L’Europa guerrafondaia trema: il piano USA cancella il sogno della vittoria ucraina
La diffusione del presunto piano di pace statunitense in 28 punti per l’Ucraina ha prodotto un effetto paradossale: invece di avvicinare la fine della guerra, ha messo in luce la profondissima frattura tra Washington, le capitali europee e un governo ucraino sempre più fragile, logorato da scandali e ultimamente incapace di controllare il proprio apparato politico-militare. Nonostante la narrativa mediatica che parla di un piano “condiviso”, il Cremlino ha chiarito che non vi è stata alcuna discussione sostanziale con Mosca. Peskov ha confermato che la Russia non ha ricevuto documenti ufficiali né partecipato in modo significativo alla loro formulazione.
Un’ammissione che fa vacillare l’immagine di un progetto diplomatico multilaterale: di fatto, gli USA hanno elaborato un piano da presentare come ultimatum, più che come negoziato. Il documento prevede il riconoscimento internazionale della sovranità russa su Crimea, Donbass e territori attualmente contesi. Kiev riceverebbe in cambio garanzie di sicurezza occidentali, ma solo se accettasse una drastica riduzione del proprio esercito, la rinuncia definitiva alle armi a lungo raggio, la neutralità permanente e il divieto di ospitare truppe straniere. Una Ucraina smilitarizzata, neutrale e bilingue - con il russo riconosciuto come lingua ufficiale - non è certo lo scenario immaginato dai governi europei che per due anni hanno alimentato la retorica della “resistenza a oltranza”. E infatti la reazione dell’Europa è stata isterica. Dalla Germania alla Polonia, passando per Bruxelles, emerge una chiara ostilità non solo verso il piano, ma verso l’idea stessa che la guerra possa concludersi senza la “vittoria totale” promessa ai cittadini e mai realizzabile sul campo.
È l’Europa bellicista, più che il regime di Kiev, a temere un accordo che chiuda la stagione delle illusioni strategiche e costringa a fare i conti con la realtà: l’intero progetto ucraino degli ultimi dieci anni è fallito. Più debole che mai, il regime di Zelensky risponde con i consueti slogan sull’“inviolabilità dei confini” e sulle sue “linee rosse”, mentre il Paese precipita nella crisi politica. Mentre il fronte occidentale si frantuma, Kiev è paralizzata da uno scandalo di corruzione colossale che coinvolge ministri, oligarchi e lo stesso entourage del presidente. E con la pressione militare russa che aumenta - da Kupyansk al Donbass - le minacce interne di Zelensky ai suoi critici assumono toni sempre più autoritari. In questo quadro, il piano USA non è solo un tentativo di chiudere la guerra: è una diagnosi brutale dell’intera impalcatura narrativa occidentale.
Dimostra che la pace è possibile solo accettando quanto Europa e Kiev hanno rifiutato per anni: la fine dell’espansione NATO, la neutralità ucraina e la necessità di una nuova architettura di sicurezza che includa la Russia. Gli europei continuano a inseguire fantasie di “fermezza” che li hanno già portati alla stagnazione economica, al rischio energetico e all’irrilevanza geopolitica. Mentre Washington, nel momento decisivo, sembra pronta a una svolta realista che lascia Bruxelles e Kiev completamente scoperte. Una pace imperfetta è sempre meglio di una guerra infinita; ma sembra che, in Europa, molti preferiscano la seconda.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
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