Ad un anno di distanza dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono cambiati radicalmente i paradigmi antropologici e sociali, facendo emergere con chiarezza la vulnerabilità umana davanti alla sofferenza, ma anche il modo in cui le élite si stanno servendo di questo tempo per imporre una nuova normalità.
A parlare del tema gli ospiti del convegno dal titolo “L’emergenza sanitaria da Covid-19. Problematiche antropologiche e giuridiche” organizzato da UniDolomiti, in collaborazione con Byoblu.
“Il primo dato che dobbiamo rilevare è che è emersa una vulnerabilità valoriale ed antropologica, con ripercussioni sui modelli di comportamento e di pensiero quotidiani” ha spiegato Linda Armano, docente di Antropologia Culturale all’Università Ca’ Foscari di Venezia. “I problemi sono di carattere strettamente pratico, perché il Covid è un fenomeno e, come tale, ha un modo di comunicare e di essere fruito” ha continuato la professoressa, mettendo in luce l’aspetto carismatico del virus, che è stato capace di compattare strati sociali latenti in procinto di esplodere e di farli emergere con forza rispetto all’usuale andamento sociale.
Il dominio assunto sui mezzi di comunicazione di massa ha provocato, poi, una fuoriuscita dalle aule e dai laboratori accademici di quella riflessione e ricerca proprie degli esperti, invadendo la vita quotidiana delle persone, generando una profonda confusione ed alimentando la ridefinizione dei valori culturali, già vacillanti nella società post-moderna.
Come ha sottolineato la docente “Il Covid porta con sé valori ideologici, che hanno dei segni invisibili ora emersi, tracciando anche una linea di demarcazione fra due mentalità, indirizzate a loro volta dai media, che interpretano le informazioni ricevute in maniera diversa”; un problema, questo, che già l’antropologo Paul Farmer aveva descritto come ‘violenza strutturale’, vero e proprio gioco di prestigio di de-socializzazione che favorisce l’insorgere di ideologie egemoniche, mettendo la popolazione contro se stessa.
Una dimensione ossimorica nella quale vengono introdotti certi concetti utili alle corporazioni transnazionali per neutralizzare la libera critica, che è motore della cultura, massima espressione dell’essere umano.
Sulla stessa linea l’intervento della prof.ssa Lidia Beduschi, già docente di Etnoscienza alla Ca’ Foscari e collaboratrice del CNR di Perugia, ricercatrice di linguistica e demologia, che si è concentrata sull’introduzione forzata di numerosi nuovi termini nel linguaggio delle masse, quale preludio del Great Reset. C’è uno schema temporale ben preciso, una sequenza necessaria, ecco perché “Si parla ancora di vaccino, con la sua valenza escatologica, perché viene proposto come salvezza, mentre il Grande Reset verrà dopo, poiché prima c’è una fase di transizione”, seguendo quella traccia indicata da Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, di cui la professoressa invita alla lettura.
Molti sono stati, infatti, gli avvertimenti ‘profetici’, preannunciati negli anni, ed ora viene proposta questa formattazione come un qualcosa di inevitabile, anzi positivo e necessario per uscire dalla crisi sanitaria, susseguitasi a quella economica. “Cambiano la lingua perché cambiando la lingua, si cambiano le persone – ha specificato – immettendo parole che hanno un significato molto forte, con vari ossimori, facendo emergere una narrazione dei fatti che presenta le crisi come un’esigenza, unico modo per cambiare”; un linguaggio diverso che «è proprio della magia, degli esorcismi, delle pratiche occulte», perché accessibile solo a pochi, mentre alla maggioranza delle persone appare come poco chiaro e talvolta spaventoso. È qui che la paura diventa lo strumento di potere per eccellenza, scusa adottata per privare la popolazione della libertà individuale e collettiva.
Tutto questo è rilevabile a partire da quei “paradigmi indiziali” come li ha definiti la professoressa Beduschi, che sono il principio della ricerca non solo nelle scienze umane ma anche nelle scienze dure, in quanto è a partire dall’esperienza che si muove la riflessione. Ciò che oggi è palese è che c’è un nuovo mondo, con nuove regole di vita sociale con le quali ci dobbiamo scontrare.
A seguire, il professor Daniele Trabucco ha evidenziato i gravi problemi dovuti alla mancata costituzionalizzazione del cosiddetto ‘stato di emergenza’ e le relative ripercussioni sulla forma di Governo. Trabucco, in qualità di professore di diritto costituzionale italiano e comparato e di dottrina dello Stato presso numerose Università, nonché Vicerettore di UniDolimiti, ha esordito con forza accusando l’aspetto politico dell’epidemia, citando il filosofo Giorgio Agamben.
“Noi giuristi siamo come profeti, è vero: ci viene richiesto in questo tempo di fare luce su questioni complicatissime, di sostenere e confortare la gente, di analizzare e contrastare le degenerazioni del potere politico che sta calpestando la Costituzione e i diritti consacrati dal Testo Fondamentale” ha detto il giurista, mettendo in risalto l’elemento della biosicurezza come metodologia di sovversione delle democrazie borghesi, che stanno cedendo il passo ad un nuovo dispotismo di pochi oligarchi, i quali a suon di decreti di dubbia fattezza stanno demolendo l’ordinamento giuridico degli Stati. È evidente che “il Parlamento è stato esautorato” a partire della sovversione della gerarchia delle fonti del diritto, dichiarando uno “stato di emergenza” che non è previsto dalla Costituzione ma che, in base al suo presunto potere, è divenuto legittimazione per annullare le libertà ed i diritti primari di ogni persona, giungendo a bloccare persino le funzioni del Presidente della Repubblica.
A concludere, la dottoressa Camilla Della Giustina, dottoranda in Diritto, assistente e saggista cultrice della materia, ha spiegato con chiarezza le problematiche etiche delle procedure e raccomandazioni promulgate dalle associazioni mediche di categoria circa i ricoveri per Covid. Ne è emersa “una grave ferita nel corpus giuridico sociale, ferita che mostra la mancanza di un concetto antropologico ed etico alla base, senza il quale non riusciamo a giustificare nemmeno i precetti giuridici” spingendo ad un nuovo dibattito bioetico. La questione della responsabilità medica, che è morale, giuridica, disciplinare, non è stata minimamente affrontata nei testi prodotti dalle associazioni, lasciando un vuoto gravissimo che aggrava la già complicata situazione. Il problema è evidente perché, ha ribadito Della Giustina, “la legislazione viene fatta da una società scientifica e c’è una dottrina che lo ammette, sì, ma fintanto che non venga toccata la Costituzione. Qui, oggi, stiamo parlando di diritti e di beni, come la vita e la salute, che sono costituzionali, dunque non di competenza esclusiva degli scienziati” mettendo in grave conflitto scienza e coscienza.
Da tutti i relatori, durante il convegno moderati da Lorenzo Maria Pacini è emerso che non dobbiamo lasciarci rubare la speranza: la cultura è il punto di partenza per contrastare le menzogne dei media e far ragionare le persone, producendo ancora una sana critica libera dai diktat del pensiero unico dominante, consapevoli della grande responsabilità di portata storica che ognuno di noi porta in sé.
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