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Un tempo, per capire che aria tirava, bastava pedinare Clemente Mastella: se mollava un governo, era chiaro che la crisi era questione di giorni; se scaricava un alleato per sposarne un altro, era inutile aspettare le elezioni perché lo sconfitto e il vincitore erano già decisi. Ora che Clemente nostro s’è ritirato (provvisoriamente, s’intende) nel Sannio natìo, bisogna seguire il filo di Marianna. Nel senso di Madia. Grazie a un fiuto sconosciuto ai rabdomanti, ai cani da trifola e persino ai vecchi democristiani, la ragazza riesce sempre a stare dove tira il vento, e con largo anticipo. Ora, per dire, sostiene Nicola Zingaretti alle primarie del Pd. Che a questo punto sono inutili, tanto si sa già chi vince. I guai, per Zingaretti, cominceranno il giorno dopo: come farà a superare il renzismo con un partito pieno di ex renziani? Auguri. Classe 1980, romana, nipote di un avvocato missino e figlia di un giornalista-attore-consigliere comunale veltroniano, liceo francese Chateaubriand, poi Scienze politiche alla Sapienza, poi dottorato di ricerca all’Imt di Lucca con una tesi un po’ copiata, già fidanzata di Giulio Napolitano, collaboratrice di Minoli a Rai2, moglie del produttore Mario Gianani, la Madia si accosta alla politica prim’ancora di laurearsi....
Un giorno segue una conferenza di Enrico Letta, ne rimane (non si sa come) rapita, glielo va a dire e quello la fa entrare in Arel, la fondazione che ha ereditato da Andreatta. Nel 2008, a 27 anni, grazie all’amico Veltroni è addirittura capolista del Pd nel Lazio. Ed entra a Montecitorio con queste storiche parole: “Porto in dote la mia straordinaria inesperienza”. Siede nello scranno accanto a D’Alema, che se la porta nella redazione di Italianieuropei. Radio Luiss le domanda chi sia il suo politico preferito, e lei: “L’intelligenza politica di D’Alema è già Storia”. Poi Max tramonta e la giovine deputata si schiera con Monti. Alle primarie del Pd, fa campagna per Bersani contro Renzi: “Voto Pier Luigi, è il miglior premier che l’Italia possa avere. Solo lui ha statura da presidente del Consiglio”. Così viene rieletta deputata, solo che poi il premier lo fa Letta. Ma lei non deve nemmeno spostarsi: era già lettiana da piccola. Segue una breve fuitina con Civati. Quando Renzi diventa segretario, lei è già renziana. E lui, non avendo la statura, la promuove subito responsabile del Pd per il lavoro. Per impratichirsi su quella strana materia, la Marianna incontra il ministro Zanonato e attacca a illustrargli le sue strategie contro la disoccupazione giovanile (peraltro mai conosciuta in vita sua).
Con un filo d’imbarazzo, il titolare dello Sviluppo economico la blocca e le fa presente che ha sbagliato ministro: quello del Lavoro si chiama Giovannini. Lei: “Ma scusa, non sei tu che ti occupi di lavoro?”. Lui la prende sottobraccio con fare paterno e le indica il ministero del Lavoro dall’altra parte della strada: “Marianna, hai sbagliato indirizzo”. Siccome il talento va premiato, Renzi diventa premier e la fa ministra della PA e della Semplificazione. Lei dichiara: “Sono molto contenta, anche se non ho avuto ancora il tempo di rendermene conto. L’ho saputo mentre guardavo in tv Peppa Pig”. Da allora del renzismo difende tutto, anche l’indifendibile (“C’è un’attenzione morbosa verso noi ministre – me e Maria Elena Boschi – che non c’è verso gli uomini: è sessismo latente”). E non si perde una Leopolda, dove proibisce severamente ai giornalisti di intervistarla (“Non rispondo alle vostre domande perché questo, secondo me, non è giornalismo di rinnovamento”). In vista del referendum, vaticina: “La nostra riforma costituzionale finirà nei libri di storia”. Invece finisce nel cestino. Però è anche molto sincera: in tv confida che al ministero “i miei funzionari ridono sempre” (e nessuno stenta a crederlo). Intanto è arrivato Gentiloni e Marianna – ci credereste? – è già gentiloniana: infatti rimane ministra. Paolo però dura poco e non corre per la segreteria.
Lei, per non saper né leggere né scrivere, in aprile appoggia il reggente Martina sull’apertura a Di Maio per il governo col M5S: “Piena condivisione delle parole di Maurizio”. Che ora è candidato alle primarie, ma senza speranze, anche perché la Madia è già migrata armi e bagagli con Zingaretti. E ben prima che arrivasse l’onda di piena degli ex renziani come Gentiloni, Franceschini, De Vincenti, Bressa, Bianco e Fassino (che è un po’ la mascotte portafortuna) e soprattutto delle ex renziane Quartapelle, Pinotti, Di Giorgi, Bonaccorsi, Gualmini, Sereni e Puglisi. I trasvolatori last minute, infatti, son tutti lì ad arrampicarsi sugli specchi per giustificarsi: “Ho creduto nel giovane Matteo, non so se è cambiato lui, certo è cambiato lo scenario attorno a lui e non se n’è accorto” (Di Giorgi), “La categoria dei renziani mi sembra un po’ superata, purtroppo si sono inseguite riforme liberali o istituzionali, non sociali e la gente ci ha punito” (Quartapelle, detta ora Quintapelle), “Matteo non ha saputo fare squadra” (Puglisi), “In Toscana i renziani non esistono più, la storia ha voltato pagina. Personalmente non rinnego nulla delle cose positive che abbiamo fatto, ma ora è evidente che c’è una sola figura in grado di intraprendere un cammino riformista, con un partito più inclusivo e una maggior discontinuità col passato: Zingaretti” (Federico Gelli, ex compagno di scout di Matteo, ex deputato toscano).
La Marianna no, non si giustifica, anzi non parla proprio: che c’è di strano se una che in 10 anni è riuscita a essere veltroniana, dalemiana, montiana, bersaniana, lettiana, civatiana, renziana, gentiloniana, ora è zingarettiana? Diceva Totò: “Quando vedo un buco, io entro”. Il bello è che la fanno ancora entrare.
“IL FILO DI MARIANNA”, di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2018
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