettualmente degenerata si lascia governare da caste del sopruso  senza resistere (“E’ inutile”), da poteri forti sovrannazionali che nemmeno capisce;  accetta di “accogliere” africani infinitamente  meno civili di lei,   nello stesso tempo in cui è ben contenta di lasciar andar via all’estero i suoi giovani eccellenti: “Questo paese non soffrirà ad averli più tra i piedi”, come  disse Poletti.  Quelli che restano sono già appesi lungo la via Appia, e i passanti gli sputano sopra: sovranisti, omofobi, cristiani,   è  colpa vostra se Roma brucia…

UN ESEMPIO FRESCO FRESCO DI SOPRUSO

In cella 26 giorni per foto su Facebook
Era una scena di Romanzo criminale
Il gip ha scarcerato quattro ragazzi arrestati nell’ambito dell’operazione «Cumps». Anche se coperti da passamontagna per la polizia erano identificabili in «base ai caratteri antropometrici».

(erano proprio loro. Riconoscibilissimi).

Il giudice delle indagini preliminari ha   scarcerato Paolo Abenavoli, Alessio Falcomatà, Francesco Patea e Vincenzo Toscano arrestati il 7 novembre scorso, su ordine del gip Foti, insieme ad altre 46 persone nell’ambito dell’inchiesta denominata «Cumps». Un termine dialettale calabrese, che significa compari, coniato proprio per dimostrare la scalata delle nuove leve della ‘ndrangheta, figli di boss da anni in carcere. Secondo l’accusa i giovani utilizzavano Facebook e i social network per farsi conoscere e far valere la loro voce. La polizia navigando sui loro profili si è soffermata su una foto ed ha subito immaginato che quella raffigurante 4 persone postata da uno degli arrestati corrispondesse ai volti delle persone indagate. In realtà la foto di Romanzo criminale, in rete dal 2005, postata da uno degli arrestati, era stata estrapolata da Google per un scopo emulativo. Una vanità che è costata 26 giorni di carcere. 
poliziotti hanno effettuato il riconoscimento della foto nonostante in quell’immagine le figure avessero il volto travisato da passamontagna. E avevano scritto che il riconoscimento è avvenuto tenendo presente «i diversi caratteri antropometrici che li caratterizzavano». La foto è parte integrante dell’ordinanza di richiesta di arresto ed è stata inserita a pagina 1247.
“I 4 “ragazzi” sono stati fortunati”, mi scrive il lettore che mi ha mandato la  notizia: “ forse si sono fatti gli stessi giorni di galera di Kabobo che ha ammazzato a picconate tre persone ed è stato poco dopo liberato.
Probabilmente le indagini che hanno portato in gattabuia i 4 sono state coordinate dal commissario Lo Gatto….
In realtà, Kabobo è stato  condannato ad un totale di 28 anni di carcere.  Ma come esempio di sopruso  istituzionale va  benissimo: magistrati  dal carcere preventivo facile, agentiche fanno le “indagini” così…

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