martedì 10 marzo 2015

Corte Costituzionale: bocciati i decreti legge per l’abolizione delle Province


PS: <<il riformismo a tutti i costi si chiama avventurismo, gli ultimi due governi lo hanno praticato ponendosi qualche dubbio di possibile illegittimità, quello attuale "Renzi" lo pratica volutamente giocando sulla debolezza di un Parlamento di nominati già sfiduciato dalla Corte Costituzionale, ora il Pres. della Repubblica sarà finalmente parte terza ?>>...io ne dubito molto...!
umberto marabese
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Riforma Delrio, flop annunciato


La Corte Costituzionale ha appena bocciato i decreti legge del Governo Monti che hanno tentato l’abolizione delle Province. Un presagio per le sorti della legge che ha gettato nel caos gli enti locali? Fassino chiede un decreto che dia certezze

È partito lo scaricabarile. Le (ex) Province e le nuove Città Metropolitane affondano nel caos e persino il “padre” della riforma, l’allora ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio, ha trovato il modo per scrollarsi di dosso le responsabilità puntando il dito sulle Regioni: sarebbero loro, per il sottosegretario, le principali responsabili dell’attuale baraonda, In verità, il difetto sta nel manico e la situazione attuale era ampiamente prevedibile (e da taluni prevista) fin dalle prime mosse. Inutile recriminare: “cosa fatto capo ha” pare dire Piero Fassino che però sollecita il Governo a metterci rapidamente una pezza, emanando un de-creto che “includa le misure normative, amministrative e finanziarie di immediata ed urgente applicazione che consentano di ottemperare agli obblighi di legge ed istituzionali”.
 
Al netto della propaganda il risultato è sconfortante. Delle vecchie Province sono rimaste le funzioni, ma sono state tagliate drasticamente le risorse trasferite. Sono rimasti i politici, ma non vengono più eletti dai cittadini. A seguito dei tagli all’organico imposte dalla legge di Stabilità 2015, non è ancora ben definito il futuro di migliaia di dipendenti..... Problemi che hanno un effetto domino sul’'intero comparto delle autonomie locali, dalle Regioni ai Comuni. Da qui l’appello del sindaco di Torino e numero uno dell’Anci che ha preso carta e penna e si è rivolto direttamente al presidente del ConsiglioMatteo Renzi: “È con vero allar-me che richiamiamo l’attenzione Tua e del Governo sulla condizione di assoluta criticità in cui versano le nuove Città metropolitane, che sono gravate di un taglio particolarmente oneroso – 1 miliardo nel 2015 e altri 2 nel biennio 2016-17 – dovendo peraltro onorare tutti gli impegni dei precedenti enti”, ha scritto in una lettera del 4 marzo. La legge obbliga le Città metropolitane ad assicurare continuità nell’erogazione di servizi mentre “i percorsi di mobilità verso altre amministrazioni del 30% del personale – da cui dovrebbero derivare risparmi di spesa – non sono per ora attivati per incompletezza di norme e procedure e il personale, con tutti i relativi oneri diretti e indiretti, continua a essere interamente a carico delle Città metropolitane e degli enti provinciali di secondo grado”. 
 
Dopo qualche borbottio nei mesi scorsi Fassino viene ora fragorosamente allo scoperto. Mette sotto accusa, senza mezzi termini (sebbene con linguaggio politichese), la legge Delrio (l. 07.04.2014, n. 56, quella che fa nascere le Città metropolitane, ridisegna la geografia della Province e dà una nuova disciplina alle unioni e fusioni dei Comuni) e ne denuncia il fiasco, quanto meno al momento attuale. Come spiega Carlo Manacorda nel suo odierno column, l’appello del presidente dell’Anci è più articolato. In base alla legge Delrio, Città metropolitane e Province “ridisegnate” dovevano entrare in funzione dal 1° gennaio 2015. “Peraltro – osserva Fassino – la complessa materia delle funzioni delegate dalle Regioni stenta a trovare regolazione”. Cioè, dopo due mesi da quando l’intera macchina doveva funzionare, non si sa più di che cosa si devono occupare Città metropolitane e Province. Su questa situazione di elevata incertezza di funzionamento cadono i tagli di fondi alle neonate Città metropolitane, operati dalla legge di stabilità 2015 (l. 190/2014).
 
Questo miscuglio (perverso) determina, in questo momento, lo stallo quasi totale nell’applicazione della legge Delrio. Come se ne uscirà è, al momento, un enigma. La Corte Costituzionale ha appena bocciato i decreti legge del Governo Monti che hanno tentato l’abolizione delle Province. Dunque, il problema re-sta in discussione dalla creazione delle Regioni – cioè da quarant’anni –, appartiene ai cosiddetti “costi della politica”, quelli da ridurre a causa dello stato comatoso della finanza pubblica. Se si cancellano le Province, si riducono i costi pubblici (assoluta mistificazione della realtà; i costi ci sarebbero stati e ci sono come prima, anche se con diversa denominazione). Nella sua frenesia riformatrice, il governo Renzi al suo esordio si appropria del disegno di legge presentato dal predecessore Enrico Letta. Il 3 aprile 2014 il disegno di legge Delrio diventa legge.
 
Cos’è che non funziona nella legge Delrio? Intanto contiene una tara congenita. Può avviare un processo, ma è comunque subordinata alle nuove riforme costituzionali (annunciate da Renzi con enfasi, con tante altre). Queste, ancora oggi sono di là da venire, né si sa quando vedranno la luce. Quindi, affinché la legge Delrio non possa subire condizionamenti, deve attendere ancora un passaggio e non di poco conto. Quanto ai contenuti, enuncia principi ma è assolutamente priva di regole applicative concrete che dovrebbero accompagnare il processo di riforme istituzionali che essa reca. Prova ne sia che, immediatamente, si scatenano le proteste del personale in forza alle Province riformate che non intravede un futuro chiaro nelle proprie posizioni lavorative. Un intervento tampone, inserito nella legge “milleproroghe” (art. 1, co. 6, DL 192/2014, L. 11/2015), congela fino al 31 dicembre 2015 varie situazioni del personale in forza alle ex Province. Una Circolare del 29 gennaio contiene direttive per puntellare queste posizioni traballanti. Ma alcune norme raffazzonate e una circolare non bastano per risolvere problemi di enorme complessità, come quelli che ruotano intorno alla riforma Delrio. E non ci sono soltanto i problemi del personale, ma quelli dei debiti e dei patrimoni dei vecchi enti, delle loro partecipate e di tutte le incrostazioni che si sono formate in soggetti (le Province) la cui vita dura da oltre centocinquant’anni.
 
Unico principio di assoluta applicazione immediata è quello che la legge Delrio indica al comma 150: “Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Frase ormai abituale per il legislatore nostrano, paragonabile soltanto al detto “fare le nozze coi fichi secchi”. Pensare, cioè, di fare cose importanti senza avere i mezzi necessari. E allora, perché sorprendersi oggi che non ci siano risorse per avviare le Città metropolitane e tutto il resto? E che, addirittura, si taglino fondi esistenti? Un piano di riforme degno di questo nome disegna i percorsi di applicazione in maniera analitica. E indica anche le risorse disponibili per realizzare i percorsi. Di tutto ciò nella legge Delrio non c’è traccia. Mancando anche dei presupposti minimi, si poteva dunque pensare che potesse comunque essere applicata? Il suo fallimento poteva essere intuito fin dalla prima comparsa. Unico fatto concreto delle Città metropolitane: aver creato i loro magnifici siti web, che peraltro sono per ora desolatamente vuoti.
 

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