domenica 17 luglio 2016

L’onda dei migranti investe i Comuni: “Sono troppi, non ce la facciamo più”



     Dal governatore del Veneto (Lega) alla sindaca di Alessandria (Pd) il grido d’allarme: “Ora       basta:           senza risorse il fenomeno è diventato ingovernabile”. 
ROMA
La situazione, a leggere le prese di posizione di molti politici locali, sembra fuori controllo. Da Alessandria a Gorizia, da Fiuggi a Fiumicino, da Messina alla Val d’Aosta, da Ventimiglia a Treviso si lancia l’allarme per l’arrivo di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo. Di ieri è il «grido di dolore» del governatore leghista del Veneto Luca Zaia, secondo cui con 10.576 immigrati sul territorio della regione, «il punto di rottura è stato raggiunto: abbiamo dato con i 514mila stranieri regolari che il Veneto ha accolto negli anni e con questi 10.576 immigrati ospitati, due terzi dei quali in realtà sono finti profughi. Ora basta». Sulla stessa linea c’è la sindaca di Alessandria, Rita Rossa (Pd) che al ministro Alfano che gli spediva 92 migranti in più ha scritto che i nuovi arrivi «pongono la nostra comunità in una situazione di grande disagio, perché ci troviamo impossibilitati a gestire una situazione che è divenuta ingovernabile». Protesta duramente con il prefetto al Sud il sindaco di San Marzano sul Sarno (Salerno), Cosimo Annunziata, che usa toni e parole simili a quelle adoperate dal sindaco di Magenta (Milano) Marco Invernizzi. Sintetizza tutti Piero Fassino, ex sindaco di Torino: «Finora - ha detto - in Italia l’immigrazione è stata governata tutto sommato bene, ma in termini di numeri stiamo arrivando al superamento della soglia che è governabile. Se non lo vediamo per tempo, questo problema rischia di travolgerci».....
 

Un futuro incerto  
Una tesi molto preoccupata, condivisa anche da autorevoli esponenti delle istituzioni e delle forze dell’ordine. Che temono il combinato disposto dell’aumento degli sbarchi sulle coste italiane, del blocco delle frontiere terrestri del nostro Paese voluto dai nostri vicini settentrionali, e della crescita delle tensioni generate dall’arrivo di migliaia di migranti. Tutti gli addetti ai lavori confermano che per un rifugiato attraversare la frontiera è diventato molto più difficile. Per ora però - nonostante sia stata chiusa la via di accesso attraverso la Turchia e i Balcani - dal punto di vista numerico gli sbarchi non sono molto aumentati. Ma intanto dopo lo scontro sul caso Regeni risultano riprese le partenze di barconi dalle coste egiziane, ed è aumentata la percentuale di profughi di nazionalità irachena, siriana e afghana che cercano di passare via mare.  

Numeri sostenibili  
Insomma, il modello italiano di accoglienza diffusa è davvero condannato a franare sotto il peso della «pressione insostenibile» delle nuove ondate di migranti? Può darsi, dicono gli esperti: ma perché è un sistema che non funziona, e non per un afflusso esagerato di profughi e rifugiati. L’Italia ha meno stranieri rispetto ad altri paesi (l’8,3% dei residenti, contro il 9,3 della Germania e il 9,6% della Spagna); gli sbarchi sono assestati più o meno ai livelli del 2015 (erano stati 79.618 al 15 luglio 2015, ora siamo a 79.533). Il numero dei rifugiati gestiti dal sistema di accoglienza, pur se aumentati rispetto al 2015, è decisamente modesto per un Paese di 60 milioni di abitanti: in tutto sono 135.785 persone, poco più di due ogni mille residenti. Meno della media europea, cinque o sei volte meno di Paesi come Austria o Svezia, dove ci sono 11 o 15 rifugiati ogni 1000 abitanti. Non siamo nemmeno particolarmente generosi con la concessione dello status di rifugiato: nel 2015 ci sono state 83.200 richieste, ne sono state accolte 29.630.  

Sprar ed emergenza  
Un sistema di accoglienza che nel nostro Paese è spaccato a metà: da una parte il nuovo «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati», lo Sprar, nato con la riforma del 2015. Dall’altra il sistema di emergenza gestito dai prefetti: strutture «temporanee» ma eterne, e centri di prima accoglienza. Nel primo caso i Comuni - sono 800 ad aver aderito volontariamente - sanno sempre chi arriva e dove viene collocato, e forniscono servizi per l’integrazione di discreta qualità che aiutano l’inserimento dei rifugiati. Nel secondo caso la procedura è straordinaria: i prefetti, se necessario, possono liberamente inviare rifugiati in una città senza chiedere il permesso, la qualità del servizio è scarsa, le strutture sono gestite da privati o coop che si limitano spesso a fornire solo alloggio e vitto. E arricchendosi, come abbiamo visto con la vicenda di «Mafia Capitale». 

Come spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di Solidarietà di Trieste e uno degli «inventori» dello Sprar, il modello italiano di integrazione «in realtà non esiste». «Non c’è programmazione né coordinamento - afferma - e così si arriva a una distribuzione delle persone in accoglienza del tutto ineguale: da una parte ce ne sono troppi rispetto alle possibilità, in altri posti praticamente non ce ne sono. Il risultato è il caos». Basti pensare che il sistema Sprar oggi ospita solo 20.347 rifugiati; le strutture «temporanee» e di «prima accoglienza» (considerati a volte dei lager, o nella migliore delle ipotesi fucine di noia e rabbia) ben 113.622. E anche lo Sprar, peraltro, sta entrando in sofferenza: l’ultimo bando ha visto adesioni insufficienti da parte dei Comuni. E, unici in Europa, restiamo senza misure per l’inclusione sociale delle persone a cui è riconosciuto il diritto di asilo. Appena arriva lo status cessa l’accoglienza, spiegano gli operatori sociali; e puoi finire subito in mezzo alla strada.  

Serve programmazione  
Come uscirne, come ripartire sul territorio i rifugiati nel modo più razionale? Per Schiavone la strada da percorrere è l’estensione del sistema Sprar, cui tutti i Comuni devono obbligatoriamente aderire ricevendo in cambio risorse e incentivi, «per poter gestire le presenze sul territorio in modo intelligente ed equo. Questo - spiega - è il metodo per fare vera inclusione sociale, smontare le paure dei cittadini e gestire bene il problema, con cui dovremo confrontarci a lungo in futuro». Dello stesso avviso è Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia per immigrazione e asilo: «Va esteso Sprar - afferma - e ridotto il sistema “straordinario”. E da subito occorre un monitoraggio serio e indipendente del funzionamento dei centri d’accoglienza che ricevono soldi pubblici, a volte come sappiamo fornendo servizi pessimi».------------------------ 

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