Maurizio Blondet 17.12.2018
La Francia in rivolta, una costante per la storia, una novità incredibile per l’evo post-moderno; piazze e viali a ferro e fuoco, auto bruciate, banche assaltate, barricate e cariche della polizia, un movimento di popolo, quello dei gilet gialli, che è riuscito a superare le dicotomie politiche, le differenze sociali e tutto il resto, in nome di una rivolta totale contro il potere costituito, contro tutto ciò che rappresenta lo sfruttamento liberista, lo stritolamento dell’uomo medio tra le suggestioni progressiste e le politiche economiche rapaci del capitalismo finanziario.
Da troppi anni l’Europa tutta sta vivendo una situazione sociale esplosiva, che di fatto è in progressivo peggioramento - immigrazione incontrollata e spesso favorita dalle élites, sostituzione etnica e sociale, assenza dello stato, precarizzazione totale del lavoro, privatizzazione selvaggia dei servizi essenziali, impoverimento del ceto medio - tutto questo pare essere più acuto nelle grandi “banlieue” francesi, dove non si parla più francese e non si prega Gesù Cristo. Le grandi periferie ormai di proprietà dei nuovi europei, amici di monsieur le dictateur Macron, dove la polizia non entra e il popolo francese muore, stretto tra tasse nuove sempre più sbilanciate in favore dei grandi ricchi, e una convivenza ormai impossibile con i nuovi francesi provenienti da altri lidi...
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L’ultima tassa decisa dal “ragazzo” tanto caro a Bruxelles è stata quella che ha fatto accendere la miccia; la tassa sul diesel per incentivare l’acquisto di auto elettriche, una follia che cade e pesa soltanto sul popolo che lavora, non certo sulla schiena delle grandi compagnie e delle grandi banche d’affari. Il primo merito della rivolta francese è stato quello di aver ben compreso le connessioni che ci sono tra la governance liberista globale e le decisioni economiche/sociali degli stati, niente succede per caso, e in Francia in questo momento sta succedendo quello che prima o dopo ci aspettavamo; la rivolta contro il sistema liberista.
Il paragone viene da solo, in un contesto di lotta totale e assoluta, cioè libera da qualsiasi influsso, il cuore e la mente non possono non andare a quel ’68 che fu il sogno generazionale, il superamento delle dicotomie ed il rifiuto della partitocrazia. Sogno poi scontratosi con le contingenze, e infrantosi ancora una volta contro il muro delle differenze, ripescate all’ultimo dal sistema, che volle e vuole ancora oggi il popolo diviso, litigioso e oppresso.
Arrivati ormai al IV atto, alla quarta settimana di scontri, è necessario anzi indispensabile che la rivolta francese faccia il salto di qualità, per non andare verso una sicura sconfitta, i militanti dei gilet jaunes devono riempire di contenuti reali la protesta, fare quello che il sistema non vuole, politicizzarla prima che sia da altri politicizzata e quindi smembrata. È assolutamente necessario, se l’obbiettivo è una rivoluzione, ideologizzare la rivolta per far sì che l’individuazione del nemico sia razionale, lineare, e tali siano anche le soluzioni. Il liberismo ha da essere l’imputato, il popolo il giudice supremo.
Ripartire dunque dalla Francia per ricostruire l’Europa, ripartire dalla lotta, dallo scontro, dall’uso razionale (dov’è strettamente necessario) della violenza politica di soreliana memoria, ripartire dalle periferie, dalle campagne e dalle piazze, per allontanare dalla patria europea gli artigli delle multinazionali, delle banche d’affari, della cultura americana, del nichilismo sempre più tetro.
Auguri ai cugini francesi dunque, che già in altre occasioni hanno difeso la stirpe europea fino alla fine, che possano anche questa volta sacrificare anima e corpo per una causa comune, e che l’esempio francese sia la scintilla per una rivolta generazionale di tutto il popolo europeo.
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