martedì 12 novembre 2013

ANCHE IO ERO OFF, al telefono con Pasquale Squitieri: "“Vittorio De Sica mi diede 2 milioni…”.


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ANCHE IO ERO OFF, al telefono con Pasquale Squitieri
di Edoardo Sylos Labini
Sylos Labini: puoi raccontarci un episodio OFF, una situazione per te particolarmente significativa durante la gavetta che ogni grande artista fa?
Squitieri: ero praticante giornalista a Paese Sera e in un turno di notte arriva una telefonata, un signore che cercava lavoro minacciava da più di 12 ore di gettarsi dal Colosseo; mi precipito e mi informo, era il 1958. C’era una folla infernale: il Sindaco di Roma, psicologi, giornalisti, curiosi… e c’era anche Cesare Zavattini, uno dei più grandi scrittori italiani, uno dei più famosi sceneggiatori di cinema. Nel buio pesto mi inerpico per raggiungere quel disgraziato, mi presento e gli dico: “Sono di Paese Sera, se scendi ti faccio un’intervista, se non scendi me ne vado perché fa un freddo del diavolo!”. Lui scende, nella meraviglia di tutti quelli che da ore gli chiedevano la stessa cosa. Zavattini rimase sbalordito dalla semplicità con cui avevo tirato giù quel signore dal Colosseo, si creò tra noi un’empatia. Il giorno seguente lo incontrai nel suo studio sulla Nomentana e gli dissi che volevo fare il regista, che avevo lavorato per molto tempo con Francesco Rosi, anche in teatro, e che avevo scritto un copione cinematografico, Io e Dio. Zavattini lo trattenne per leggerlo. Dopo tre giorni arrivò in redazione una telefonata di Vittorio De Sica, che mi invitò nella sua casa all’Aventino per parlarne.....
. Stava girando I girasoli in Unione Sovietica. Mi disse che il mio film era bellissimo, ma nessuno me l’avrebbe mai fatto fare. De Sica mi chiese quanto mi serviva – io non avevo idea dei costi di produzione, gli dissi 10 milioni di lire – lui mi portò nella sua banca, mi diede 2 milioni in contanti e mi chiese: “Ce la fai per cominciare?”.
Sylos Labini: oggi non tutti hanno la fortuna di avere un grande maestro che punta su un talento: che cosa deve fare un giovane filmmaker per puntare in alto?
Squitieri: nei miei quarant’anni di carriera nel cinema ho provato ad aiutare i miei aiuto registi, ci sono riuscito due volte. Solo che all’epoca il cinema era nelle mani dei privati. Appena è arrivato lo Stato è arrivata la spartizione politica di questo capitale. Tra poco inizierò un film e ho dovuto chiedere i fondi al Ministero, non potevo chiederli a un Vittorio De Sica, perché senza il contributo statale non avrei la distribuzione. E i contributi statali vengono dati a seconda delle collocazioni politiche, del nome… pensa che io, che ormai sono vecchio e ho alle spalle venti film, ogni volta per fare un film devo ricominciare tutto da capo. Questo ‘cinema di Stato’ ha allontanato completamente gli autori; quei pochi che riescono a fare qualcosa di buono lo fanno per la televisione, oggi la fiction ha vinto sul grande schermo, sul cinema tradizionale. E siamo massacrati, anche in tv, dalle produzioni tedesche, francesi, americane, giapponesi, perfino cinesi! Non c’è spinta culturale, emotiva, non c’è più niente.
Sylos Labini: sei un regista “politicamente scorretto”, hai sempre fatto dell’impegno e della denuncia civile il succo del tuo cinema. Penso al tuo film Claretta e a uno spettacolo teatrale, un atto unico di qualche anno fa, Piazzale Loreto… Che cosa sta succedendo nella società civile italiana?
Squitieri: è successo che è morta l’ideologia, non ci sono più comunisti, fascisti, democristiani… siamo in una società di mercato in cui l’utile ha vinto su tutto. Gli incassi del cinema italiano fanno ridere, non sollevano di un millimetro il silenzio. Il cinema si fa se c’è qualche buona idea, mentre il cinema che stanno facendo adesso è una scopiazzatura penosa dei vecchi temi del cinema italiano. Poi qualcuno c’è, Marco Bellocchio è sempre un grande regista, ma si deve buttare su temi come il fascismo, lui che viene da tutto un altro tipo di cultura cinematografica… deve utilizzare temi che siano comprensibili per gli spettatori, solo che lo fa con un ritardo mostruoso! Io Claretta l’ho fatta nel 1984! Il film che sto per iniziare riguarda un argomento attualissimo, la trasformazione dell’uomo in immagine di sé, il dualismo di Platone: l’apparire è meglio dell’essere? C’è chi è condannato all’ergastolo perché una telecamera l’ha ripreso mentre pisciava in un angolo della strada, oppure ci sono altri personaggi che vivono ricchissimi perché il loro apparire è molto meglio del loro essere reale, c’è una regia, ci sono le luci, le belle donne… personaggi che realmente sono dei poveracci, ma la loro rappresentazione è molto meglio della realtà.
Sylos Labini: ci hai raccontato il tuo episodio OFF, era legato a una persona che si voleva suicidare. Come ti spieghi i suicidi di Monicelli e di Lizzani?
Squitieri: con la chiusura di un ciclo culturale. Io li ho capiti benissimo. Lizzani ha fatto il suo ultimo film su una mia sceneggiatura. Siamo stati molto vicini, anche se politicamente eravamo molto lontani. Con la morte dei grandi – Federico, Michelangelo, De Santis – è tutto un ciclo culturale formidabile… in presenza di Bolognini e di altri grandissimi eravamo delle comparse, però assimilavamo! De Sica un giorno mi disse: “Pasqualino, ricordati che esistono due tipi di registi: quelli che copiano bene e quelli che copiano male”. In questo ciclo bellissimo del cinema italiano ci siamo copiati a vicenda, come faccio a dire di non aver copiato, ne Il Prefetto di ferro, alcune inquadrature di Pietro Germi nel film In nome della legge? Lui, a sua volta, le prendeva da John Ford… erano vasi comunicanti, era un dare, avere, riprendere… Ora chi vuoi copiare? Papaleo? Il cinema non esiste quasi più, tant’è vero che gli americani stanno facendo tutto cinema impostato sul grande Disney, che ha inventato un altro modo di fare cinema, escludendo l’attore. Da noi si è spento un genere perché non l’abbiamo alimentato.
http://www.ilgiornale.it/redirect/cultura/squitieri-giornaleoff-volta-copiavo-pietro-germi-ora-chi-si-966634.html

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