‘La
fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo’. Vecchia massima del
sommo poeta (Roberto Freak Antoni) di cui tutti dovrebbero far tesoro e,
in primis militanti, elettori e dirigenti del Pd.
Sì,
perché “tirarsela” ha più di un significato. Da un lato vuol dire
vantarsi (tranquilli che vinciamo), e dall’altro invece “tirarsela
addosso”. La sfiga, appunto. Ecco: è incredibile come da anni queste due
accezioni sappiano perfettamente convivere, combinarsi, miscelarsi come
micidiali polveri piriche ed esplodere al momento giusto, che di solito
arriva quando si contano i voti alle elezioni. Lo
sanno anche i bambini che prima della partita non si dice “vinciamo”, e
lo sapeva il grande Nereo Rocco che a quelle certezze granitiche e alla
perniciosa overdose di autostima diede una mirabolante risposta: “Vinca
il migliore? Speremo de no!”. Del resto, il “Vincere, e vinceremo” di
sfiga ne ha portata tanta, e la storia è lì che ce lo insegna.
Ma sia: se peccare è umano, perseverare è democratico......
Tutti ricordano la “Gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto:
bastò inventare quello slogan e presentarsi in tivù vestito come un
funzionario dell’Aeroflot degli anni Settanta per veder sorgere il sole berlusconiano e pagarla per i decenni a seguire. Era una frase a effetto, d’accordo. Tre anni dopo (correva il 1997) fu Gianni Cuperlo,
intellettuale e colto, a segnare il congresso del Pds con un bellissimo
aforisma di Rilke: “Il futuro entra in noi prima che accada”. A dirla
tutta, il futuro (Silvio) era giù entrato alla grande. Ma quel congresso
rifletteva anche molto sul welfare e su come difenderlo, e com’è finita
lo sappiamo tutti: un altro tsunami di sfiga. Poi venne Walterone nostro, quello della vocazione maggioritaria e del no copyright, che rubava a Obama il suo “Yes, we can”, tradotto in un “Se po’ fa” all’amatriciana. Era fantasia, certo. E infatti la realtà la superò alla grande: “Smacchiare il giaguaro” perfezionò quella tecnica antica, nota a sinistra, che si può chiamare “la zappa sui piedi”.
La
battuta, tra l’altro, era di Maurizio Crozza. Bersani la prese e la
trasformò in slogan, ci fecero le magliette e la canzoncina, la urlarono
ai comizi, la dissero in tivù. Trasformarono insomma la battuta di un
comico molto serio in una frase seria di un leader molto comico,
rimanendo alla fine sotto le macerie. L’uomo impara dall’esperienza.
L’uomo sì, forse, ma Renzi no. Quel “li asfaltiamo”
detto l’altro giorno ha sicuramente messo un brivido nella schiena di
tutti i democratici, aspiranti tali, simpatizzanti, tifosi, possibili
elettori e italiani circonvicini. Frase detta in tutta onestà, persino
sincera, persino convinta. Che potremmo sentire ripetere infinite volte
da qui all’asfaltatura, a patto che nella gadgettistica Pd comincino a
comparire cornetti rossi e collane d’aglio, amuleti, ferri da toccare al
momento giusto, dita incrociate e mani dove non si può dire: la
prudenza non è mai troppa.
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