umberto marabese
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I media parlano di Letta, Napolitano e B. come di autorità politiche in grado di gestire davvero la crisi italiana, senza mai neppure domandarsi da dove venga.
La parola d'ordine è una sola:
vincere. Così Mussolini dal fatale balcone, tanti anni
fa. Oggi che il Duce non c'è più, resta comunque una parola
d'ordine - un'altra: sopravvivere - ed è sempre
l'indizio di un gioco truccato.
Chi parla per proclami, oggi più di
ieri, sta barando: sa benissimo che la verità è lontana anni
luce dalle parole. Non solo non si può "vincere", ma non si può
più nemmeno sopravvivere. È matematico, pallottoliere alla mano: se
non hai più moneta da creare e quindi da spendere, e se ormai
è lo straniero a gestire addirittura la tua borsa, le speranze di
continuare a galleggiare - lavoro, consumi, servizi - sono
ridotte a zero.....
La beffa suprema è che la verità
seguita e restare fuori dalla porta, oscurata con zelo dai mattatori
della disinformazione, oscuri manovali e pallidi eredi del Solista
del Balcone. Agli ordini delle grandi lobby che dominano le comparse
della democrazia - cartelli elettorali e semi-leader, sindacati e
ras industriali complici della finanza - giornali e televisioni
parlano di Letta, Napolitano e Berlusconi come di autorità politiche
in grado di gestire davvero la crisi italiana, senza mai neppure
domandarsi da dove venga, questa maledetta crisi.
La parola tabù, mai pronunciata nei
momenti che contano, è sempre la stessa: moneta. Ci è stata
sottratta, la moneta, con un gioco di prestigio che aveva in palio un
grandioso traguardo civile, l'unità storica del continente che
insieme a Galileo, Leonardo e Voltaire seppe partorire lo schiavismo
e il colonialismo, le guerre di religione, il nazifascismo, la Shoah
e due conflitti mondiali. Risultato: all'inizio degli anni '90
abbiamo applaudito, mentre ci sfilavano di tasca il portafogli.
Ancora non lo sapevamo, ma i padroni della Terra avevano già capito
che la breve festa del dopoguerra - lo sviluppo, il progresso,
il benessere, i diritti - era praticamente finita. Era
terminata, la ricreazione, anche nella critica trincea italiana, il
paese del "miracolo" che - grazie al debito pubblico dosato in
modo strategico - aveva raggiunto risultati straordinari in
brevissimo tempo, nonostante la forte corruzione della classe
politica, tollerata perché indispensabile a cementare il sistema
atlantico in funzione anti-Urss.
Così, sorridemmo sollevati alla caduta
del Muro di Berlino, anche perché l'alba della nuova era sembrava
sorvegliata dalla presenza rassicurante di un grande della storia
come Mikhail Gorbaciov. Appena qualche anno dopo saltarono in aria
Falcone e Borsellino, mentre i reggenti della
transizione avevano appena ceduto lo scalpo dell'Italia - cioè
il nostro - all'assise di Maastricht. Oggi, vent'anni dopo, del
panfilo Britannia con a bordo Mario Draghi e gli squali della
finanza parassitaria anglosassone parlano liberamente, in seconda
serata, Gianluigi Paragone e Loretta Napoleoni, mentre - nel giorno
del crac della larghe intese - Lucia Annunziata chiede invano al
preoccupato Enrico Mentana che si racconti finalmente tutta la storia
degli Illuminati, il grande retroscena dei veri clan
onnipotenti, la filiera delle svendite e delle cessioni-fantasma
che si snocciola ininterrotta fino ai nostri giorni con le
vicende Telecom e Alitalia, infrastrutture nazionali finanziate con
glorioso ed efficiente debito pubblico per fare dell'Italia un
paese moderno, una delle prime 7 economie mondiali.
Tutto finito, da tempo: non solo perché
Slovenia e Croazia non sono più nemiche dell'America, ma anche
perché potrebbe diventare atlanticamente inaffidabile persino la
docile Italia, così come la Grecia e le altre vittime sacrificali
dell'Eurozona, se solo diventasse un po' più amica della Russia,
cioè del maggior forziere energetico di tutta la latitudine
eurasiatica. Meglio tenerla al guinzaglio, l'Europa, magari
premiando l'immancabile kapò tedesco - ovviamente a
insaputa dei tedeschi stessi, a cui provvede la relativa
disinformacija, quella che racconta loro, mentendo, che il Sud
Europa è un continente di irresponsabili scrocconi. Vedono lungo,
i signori della Terra: una sfera orbitante che ormai ospita sette
miliardi di esseri umani non può più essere il paese della cuccagna
per il "miliardo d'oro", anche perché l'impero occidentale
declina, i BRICS reclamano la loro parte e all'orizzonte c'è un
subcontinente sterminato che si chiama Cina.
Acqua e cibo, clima e terra. I
limiti dello sviluppo smentiscono la fiaba della crescita infinita,
su cui si basa l'ottuso credo bugiardo di tutti gli addetti alla
narrazione ufficiale, quelli che hanno sempre sparso nebbia sulla
scienza dell'economia, come fosse un'arte magica per iniziati,
incomprensibile e fuori dalla portata dei comuni mortali. Il loro
capolavoro: farci credere che il debito dello Stato sia paragonabile
a quello di famiglie e aziende - che, a differenza dello Stato,
il denaro non possono crearlo dal nulla, ma solo guadagnarlo.
