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Nelle urne Alitalia riscoppia il malessere del Paese. A cinque mesi dal referendum costituzionale un secondo avvertimento alla politica.
I sindacati erano contenti. I manager e il Governo erano speranzosi. Il 14 Aprile era stato firmato "fra le parti" , come si dice in gergo, un preaccordo per un ( ennesimo) piano di "salvataggio" della ex compagnia di bandiera, Alitalia. Accordo considerato se non soddisfacente, almeno fattibile e realistico. Mancava la ratifica dei lavoratori, raccolta poi attraverso un referendum. E il referendum, come regolarmente avviene da mesi a questa parte, non importa dove non importa su cosa, si e' abbattuto con un tondo No, che ha decapitato ogni accordo.
La situazione nel caso in discussione, il futuro dell'Alitalia, e' gravissima: in particolare per I lavoratori. I piani finanziari e le intenzioni del Governo sono state messe bene in chiaro nei giorni scorsi: se vince il no salta tutto e la prospettiva e' solo il fallimento. Il presidente del Consiglio Gentiloni, a urne aperte, con un irritualissimo intervento ha anche ripetuto che nel caso di un No all'accordo non ci sarebbe stato salvataggio pubblico....
Eppure I lavoratori hanno detto No. Scegliendo dunque un suicidio al posto di sacrifici.
Forse sono illusi questi lavoratori. Forse credono che saranno salvati comunque.
Ma in ogni caso quello che lasciano sul tavolo e' una indicazione forte proprio perche' cosi' radicale. Un vero voto di sfiducia nei confronti dello Stato, dei manager, e dei sindacati. Cioe' di tutte le istituzioni che a lungo hanno costituito la controparte e la difesa dei lavoratori, e di tutti I cittadini.
Ci vuole davvero molto coraggio e molta disperazione per scegliere il rischio fallimento rispetto al lavoro sia pur denso di sacrifici. E il fatto che questo passaggio sia stato fatto e' una novita' che equivale all'attraversamento di un Rubicone da parte dell'umore pubblico.
L'Alitalia e' forse di tutte le aziende pubbliche quella piu' privilegiata, per visibilita' e status , si e' sempre detto. Le sue vicende sono di conseguenze sempre state anche le piu' significative. E di cosa sono state significative? La compagnia di bandiera e' stata negli anni d'oro la vacca grassa da mungere di ogni privilegio pubblico – vetrina perfetta di sprechi e grandeur, incapacita' e sogni di protagonismo internazionale. Una societa' convinta di essere grande grande e che poi si e' scoperta piccola piccola nel gioco sempre piu' grande della globalizzazione, e della vera competizione. Sarebbe bastato gia' questo suo declino nel panorama globale a farci rinsavire. Ma la politica ha preso invece al balzo la palla della crisi e ne ha fatto ostaggio delle sue personali battaglie – come ricorderemo dal duello Prodi/Berlusconi intorno alla italianita'. Battaglia vinta da Silvio Berlusconi con una disastrosa cordatina alle vongole, di imprenditori privati che si sono squagliati al piu' presto. Per poi procedere da li' ad accordi ed accordini fino alla trasformazione dell'Alitalia in una dependance di una compagnia Araba che, senza tanta ironia, ha impresso il suo marchio persino sui vestiti delle nostre hostess, uniformate al modo delle colleghe Etihad.
E nemmeno questo e' bastato. L'Alitalia Etihad nel suo mancato sviluppo continua a perdere denaro, ma anche rotte rilevanti, slot negli aeroporti internazionali, e si avvia ad essere una costosa ma piccola compagnia regionale. Tutto il kamasutra di mosse fatte, di alleanze, posizioni, cambi di manager, non l'hanno salvata. E siamo di nuovo a quella che viene descritta come l'ultima spiaggia.
Chi e' il responsabile di tutto cio'? La risposta non l'abbiamo mai sentita. In compenso siamo alle solite: ci dicono che la societa' si salva solo se I lavoratori accettano dei sacrifici. Accidenti che novita'. E' la solita risposta cui si trova davanti ogni singolo lavoratore italiano oggi. C'e' davvero da meravigliarsi che alla fine nelle urne vinca la piu' forte, la piu' radicale, la piu' rabbiosa risposta di un emerito Vaff? Sì, cito il Grillo dei Vaff a proposito, e non mi sono iscritta di notte ai Pentastellati.
Il fatto e' che non e' difficile immaginare nel cuore di ogni singolo lavoratore italiano, di ogni singolo piccolo imprenditore, di ogni singolo cittadino di questo paese quel senso di misura colma per ogni giorno che nasce tra lo scontento, e tra lo scontento muore.
Dal 4 dicembre della sconfitta del Referendum costituzionale sono passate circa 20 settimane, nemmeno cinque mesi, e sull'Italia del sistema che si culla nella sicurezza recuperata di una smemorata rimozione, si abbatte un nuovo No, risultato di un nuovo referendum. Meno generale di quello sulle riforme , ma piu' preciso e piu' doloroso da scegliere, per chi ha votato. Un nuovo No che prova che sotto la cenere della vita pubblica italiana covano ancora le braci dello stesso scontento, della stessa furia che si riaccende in fuoco ogni volta che al Paese gli si rida' parola.
E' lo stesso No che anima i populismi di ogni paese europeo oggi. E che definisce l'agenda pubblica di ognuno di questi paesi anche quando le urne sembrano fornire una strada d'uscita, come in Francia.
Le cinciallegre della politica italiana che hanno trovato un equilibrio formulaico per tenere in piedi un Governo qualunque, e i leader politici sconfitti dal primo No e che oggi si ripresentano come se nulla fosse successo, dovrebbero ascoltare il secondo avvertimento che viene loro dalle urne dei nostri aeroporti. Magari riescono ancora a comprare un paracadute prima che il loro aereo elettorale faccia definitivamente un brusco atterraggio.
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