Si chiama “Dryas Recente” il periodo di repentino congelamento determinatosi circa 11 mila anni orsono, a cui si deve quasi certamente la improvvisa estinzione del mammut lanoso in Siberia ed altra megafauna nel Nord-America, la fine altrettanto improvvisa di alcune culture preistoriche (cultura Clovis), e la comparsa di altre comunità umane cui si deve la “scoperta” dell’agricoltura. Prove geologiche mostrano anche un improvviso scioglimento dei ghiacci e immani alluvioni in Nord-America, più la presenza di nano-particole risalenti a quell’evento (nano-diamanti, platino, glomeruli di vetro fuso) che hanno fatto pensare che la causa del Dryas sia stata l’impatto di una cometa, con una conseguente rovinosa pioggia di meteoriti.
Secondo gli astronomi, il colpevole più probabile è il progenitore della cometa Encke, oggi molto più piccola e innocua; ma allora era un corpo celeste di almeno 100 chilometri di diametro, e dovette essere visibile nel cielo agli uomini di allora come una stella “nuova” e molto luminosa per vari anni, che minacciosamente diventava più grande, quasi un annuncio della catastrofe cosmica che li avrebbe travolti. E’ comunemente accettato che le meteoriti Tauridi, che piovono sul nostro pianeta in ottobre-novembre, siano i resti di quello sfasciume della cometa Encke, l’anello di frammenti che intersecano l’orbita terrestre 4 volte ogni 6 mila anni. Oggi le Tauridi sono innocenti meteoriti; 12 mila anni fa dovette essere una gragnuola di bolidi titanici che devastarono l’emisfero Nord...
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Ora, il prodigioso e misterioso sito archeologico di Gobekli Tepe, nella Turchia meridionale, risale a 11 mila anni orsono, al 9000 a.C., di seimila anni più antico di Stonehenge, relativamente di poco posteriore alla catastrofe gelida del Dryas. E’ opera di una vera e propria civiltà avanzata, in un’epoca ritenuta impossibile – prima infatti dell’agricoltura, quando le comunità umane di allora, le piccole tribù di cacciatori-raccoglitori, non disponevano della quantità di manodopera per tagliare e sollevare i celebri pilastri a T , e soprattutto delle riserve alimentari per mantenere schiere di scultori a intagliarne le misteriose figure: figure di animali “strani” perché molti non fanno parte della cacciagione da alimentazione: scorpioni, serpenti, avvoltoi…
E se quegli animali fossero in realtà simboli astronomici, delle costellazioni dello Zodiaco? E’ quasi certo siano gli “animali” dipinti nelle caverne di Lascaux sono segni zodiacali.
Gli antichissimi uomini erano metafisici e precisi osservatori del cielo notturno, cui attribuivano significati sacrali e predittivi; da vari indizi si ritiene che alcuni popoli preistorici avessero coscienza della precessione degli equinozi, un fenomeno di torsione dell’asse terreste che si completa in 25.800 anni.
E se le cinte di Gobekli Tepe descrivessero, in linguaggio astronomico, la catastrofe del 10.950 a. C., e rimasta certo paurosamente infissa nella memoria collettiva dei loro costruttori? L’affascinante ipotesi è stata avanzata da due studiosi della facoltà di ingegneria dell’Università di Edimbugo, Martins Sweatman e Dimitrios Tsikritsis.
I due studiosi hanno unito geologia, archeologia e paleo-astronomia – esiste sul web un programma gratuito che mostra come si presentava il cielo in passato, anche ai costruttori di Gobekli Tepe 11 mila anni prima di Cristo (http://www.stellarium.org/it/) ed hanno cercato di identificare le costellazioni descritte dagli “animali” sul pilastro 43. Supposto che lo scorpione rappresentasse proprio l’attuale costellazione dello Scorpione, hanno ricostruito la posizione degli altri “animali” (costellazioni) vicini in nei giorni della tragedia più grande di quella umanità, dove certamente migliaia di esseri umani furono spazzati via.
Non vi traduciamo le 18 densissime pagine della rivista “Mediterranean Archaeology and Archaeometry” in cui i due studiosi hanno pubblicato la loro ipotesi:
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Basti segnalare l’ingegnosità della ricerca e della ricostruzione del cielo di “allora”. Le posizioni reciproche delle costellazioni che sarebbero raffigurate in quella stele si sono verificate in quattro date: nel 2000 della nostra era, nell’equinozio d’autunno del 4850 a.C., nel solstizio d’estate del 10.950 a.C., oppure nell’equinozio di primavera del 18mila a.C. Ovviamente la data “suggestiva” è la terza, la più vicina alla catastrofe che provocò il raffreddamento fulmineo della Terra e la morte dei mammut siberiani, trovati con ancora nello stomaco il cibo che stavano brucando, fra cui erbe e piante estivo-primaverili.
Naturalmente ci sono difficoltà ad accettare questa ardita ipotesi; fra cui il fatto che i templi di Gobekli Tepe sono stati elevati un migliaio di anni dopo l’Evento catastrofico. Possibile che una civiltà senza scrittura ne conservasse la memoria, tramandandola di generazione in generazione? I due studiosi non nascondono le difficoltà. Tuttavia la loro tesi è affascinante e lancia come un raggio di luce significativa su quell’antico gruppo umano, così tecnicamente avanzato e così intelligente. Come vive va, senza agricoltura? Una delle ipotesi è che l’uomo antichissimo dell’emisfero Nord vivesse non semplicemente da raccoglitore e cacciatore, ma fra immense distese di grani selvatici spontanei, che fornivano loro i necessari energetici carboidrati, e la relativa abbondanza che dava loro il tempo di vivere non già ossessionati dal procurarsi la cena, ma osservando da metafisici e sapienti il cielo stellato – da cui oltrettutto sapevano poteva precipitare un altro malvagio corpo cosmico devastatore. Solo dal Dryas, si ritiene, quegli uomini (vicini alla Mezzaluna Fertile) ebbero la necessità di coltivate i cereali che avevano smesso di crescere spontanei nel clima più freddo ed arido, di selezionarli, di seminarli, di irrigarli. Per procurarsi il pane col sudore della fronte e un’organizzazione sociale specifica, quelle delle monarchie idrauliche.
Misteri..
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