I dominus sono abilissimi nell'arte
della prevenzione: hanno annientato le vecchie barricate,
smantellato le opposizioni, accecato e comprato gli avversari,
plastificato l'immaginario collettivo, desertificato le coscienze
pubbliche. Oggi sono in grado di presentare la cosiddetta crisi
come un evento ciclico, una calamità naturale inevitabile e
rimediabile solo con la sottomissione, la tolleranza illimitata del
disagio crescente. Fino all'estrema depravazione italiana: prima il
brutale gauleiter Monti, poi le larghe intese
fangose tra gli ultimi boss di una sotto-casta di affannati
camerieri, tra i quali già si fa largo il sorriso impaziente
dell'ultimo erede dinastico, Matteo Renzi.
Mentre il regime del pensiero unico
presidia ancora saldamente la comunicazione, è proprio l'urto
della crisi economica a spalancare nuovi crateri nel tessuto sociale,
seminando innanzitutto paura. Il frangente è feroce e richiede
parole adeguate, ferme e inequivocabili: le trova coraggiosamente un
uomo soltanto, il Papa di Roma. Verità dolorose, pronunciate in
solitudine da Jorge Mario Bergoglio, di fronte all'indecente
silenzio di partiti e ministri, politici e sindacalisti. Tutti gli
altri, gli attivisti estranei al circuito, i potenziali
costruttori dell'alternativa - italiana e necessariamente
internazionale, almeno europea - appaiono ancora isolati e
dispersi, ognuno concentrato su singoli aspetti della catastrofe
incombente: le malefatte delinquenziali del piccolo clan nazionale di
potere, la grande tragedia della carenza di energia e materie prime,
la relativa geopolitica della guerra, il disastro ambientale dietro
l'angolo: secondo l'Onu, entro cent'anni il clima impazzito
solleverà i mari fino a sommergere le città rivierasche.
Al centro della scena, naturalmente,
resta l'aspetto più pratico e immediato della sciagura, la piaga
della disoccupazione che rivela la gravità della cosiddetta
crisi economico-finanziaria dell'Occidente: da una parte
l'Eurozona, con gli Stati privati della loro moneta e quindi
costretti a tosare i cittadini spingendoli in una spirale recessiva
senza fine, e dall'altra Londra e Washington, che invece il denaro
continuano giustamente a fabbricarlo. Peccato però che quello stesso
denaro venga usato dalla finanza per taglieggiare gli sventurati che
la sorgente istituzionale del denaro l'hanno perduta. Solo a noi, i
paesi dell'Eurozona, si impongono inaudite tangenti su un debito
pubblico non più sovrano ma comprato e venduto a tasso di usura,
con la piena collaborazione della BCE (quella di Mario Draghi,
l'uomo del Britannia) che in virtù del trattato-capestro di
Maastricht continua a negare alle nostre repubbliche il legittimo
accesso alla moneta, ovvero l'ossigeno necessario a produrre
investimenti, lavoro, consumi, benessere.
Di fronte a questo, la prima
alternativa imprescindibile, per evitare che la situazione precipiti
definitivamente nella disperazione, è quella della parola:
servono narrazioni oneste, spiegazioni chiare e sincere. Solo
oggi emerge appieno il ruolo-chiave delle élite nelle nostre recenti
disavventure, in realtà frutto di una oscura e accurata
premeditazione almeno trentennale. E il peggio, dice uno storico
dell'economia come Giulio Sapelli, non è neppure lo
strapotere occulto dei grandi clan mondiali: il peggio è che persino
loro hanno ormai smarrito la bussola, e quindi ci aspettano
turbolenze mai viste. Quelle, peraltro, a cui stiamo
cominciando regolarmente ad assistere. In condizioni di crescente
pericolo, in cui la pace sociale potrebbe rapidamente crollare anche
in Italia al livello greco, servirebbe quindi uno sforzo
straordinario per unire forze e costruire alleanze attorno a
un'intelligenza collettiva democratica, in grado di
affrontare l'emergenza nella quale stiamo sprofondando.
Punto primo: pervenire finalmente a
una lettura univoca e condivisa della grande crisi, che è la
somma di più crisi. Da sola, la riconquista di una sovranità
politico-monetaria non può risolvere il dramma storico della grande
recessione, la fine della crescita occidentale.
Per contro, senza potere di spesa
pubblica non è neppure lontanamente pensabile nessun programma
nazionale di investimento capace di costruire futuro. Verissimo:
senza gli F-35 e la linea Tav Torino-Lione si potrebbero aprire
centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma i disoccupati sono
milioni. Per il loro futuro, cioè il nostro, serve una
riconversione generale dell'economia: lavoro utile e pulito,
nei settori chiave dell'energia rinnovabile, dell'edilizia verde,
dei servizi alla persona e delle filiere corte. Una riconversione
efficace, sostenuta da uno Stato sovrano funzionante e
democraticamente governato, con pieno potere di spesa. Tutto si può
fare, ma servono soldi: i nostri, quelli che ci hanno
sottratto a Maastricht, a tradimento. Ovviamente, in televisione non
se ne parlerà neppure stavolta. Ma sarà bene che qualcuno cominci a
farlo: qui si tratta di salvare l'Italia, non il destino di Letta,
l'avvenire di Renzi o la vecchiaia di Berlusconi.....
FONTE -di Giorgio Cattaneo. : http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=87376&typeb=0&Salvare-l-Italia-dimentichiamo-Letta-Renzi-e-B-
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