PS: <<Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati -
disse il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua il 6 ottobre 2010 -
rischieremmo un sommovimento sociale>>........capito......! Aspettate ancora un po' a ribellarvi!
umberto marabese
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Lo studio «Pensions at a Glance»
pubblicato ieri dall'Ocse ha finalmente dissolto tutte le reticenze.
Finalmente tutti i precari, i lavoratori autonomi e indipendenti sanno
che avranno un presente da working poors e un futuro di povertà da
anziani. «L'adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un
problema per le generazioni future - sostiene la ricerca - i lavoratori
con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più
vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia».
Sul banco
degli imputati ci sono il metodo contributivo e l'assenza delle pensioni
sociali. Secondo l'Ocse, il metodo contributivo è legato strettamente
all'ammontare dei contributi. Quindi penalizza tutti coloro che hanno un
lavoro precario e nelle loro vita attraversano periodi crescenti di
disoccupazione e precariato, quindi di retribuzione e di contribuzione
diseguali. Al termine di questo zigzagare tra lavori e non lavori,
queste persone rischiano di non percepire una pensione degna di questo
nome. E, in futuro, non godranno delle pensioni sociali «per attenuare
il rischio di povertà tra gli anziani». Una catastrofe, dopo più di
mezzo secolo di Stato sociale. ........
Il sistema contributivo è stato
tuttavia una manna per i conti pubblici. Ha garantito la stabilizzazione
della spesa pensionistica. Nel 2010 era il 15,4% del Pil rispetto alla
media Ocse del 9,3%. In virtù della riforma, nel 2050 sarà del 14,7%,
mentre la spesa media nei paesi Ocse crescerà all'11,4%. La riforma
Fornero del 2012 ha consolidato questi risultati, garantendo la
stabilità del sistema tra il 2010 e il 2050. L'aumento dell'età
pensionabile a 69 anni ha contribuito a questo fine, ma per l'Ocse non
basta. «L'età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il lavoro è
ancora relativamente bassa: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne
- precisa l'Ocse - Le politiche per promuovere l'occupazione e
l'occupabilità e per migliorare la capacità degli individui ad avere
carriere più lunghe sono essenziali».
La riforma dovrebbe
continuare, evitando che i lavoratori «lascino il mercato in anticipo».
in condizioni di crescente precarietà. Un circolo vizioso che rischia di
trasformarsi in una dannazione perché lavorare 40 e più anni non
garantisce comunque una pensione pari o quasi all'ultimo stipendio, come
invece avveniva nel sistema precedente. Per questa ragione l'Ocse
insiste sullo sviluppo dei sistemi integrativi privati e le
assicurazioni vita. Due strumenti che non hanno prodotto i risultati
attesi in Italia, molto probabilmente per i bassi salari (28.900 euro,
pari a 38.100 dolari, al di sotto dei 42.700 dollari medi dell'Ocse).
Ciononostante, nella logica neoliberista, l'Ocse sollecita a proseguire
sulla strada della privatizzazione della previdenza a carico del
lavoratore mentre i giovani non hanno la possibilità di versare i propri
contributi e la percentuale degli over 55 che lavorano (sempre più
precariamente) è «relativamente bassa», al 40,5%.
L'obiettivo che
spinse 17 anni fa alla trasformazione del sistema, il suo costo
elevatissimo, è stato dunque raggiunto. Le pensioni sono state vincolate
alla crescita del Pil. Se oggi il Pil non cresce, e non crescerà nei
prossimi anni, gli assegni previdenziali saranno ancora più poveri. Ciò
peggiorerà l'attuale macroscopica diseguaglianza ai danni dei nuovi
entrati sul mercato del lavoro, oltre che ai danni di chi non avrà una
carriera professionale con regolari versamenti dei contributi.
Lavorare più a lungo, lavorare peggio, guadagnare sempre meno e, nel
caso di chi ha iniziato a lavorare dopo la riforma Dini del 1996, non
arrivare alla pensione contando sulla capacità di consumare di più. Nei
fatti questa situazione è il rovesciamento della teoria del Nobel per
l'Economia Franco Modigliani che rifletteva sull'attitudine
dell'individuo al risparmio nella fase attiva della vita per poi
consumare di più durante il pensionamento. Chi avrà lavorato per tutta
la vita con il metodo contributivo, in maniera precaria, intermittente o
indipendente, non ha più speranza di rientrare nel «ciclo vitale del
lavoratore» sperimentato nel secondo Dopoguerra. E nel 2050 non
consumerà quanto accumulato nel frattempo, continuando a lavorare da
povero a 70 anni. E oltre.
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