venerdì 4 maggio 2018

Il "reggente" non ha retto - Marco Travaglio



(pressreader.com) – Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano 4-5-2018) –
 Una sera, a Parla con me, Paolo Villaggio se ne uscì a freddo, mentre Serena Dandini lo intervistava su tutt’altro, con una delle sue sortite insieme surreali, feroci e geniali: “Mi scusi, signora, ma Brunetta è un nome d’arte?”. Fosse ancora vivo, ora domanderebbe: “Ma Martina è un nome d’arte?”. E non osiamo immaginare cosa scriverebbe, dell’autoreggente Pd, Fortebraccio. Probabilmente riabiliterebbe Nicolazzi, Tanassi, Cariglia e gli altri ectoplasmi socialdemocratici alla cui inesistenza dedicò memorabili pezzi satirici che si concludevano invariabilmente così: “Arrivò un’auto blu, non ne scese nessuno, era Nicolazzi/ Tanassi/ Cariglia”.
Noi non conosciamo Maurizio Martina, e la cosa non ci è mai particolarmente mancata. Ma sabato ci eravamo sorpresi a empatizzare con lui quando aveva osato annunciare che avrebbe proposto alla Direzione del Pd, fissata per ieri, di: accogliere l’appello del capo dello Stato e del presidente-esploratore della Camera; sedersi al tavolo con i 5Stelle; vederne le carte; portarvi le proprie; tentare un’intesa su alcuni punti programmatici; e poi, nel caso in cui quell’accordo nascesse, metterlo nero su bianco e sottoporlo a un referendum fra gl’iscritti o addirittura alla platea più allargata delle primarie. Come ha appena fatto l’Spd tedesca....

La cosa aveva molto irritato Renzi, che doveva essere sovrappensiero (altrimenti non avrebbe dato alcun peso all’annuncio, considerandone la provenienza): infatti domenica si era precipitato da Fazio a stoppare l’insano gesto di provare a dare un governo all’Italia. Allora Martina, con insospettato ardimento, l’aveva sfidato: “In queste condizioni non si può guidare un partito”. Quindi, pareva di capire, o lui o Renzi. Ieri finalmente la tanto attesa Direzione del Pd si è tenuta, in un clima da resa dei conti finale, tra accuse di liste di proscrizione, tamburi di guerra sui social, evocazioni di nuove scissioni. I giornali dipingevano un Martina pugnace e bellicoso come Achille che torna in battaglia per vendicare Patroclo, sostenuto dai guerrieri non renziani, da Orlando a Franceschini a Cuperlo, pronti a vender cara la pelle col coltello fra i denti. E Renzi ci aveva addirittura creduto, organizzando la conta dei suoi parlamentari per impedire la conta in Direzione, dove temeva di aver perso la maggioranza.
Purtroppo, ieri, Martina non è pervenuto. Non che non ci fosse, anzi: il guaio è proprio che c’era e, come sempre accade quando c’è, nessuno se n’è accorto. Quando va al cinema, per dire, e prende posto su una poltrona, c’è sempre qualcuno che si siede sopra di lui. Lo schiaccia e rimane lì per tutto il film, malgrado le sue reiterate proteste. Inizialmente lui pensava che ciò dipendesse dalle luci spente, infatti cominciò ad andare al cinema con largo anticipo per sedersi a luci accese: “Così mi vedranno e siederanno nei posti liberi”. Ma niente: la gente continuò ad accomodarsi nel posto già occupato da lui, a non udire le sue lamentele (direttamente proporzionali al peso dell’occupante abusivo) e a restargli sopra. Gli uomini della scorta tentavano di far notare che il posto era già occupato dal ministro Martina, ma si sentivano rispondere: “Appunto, non c’è nessuno”, “Se questo signor Martina vuole occupare un posto, ci mettesse almeno il cappello, la giacca, il maglione, altrimenti per me è libero”, cose così.
Ieri tutti, a cominciare da Mattarella e Fico, attendevano che l’autoreggente desse seguito al proposito di avviare il dialogo col M5S per vedere le carte. Anche a costo di arrivare alla conta temuta da Renzi. Invece niente. È riuscito a tenere un’intera relazione senza dire assolutamente nulla, tant’è che alla fine erano tutti d’accordo e nessuno riusciva più a capire da cosa fosse nato il disaccordo: “Il punto della sconfitta non è che gli italiani non hanno capito. È che non abbiamo capito alcuni bisogni degli italiani. Bisogna rifondare la cultura e il pensiero di fondo”. Ecco di fondo: perbacco, ad averci pensato prima. Ora –lo direste mai? – occorre “un confronto franco”. Di più: “Un’analisi seria per riflettere e non rimuovere la sconfitta prima di essere fuori tempo massimo”. Chi pensava che auspicasse un confronto ipocrita e un’analisi ridicola per non riflettere, rimuovere la sconfitta e arrivare fuori tempo massimo è rimasto deluso. Così come chi immaginava che, per restare reggente, Martina chiedesse un sostegno finto e inconsapevole. Invece lui ha auspicato “un sostegno non di facciata, ma consapevole” per un altro paio di mesi, non di più. E tutti hanno applaudito, felici e contenti.
E la rispostina su quella faccenduola del governo, attesa da Mattarella, Fico e qualche decina di milioni di italiani? È arrivata, solo che non era quella di Martina, ma quella di Renzi: “Il capitolo 5Stelle è chiuso” prim’ancora di aprirsi. E perché, visto che la Direzione doveva decidere proprio su quello? “Per quello che è successo”. E cos’è successo? Che Renzi è andato in tv e gli ha fatto “bu”. E il reggente non ha retto. Ah, dimenticavamo: “È impossibile anche un governo col centrodestra”. Quindi il Pd non governa con nessuno, non fa intese con nessuno, anzi non parla con nessuno per evitare di trovare intese con qualcuno, però detta condizioni: niente elezioni, ma “spirito costruttivo nelle nuove consultazioni al Quirinale”. Il che, tradotto in italiano, vuol dire l’ennesimo governissimo alla Monti con tutti dentro (sempreché gli altri ci caschino). Perché con la Lega non si governa, con FI non si governa, col M5S non si governa, però con la Lega, FI e M5S insieme si governa eccome. Per fare le famose “riforme” (ciao, core). Approvazione unanime dalla Direzione, che finalmente ha trovato la direzione: quella di Renzusconi. Matteo, torna: sei tutti loro.---

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