domenica 21 febbraio 2016

Fulvio Scagliane - HILLARY, LA DONNA DEI RECORD NON (CON)VINCE PIÙ

 Hillary

Che cosa succede alla donna dei record? Per Hillary Diane Rodham, classe 1947, sposata Clinton dal 1975, le primarie per diventare la candidata democratica alla Casa Bianca dovevano essere poco più di una passeggiata, con avversari come Bernie Sanders e Martin O’Malley, o gli già scomparsi Lincoln Chafee, Lawrence Lessig e Jim Webb. Il culmine di una vita che l’ha vista sempre primeggiare, e frantumare un obiettivo dopo l’altro. È stata un avvocato di successo, la prima donna a entrare come socia nella Rose Law Firm, uno degli studi legali più antichi degli Usa. È diventata First Lady d’America nel 1993. Mentre ancora abitava alla Casa Bianca ottenne il seggio senatoriale a New York, risultando la prima moglie di un Presidente a ottenere una carica elettiva. Pur avendo perso le primarie del 2007-2008 contro Barack Obama, Hillary fu la candidata a ottenere la maggior quantità di voti popolari (18 milioni) nella storia delle primarie Usa. È stata per quattro anni (2009-2013) segretario di Stato. La corsa alla presidenza, dunque, sembrava sua di diritto. E la Casa Bianca non troppo lontana, vista la povertà del fronte repubblicano.

E invece… È bastato che il piccolo New Hampshire preferisse Sanders, e desse a lui 15 delegati (contro i 9 di Hillary) dei 2.382 che l’uno o l’altro dovrà conquistare per ottenere la nomination democratica, che gli allarmi sono cominciati a squillare. Allarmi diventati vere sirene da quando si è arrivati in prossimità del Nevada, dove si vota oggi per la scelta del candidato democratico: in uno Stato dove sono forti due gruppi per tradizione vicini alla famiglia Clinton, cioè i neri (9% dell’elettorato) e gli ispanici (28%), Bernie Sanders è rimasto assai vicino a Hillary nei sondaggi locali, e addirittura davanti a lei di tre punti percentuali in sondaggi a livello nazionale....

Ovviamente analisi e de profundis sono partiti a raffica. Perché le donne giovani non votano Hillary, perché le minoranze non la seguono, perché i progressisti la detestano, perché i moderati non se ne fidano. Insomma: tutto e il contrario di tutto. A corsa presidenziale in realtà appena partita.

Hillary… e tutti gli altri

Bisognerebbe, a questo punto, fare il classico passo indietro. È la campagna tutta che non decolla. E i candidati tutti a non entusiasmare l’elettorato americano. Il Pew Research Center di Washington, uno dei più accreditati centri mondiali di studio dell’opinione pubblica, ha trasformato questa realtà in cifre con un recente sondaggio. Tutti i candidati, dell’uno e dell’altro fronte, sono sbeffeggiati dai potenziali votanti. Solo l’11% degli interpellati pensa che Hillary sarebbe un “grande” Presidente, mentre il 28% pensa che sarebbe un Presidente “disastroso”. Sanders? Per lui 9% di “grande” e 17% di “disastroso”. Donald Trump? 11 e 38%. Jeb Bush? 2 e 24%. Marco Rubio? 4 e 19%. Per chiunque si decida di votare, sembra, le probabilità di scegliere un incompetente superano quelle di scegliere un competente.
Negli Stati Uniti molti ora scrivono che Hillary Clinton ha perso il “mojo”, o che non l’ha mai avuto. Mojo è un termine gergale per dire fascino, talento, brillantezza, sex appeal, sprint. Quel qualcosa in più che ti distingue dagli altri. Ma siamo sicuri che sia un problema della sola Hillary e non dell’America, incapace di produrre un candidato più entusiasmante come lo furono, in modi diversi, Clinton, Reagan, lo stesso George Bush, per non parlare di Obama? Non è un caso, quindi, che in questo grigiore per ora si distinguano i candidati più “stravaganti”, Trump a destra e Sanders a sinistra.
Ma la campagna elettorale, tra primarie e presidenziali, dura un anno. E un anno è lungo se devi riempirlo di minacce agli immigrati (Trump) o, come tocca a Sanders, con la necessità di portare alle urne milioni di persone che di solito non votano: per esempio i giovani sotto i trent’anni che nel 2014, alle elezioni parlamentari di medio termine, hanno votato in una percentuale inferiore al 20%.
Alla fine proprio il grigiore potrebbe essere l’arma segreta di Hillary. Il suo slogan è “Un progressista che fa le cose”, che conclude, che porta a casa il risultato. È una chiara allusione ai rivali del Partito democratico, gli iper-progressisti Sanders e O’Malley, nobili nelle intenzioni ma minoritari per vocazione. Se quei milioni di giovani non andranno a votare in ogni singolo Stato, verrà il momento in cui l’elettorato democratico più tipico (meno giovane, meno progressista, meno benestante) si chiederà se, in questa America ancora travagliata nell’economia e insidiata fuori confine, sia meglio sognare o concludere. Anche poco, anche con quei lati oscuri (lo scandalo della Libia, il perenne flirt con la finanza di Wall Street e le grandi multinazionali) che Hillary Clinton porta con sé, ma concludere.
Per lei, il lato oscuro della forza non è Sanders ma, semmai, il convitato di pietra di questa elezione: Michael Bloomberg, il miliardario ex sindaco di New York, 14° uomo più ricco al mondo. Ha lasciato un buon ricordo, è potente, ha mollato il Partito repubblicano per diventare indipendente. Una campagna elettorale, se vuole, può finanziarsela da sé. Ecco un carisma che aspetta di essere impegnato.--------------

http://www.fulvioscaglione.com/2016/02/20/hillary-la-donna-dei-record-non-convince-piu/

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