Maurizio Blondet - Diagnosi della Erasmus Generation: l’ultima “privatizzazione”
A Palazzo Marino, con la famglia
La famiglia di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso al Cairo perché
per conto di “docenti britannici” s’era introdotto nella opposizione
clandestina con cui simpatizzava, e su cui scriveva articoli su Il Manifesto,
pretende né più né meno che l’Italia rompa i rapporti con l’Egitto.
“Lo si deve non solo a Giulio – proclama – ma alla dignità di questo
Paese”. E non solo le tv e i magistrati, ma il governo, per bocca di
Gentiloni e tweet di Renzi, dà loro corda. Anche se la Farnesina fa’
sapere che per ora, non è in vista il richiamo del nostro ambasciatore.
Meno male.
Ma che cosa significa questo? Perché si rivela qui una tendenza,
segnalata da una serie di altri fatti. Cominciamo con le “due Vanesse”
andate di testa loro in Siria a combattere Assad e poi fattesi rapire
dagli amici, per il cui riscatto lo Stato, ossia tutti noi, abbiamo
pagato almeno 6 milioni di euro – di fatto co-finanziando la
guerriglia. Passiamo per il funerale di Stato, con messaggio
del presidente della Repubblica, funerale in pompa magna, che la
famiglia ha voluto “laicissimo” ma a cui hanno presenziato “i
rappresentanti delle tre religioni monoteistiche” di quella giovane
uccisa – dopotutto – durante un concerto pop a Parigi: Valeria
Solesin, dottoranda alla Sorbona, esaltata mediaticamente come “solare,
cosmopolita cervello in fuga” nonché “transnazionale”, “ex-volontaria
di Emergency”, a cui L’Espresso ha dedicato la copertina:
“Donna dell’Anno” in quanto espressione più alta della “generazione
Bataclàn”, la gioventù “competitiva sul piano globale”, che vive
felicemente all’estero cogliendo”le opportunità offerte dalla “Unione
Europea”; la generazione che “sa unire studio e divertimento” ed è
rimasta uccisa da chi “odia i nostri stili di vita” aperti e disinibiti..... Morta al Bataclàn
Mettiamoci il lutto per le sei ragazze Erasmus morte in Spagna: coi
genitori che parlano ai media con l’alto e contenuto dolore, e i media
che riportano le loro parole, con la retorica che un tempo era
riservata alle famiglie di caduti per la patria, non a un incidente
stradale (dopotutto) dopo una notte brava.
Come interpretare questa tendenza? Finalmente non ho scoperto la diagnosi esatta: è “un rinnovato processo di privatizzazione della
politica”, quale esito tragicomico della ulteriore
“de-sovranizzazione della politica” stessa. Ed essa si configura come
“la sollevazione culturale neoliberale della Erasmus Generation”, che è a
sua volta una articolazione continentale della “Fun Generation, Selfie
Generation de-territorializzate e omologata negli stili di vita e nei
desideri di consumo, alla classe media globale newyorkese e
californiana”. Non sono parole mie. Le prendo da uno dei libri più illuminanti che ho letto negli ultimi anni: “L’immagine sinistra della globalizzazione – Critica del radicalismo liberale”, di cui è autore Paolo Borgognone (Editore Zambon, 1044 pagine, 28 euro). Il tema del libro è il documentato resoconto di come “i dirigenti
della sinistra si siano riciclati impunemente nella sequenza
Pci-Pds-Ds-Pd fino a diventare i più zelanti esecutori delle politiche
liberiste, e i più convinti piazzisti dell’Europa delle banche,
dell’euro, del pareggio di bilancio e dell’austerità” (ricordate Bersani
reggicoda di Monti?) e come la gerarchia (ex)comunista sia stata
capace di “legittimarsi agli occhi” dei poteri globali quale “
affidabile gestore dei processi di ‘modernizzazione’
tardo-capitalistica”, riciclandosi – come già ha notato Costanzo
Preve, in “personale politico di gestione dell’attuale
americanizzazione culturale”.
Ma la diagnosi di Borgognone non si ferma qui: affonda il bisturi
critico sui figli di “questa classe media di nuovo conio, disinibita
e illimitata nella propria antropologia del desiderio capitalistico
senza confini”, approdata alla “religione idolatrica del mercato –
monoteismo del denaro e delle ‘libertà individuali’, (che) sostituisce
alle classi sociali le indistinte moltitudini snazionalizzate, dedite ai
flussi del desiderio” secondo “i modelli di consumo della subcultura
del nomadismo cosmopolitico della rete globale internet”.
Armati di questa diagnosi, possiamo vedere che le due Vanesse, non
meno del povero Regeni, hanno privatizzato lo “interventismo dei
diritti umani” ; pulsione tanto più naturaliter amerikana in
quanto hanno preteso di farla come iniziativa privata individuale:
promotori di rivoluzioni colorate e primavere arabe in forma di
micro-impresa. Nemmeno si rendono conto di quanto sia imperialista la
loro attitudine: come un Dipartimento di Stato in sedicesimo, le due
Vanesse sanno meglio dei siriani quel è il loro bene, e Regeni ha
capito meglio degli egiziani dove sta’ per loro il progresso dove devono
esser guidati. E dove? Ovviamente nel McWorld dei desideri
standard e dei consumi globali, dove si è affrancati da ogni
appartenenza; della libertà di Facebook, di cui loro stessi sono il
prodotto e che considerano l’unico possibile: perché – come sancì la
Tatcher – Non c’è Alternativa al mercato globale. Le due Vanesse
in fondo hanno combattuto perché le ragazze siriane godano delle
discoteche e delle libertà sessuali, come loro, in un mondo senza visti
dove fare del turismo: sessuale o guerrigliero secondo le voglie.
