giovedì 7 gennaio 2021

#Byoblu24 - GLI STATI UNITI NON SONO PIÙ UNITI ...


GLI STATI UNITI NON SONO PIÙ UNITI - #Byoblu24

Di una cosa possiamo essere certi, gli Stati Uniti in primis e il mondo non dimenticheranno presto le elezioni presidenziali del 2020. Elezioni con il  più alto coinvolgimento nella storia recente degli Stati Uniti nonostante le numerosissime limitazioni causate dall’emergenza Covid19.

Nella giornata del 6 gennaio 2021 si è consumato quello che potrebbe essere definito, in base ai punti di vista, una tragedia, una messinscena, una mancata applicazione dei principi democratici. Si deve tenere bene a conto, infatti, che la nostra percezione della realtà si basa spesso su quello che i media ci fanno o non ci fanno vedere: una realtà frammentata e distorta con la quale, con molta fatica fatica, si comprendono eventi e fenomeni.

Mentre Il Congresso si riuniva per ratificare i voti del Collegio elettorale, i manifestanti favorevoli a Trump riempivano la capitale Washington DC rispondendo alla chiamata del Presidente repubblicano: protestare pacificamente contro la ratifica dei voti che avrebbe sancito la vittoria di Joe Biden.

Il Congresso inizia il processo per certificare i voti dei grandi elettori, presieduto dal vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, accanto alla speaker Nancy Pelosi. E fuori, Donald Trump inizia il suo discorso.

Un discorso nel quale il Presidente si rivolge direttamente a Mike Pence chiedendogli di avere coraggio e di agire, dunque di non ratificare la vittoria di Biden. “Gli Stati vogliono correggere i loro voti che sanno essere basati su irregolarità e frodi. Tutto quello che Mike Pence deve fare è rinviarli agli Stati, così vinceremo. Fallo Mike, questo è il momento per l’estremo coraggio”. Queste le parole di Trump.

Ma sappiamo come sono andate le cose, Pence respinge al mittente la proposta e Trump tuonerà: “Mike Pence non ha avuto il coraggio di fare quello che avrebbe dovuto per proteggere il nostro Paese e la nostra Costituzione”.

Nel frattempo un gruppo di persone, descritte subito dai mass media come sostenitori violenti di Trump, si dirigono verso il Campidoglio nel tentativo di entrare, cosa che effettivamente gli riesce.

Ma come è stato possibile profanare uno dei luoghi più protetti della Terra? Blindato tutti i giorni e le notti dell’anno?! Così risulta difficile credere che un gruppo di coloriti e folkloristici attivisti siano riusciti ad entrare nel più importante palazzo del potere della politica americana il giorno in cui Trump aveva annunciato una manifestazione e il giorno in cui ci sarebbe dovuto essere il passaggio di potere a Biden. Circola un video in rete di quei momenti dove appare chiara la poca forza messa dalle guardie per evitare che qualcuno entrasse. Sembra anzi che il loro compito fosse l’opposto: spalancargli le porte!

Secondo alcuni supporter del Presidente Trump, le violenze sarebbero state provocate da alcuni infiltrati “Antifa”. Lo sostiene, ad esempio, il commentatore conservatore ed esperto di intelligence Paul Sperry, secondo il quale “un autobous di teppisti Antifa” si sarebbe infiltrato fra i dimostranti pacifici del tycoon al fine di screditare i sostenitori del Presidente e metterli in cattiva luce. Teoria rilanciata anche dall’avvocato Sidney Powell, la quale ha pubblicato una foto di uno dei manifestanti entrati al Campidoglio che sarebbe in realtà, un’attivista Antifa avvistato ad altre manifestazioni in passato.

D’altronde queste tecniche non sono una novità neppure in Italia, soprattutto nella lunga stagione degli Anni di piombo quando erano diventate la regola. Infiltrazioni o meno, le violenze hanno prodotto degli effetti: L’assalto è costato la vita a 4 persone.

Durante la lunga diretta dagli Stati Uniti trasmessa da Byoblu e commentata dal giornalista Roberto Mazzoni, l’unico reporter presente fra i manifestanti era del quotidiano Epoch Times. Il giornalista ha intervistato alcune delle persone che sono riuscite ad entrare dentro il Campidoglio, persone che appaiono assolutamente pacifiche e soprattutto disarmate, tanto che nessuna di queste è stata fermata dalla polizia.

Comunque le immagini della Washington del 6 gennaio riflettono una profonda crisi d’identità della superpotenza americana. Un Paese sempre più polarizzato e flagellato dalle divisioni politiche e da una battaglia culturale su più fronti che non nasce certo oggi.

I media non hanno perso tempo nel cavalcare la notizia di un “Colpo di Stato” ad opera dei sostenitori violenti di Trump. E i social network, che gli fanno eco, hanno subito bloccato i profili del Presidente.

Dopo che l’intero Congresso è stato evacuato, nella notte i suoi componenti si sono di nuovo riuniti e hanno messo la parola fine alla giornata più lunga degli Stati Uniti, ratificando i voti ed assegnando la presidenza al democratico Biden.

Trump ha chiesto ai manifestanti di “tornare a casa con amore ed in pace”. “Queste cose succedono” –  ha scritto su Twitter, prima che il suo profilo venisse bloccato –  “quando una sacra vittoria elettorale viene in modo così brutto ed esplicito sottratta a grandi patrioti che sono stati trattati male e in modo ingiusto per così tanto tempo”. “Ricordate questo giorno per sempre”.

Quello che emerge è che gli Stati Uniti da oggi sono meno uniti e il partito repubblicano per come lo conosciamo non esiste più.

La vecchia guardia del partito ha fallito su tutti i fronti, disinteressato alle richieste dell’elettorato.

I repubblicani che hanno cercato di resistere volevano convincere Mike Pence ad istituire una commissione d’inchiesta per far luce sugli eventuali brogli. Perché non si può far credere a 75 milioni di americani che “è andata così e la prossima volta andrà meglio”.

La folla di persone arrivate da tutti gli Stati a Washington porta con sé un chiaro messaggio: il Governo centrale ne esce delegittimato, più di quanto lo sia mai stato in precedenza.

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