Missione
compiuta. La frase pronunciata il primo maggio 2003 da un George Bush
convinto di aver terminato il lavoro nell'Iraq strappato a Saddam
Hussein non fu una delle più felici.
Stavolta però è diverso. L'operazione messa a segno in 22
settimane da Vladimir Putin in Siria è effettivamente una missione
compiuta. Anche perché, a differenza dell'invasione americana dell'Iraq i
bombardamenti russi in Siria non puntavano a conseguire obbiettivi
irrealizzabili come l'esportazione della democrazia, ma a permettere
l'avvio dei negoziati di Ginevra attraverso l'imposizione di sette
condizioni politico strategiche. Sette condizioni che Putin non esiterà a
garantire e difendere - rispedendo gli aerei nelle basi siriane - se
qualcuno tenterà di compromettere i risultati fin qui raggiunti:.....
1 Stabilizzato militarmente il regime
Quando,
il 30 settembre scorso, iniziano i bombardamenti il regime siriano è
alle corde. Mentre lo Stato Islamico avanza sull'asse sud orientale di
Palmira - minacciando Homs - gli altri gruppi jihadisti, appoggiati da
Turchia e Arabia Saudita, stanno chiudendo in una morsa Damasco. In meno
di sei mesi i russi ribaltano la situazione consentendo all'esercito
governativo di mettere in sicurezza la capitale, liberare Aleppo e
spingere i gruppi ribelli verso la Turchia. Ed ora lo Stato Islamico -
attaccato dai curdi a nord ed incalzato a ovest e a sud da un esercito
ormai alle porte di Palmira - potrebbe persino abbandonare Raqqa per
ritirarsi in Iraq.
2 Ridotta la presenza iraniana, smussati i contrasti
La
gravissima crisi militare che la scorsa primavera permette l'avanzata
dello Stato islamico su Palmira e delle forze jihadiste nella zona di
Homs è innescata dal malcontento dei vertici militari sunniti ancora
fedeli a Bashar, ma poco inclini ad accettare ordini dai pasdaran
iraniani intervenuti in Siria. La presenza russa riduce la presenza
iraniana e smussa i contrasti, restituendo coesione e motivazioni alle
forze governative.
3 Smascherata la Turchia che aiuta i nemici di Assad
Colpendo
i canali su cui transitavano petrolio, reperti archeologici e altri
beni contrabbandati in Turchia, la Russia ha messo con le spalle al muro
i ribelli e smascherato il gioco dei servizi segreti del presidente
turco Recep Tayyp Erdogan che hanno costantemente aiutato, finanziato e
armato tutti i nemici di Bashar Assad. Califfato compreso.
4 Caduto il velo sul bluff di Obama
Intervenendo
contro le forze jihadiste e lo Stato Islamico, Putin ha dimostrato che i
bombardamenti condotti in precedenza da americani e alleati in Siria
erano solo un bluff. E li ha costretti di fatto ad intensificare le
operazioni contribuendo al rafforzamento di un regime che Washington,
Parigi e Londra hanno sempre detto di voler far cadere.
5 Mosca tornata al ruolo di grande potenza
Con
la missione siriana il presidente russo sancisce il definitivo ritorno
della Russia al ruolo di grande potenza. Una grande potenza capace di
coordinarsi con Damasco, Teheran e Bagdad e d'influire non solo sulle
sorti del conflitto siriano, ma anche su quello iracheno esercitando
un'influenza politico strategica su tutto l'arco mediorientale. Un
autentico ribaltamento di fronte che costringe Obama ad interloquire con
un Vladimir Putin dipinto, fino a qualche tempo fa, come un
inavvicinabile reietto.
6 Ribaltata la trattativa: ora veri negoziati
Prima
dell'intervento russo Usa, Francia, Turchia, Arabia, Qatar e Turchia
chiedevano la deposizione di Bashar Assad come condizione indispensabile
per l'avvio di qualsiasi negoziato. Questa condizione, vera causa del
prolungamento di un conflitto entrato da ieri nel sesto anno, è stata
cancellata dall'intervento russo consentendo l'avvio a Ginevra della
prima, autentica fase negoziale.
7 Obiettivi conseguiti: un esempio per l'Occidente
Annunciando
il ritiro dopo sole 22 settimane, Putin propone un modello di missione
internazionale capace di stupire ed incuriosire anche le disilluse
opinioni pubbliche occidentali. Mentre Usa ed Europa sono rimasti
impantanati per anni in Afghanistan ed in Irak senza cambiare la
situazione, sul terreno la Russia consegue i propri obbiettivi siriani
in meno di sei mesi. E lo fa con perdite umane limitatissime (due soli
caduti) e un budget di spesa di 462 milioni di dollari (tre milioni al
giorno per 22 settimane). Il tutto a fronte degli oltre 6,4 miliardi di
dollari spesi dal Pentagono dal settembre 2014 allo scorso febbraio per
colpire, con risultati assai minori, i territori del Califfato.
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