Poiché la “Erasmus Generation” studia sì (forse: sei mesi
in una università estera di secondo piano, uniti”al divertimento”), ma
da turista del mondo: non frequenta il pensiero né la cultura
profonda, sicché può succedere che per equivoco il povero Regeni prenda
– usiamo il gergo della neo-generation – per “società civile”
quelli che sono i Fratelli Musulmani o altro settarismo regressivo
wahabita e assassino. L’uno credeva di partecipare ad una “rivoluzione
democratica” per abbattere “l’autoritarismo”; le Vanesse si sono
intruppate e ficcate nei più inestricabili odi di kabila e di
etno-linguistica, di religione e tribù di cui nulla capiscono, pensando
che siano la parte “avanzata” della società, in lotta illuministica
contro il “fascista Assad”; convinti che turcomanni e curdi, cirenaici e
tripolitani, nonché terroristi wahabiti ardano dalla voglia di
sciogliersi nella “massa vagabonda, senza patria e senza stato,
cittadina del non-luogo virtuale globalizzato” di cui loro si sentono
cittadini. Anche questa incapacità di comprendere le culture “altre”,
o meglio rifiuto in nome di una omologazione vista come compimento
della storia umana nel Mercato Globale, li denuncia come “culturalmente americanizzati”,
totalmente subalterni alla “logica speculativa del ‘mondo senza
confini’ nonché ‘senza classi sociali”, di cui nemmeno intuiscono che
esso è il nuovo totalitarismo: quello che perpetua gli equilibri
geopolitici stabiliti dalla NATO perché – come proclama incessantemente
“il circo mediatico” , l’umanità nei suoi millenni “non ha inventato
niente di meglio del mercato – servile apologia diretta dello stato di
cose presenti”, ed intimazione minacciosa a non cambiarle. Altrimenti
vi arriva la rivoluzione colorata e il regime change, coi bombardamenti delle democrazie.
Vediamo qui che effettivamente, la Erasmus Generation sta provocando
la ulteriore de-sovranizzazione dello Stato: la famiglia Regeni
pretende imperiosamente che lo Stato si adegui alle scelte private del
figlio e ne faccia la politica estera nazionale; lo Stato esiste ormai
solo per pagare i riscatti delle operatrici a cui è saltato in mente di
ficcarsi nella guerriglia in Siria; il capo dello Stato ha il dovere
di celebrare la Vittima del Bataclan come eroina caduta per “il nostro
stile di vita”. Del resto, non è strano. E’ solo una ulteriore
evoluzione del riconoscimento delle nozze gay e dell’utero in affitto
per legge: le leggi esistono solo per legalizzare e legittimare ogni
genere di godimento immediato; lo Stato non osi chiedere, per contro,
alcun sacrifico e dovere in nome del destino comune. Esistono solo
individui, narcisi della Selfie Generation.
Matteo Renzi, il selfie-tipo, ne ha coscientemente rivendicato il
potere di governo, nell’ambito del la “estensione illimitata della american way of life
in un’Europa scientemente defraudata dello proprie tradizioni
nazionali e popolari”: “Noi – sancì nel febbraio 2014 – viviamo in un
momento in cui la generazione Erasmus, che tra l’altro è rappresentata nel governo,
ha conosciuto il sogno degli Stati Uniti d’Europa come concretezza,
conosciuto l’euro come moneta unica”; una generazione che ha “una
prospettiva di futuro e non di vivere di rimpianti e ricostruzioni fasulle del passato”.
Ovviamente Renzi alludeva qui a Federica Mogherini, ex Erasmus e
nostra gloria in Europa. La Mogherini che piange per le vittime di
Bruxelles e un attimo dopo conferma che “la policy europea verso la
Siria e l’opposizione siriana non subirà alcuna revisione”. Il che ha
un significato preciso: la UE mantiene l’embargo crudele contro Assad,
che impedisce al governo di Damasco persino di acquistare medicinali
per i bambini malati, mentre insiste a favorire i “ribelli”; ossia
coloro che (secondo la versione ufficiale) hanno fatto gli attentati a
Bruxelles. A questi ribelli, l’Europa non impone alcun embargo: nemmeno
di armi. La Francia, per esempio,continua a venderne a iosa all’Arabia
Saudita, e così la Gran Bretagna, senza che la UE abbia da eccepire.
Perché? E’ ovvio: perché Washington lo vuole, e questa è la stella polare verso cui si orienta la Mogherini: naturaliter.
Lo stesso Renzi ha avuto modo di constatare come questa ex Erasmus
abbia tradito il suo stesso governo, rifiutandosi di prestargli un
qualche appoggio nei rapporti con la Germania (la servile richiesta di
“flessibilità” nella spesa pubblica) e nella sua vaga richiesta di
mettere fine all’embargo contro Mosca. Ma cosa pretendeva, in fondo, il
nostro Fonzie? E’ quello a cui la generazione Erasmus è stata
addestrata: seppellire ogni patria nell’individualismo del godimento
immediato, nella “sinistra neolibertaria, ultracapitalistica” e
globale. Squaletti in carriera in nome di tutti i poteri forti
transnazionali, spietati, perché sanno cosa è bene per noi, meglio di
noi.
Ora sono al potere, e completano l’opera dei loro padri piddini e
vendolisti. Una sola speranza: che – come tutti i fenomeni di moda-
passano di moda. Non c’è nulla che invecchi tanto presto quanto la
gioventù postmoderna.
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