domenica 29 marzo 2015

Der Spiegel: “Il quarto Reich della Merkel”


27 marzo 2015.

Il settimanale tedesco affronta il tema del passato nazista della Germania e dei sempre più aperti riferimenti al ritorno di un “quarto Reich”. 

Un lungo articolo del settimanale tedesco Der Spiegel affronta il tema del passato nazista della Germania e dei sempre più aperti riferimenti al ritorno di un “quarto Reich”. Dopo una rassegna del dibattito nei vari paesi europei, lo Spiegel sembra riconoscere che, attraverso l’euro, la Germania sta effettivamente rivivendo la sua antica tendenza all’egemonia, questa volta economica, per la quale però le mancherebbe, strutturalmente, la necessaria grandezza e magnanimità. Pubblichiamo qui alcuni estratti dell’articolo.
Dopo la seconda guerra mondiale, un ritorno del dominio tedesco sull’Europa sembrava impossibile. Eppure la crisi dell’euro ha trasformato la Germania in un “egemone riluttante”, e i paragoni con il nazismo sono diventati dilaganti. È giusto farli?
Il 30 maggio 1941 è il giorno in cui Manolis Glezos si prese gioco di Adolf Hitler. Lui e un suo amico penetrarono nell’acropoli di Atene fino all’asta della bandiera su cui sventolava una gigantesca svastica. I tedeschi avevano alzato quello stendardo quattro settimane prima, nel momento in cui avevano occupato il paese, ma Glezos tirò giù l’odiata bandiera e la fece a pezzi. Il gesto l’ha reso un eroe. A quel tempo Glezos era un combattente della resistenza. Oggi, il quasi 93enne è membro del Parlamento europeo per Syriza, il partito che governa in Grecia. Seduto nel suo ufficio di Bruxelles, al terzo piano dell’edificio intitolato a Willy Brandt, racconta la storia della sua battaglia contro i nazisti di un tempo e contro i tedeschi di oggi. I capelli bianchi di Glezos sono arruffati e spettinati, dandogli l’aspetto di un attempato Che Guevara. Le rughe sul suo viso conservano le tracce di un secolo d’Europa....
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All’inizio combatté contro i fascisti italiani, in seguito prese le armi contro la Wehrmacht tedesca, la forza militare nazista di allora. Poi ancora diede battaglia alla dittatura militare greca. Fu spedito più volte in prigione, e passò in totale quasi dodici anni dietro le sbarre, un periodo che trascorse scrivendo poesie. Quando fu rilasciato, si unì nuovamente alla lotta. “Quel tempo è ancora ben vivo in me”, dice.
Glezos ha visto cosa può accadere quando i tedeschi puntano al predominio dell’Europa, e dice che la stessa cosa si sta verificando oggi. Stavolta, però, non sono i soldati a stringere la morsa che sta soffocando la Grecia, dice, ma gli imprenditori e i politici. “Il capitale tedesco domina l’Europa e trae profitto dalla miseria della Grecia”, dice Glezos. “Ma non ci servono i vostri soldi”.
Ai suoi occhi, il presente della Germania è direttamente collegato al suo orribile passato, sebbene sottolinei che non si sta riferendo al popolo tedesco, ma alla classe dirigente di quel paese. La Germania, per lui, è di nuovo un aggressore: “Le sue relazioni con la Grecia sono paragonabili a quelle tra un tiranno e i suoi schiavi”.
Glezos ricorda un testo scritto da Joseph Goebbels, nel quale il ministro della propaganda tedesco rifletteva sul futuro dell’Europa sotto la dominazione tedesca. È  intitolato L’anno 2000. “Goebbels si è sbagliato di soli dieci anni”, dice Glezos, dato che è nel 2010, durante la crisi finanziaria, che è iniziata la dominazione tedesca.
Per molto tempo sono stati innanzitutto i tedeschi ad essere ossessionati dal passato nazista del loro paese, ma recentemente l’ossessione si è trasmessa anche altri paesi europei. La cancelliera Angela Merkel rappresentata con i baffetti alla Hitler, i carri armati tedeschi diretti a sud: c’è stata una marea di caricature del genere in Grecia, Spagna, Gran Bretagna, Polonia, Italia e Portogallo nelle ultime settimane e negli ultimi anni. I simboli nazisti sono diventati la prassi delle manifestazioni anti-austerità.
La gente ha iniziato a parlare di “quarto Reich”, in riferimento al terzo Reich di Adolf Hitler. Può suonare assurdo, dato che la Germania di oggi è una democrazia compiuta, senza alcuna traccia di nazionalsocialismo, e dato che nessuno assocerebbe davvero la Merkel al nazismo. Ma una riflessione più attenta sulla parola “Reich”, ovvero impero, potrebbe non essere del tutto fuori luogo. La parola fa riferimento al dominio, con un potere centrale che esercita un controllo su molti popoli diversi. Secondo questa definizione, è proprio sbagliato parlare di un Reich tedesco in campo economico?
Un’ombra sul presente
Il primo ministro greco Alexis Tsipras di certo non ha l’impressione di essere libero di poter guidare le politiche del proprio paese come vorrebbe. Questo lunedì sarà a Berlino per un incontro con la cancelliera tedesca, e il passato nazionalsocialista della Germaniasarà un argomento della conversazione. La Grecia sta chiedendo che la Germania paghi le riparazioni per i crimini di guerra nazisti perpetrati contro il paese ellenico durante la seconda guerra mondiale.
Queste richieste, ovviamente, hanno più a che fare con la disperazione di un governo che finora ha agito con un notevole livello di dilettantismo. Ma sarebbe un errore credere che il passato della Germania non conti più niente. Sempre di più, invece, sta gettando la sua ombra sul presente.
Una pesante accusa è stata rivolta alla Germania da alcuni commentatori in Grecia, in Spagna e in Francia, ma anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La crisi dell’euro, sostengono certi politici, giornalisti ed economisti, ha permesso alla Germania di dominare l’Europa del sud e di soffocarla imponendo le proprie regole, anche se la sua politica delle esportazioni le ha permesso di trarre profitto da quella stessa crisi della moneta unica, più di qualunque altro paese. L’immagine della Germania, in certi paesi, è diventata quella di un egoistico occupante economico, fiancheggiato dagli altri paesi più piccoli, ma dello stesso stampo, del Nord Europa.
Le accuse vengono innanzitutto dagli opinionisti dei paesi che hanno sofferto anni di disoccupazione di massa, e in cui la rabbia è tangibile, ed è questo il motivo per cui ritornano i demoni del passato della Germania. Non sorprende che coloro che ora stanno soffrendo un’umiliazione chiedano il pagamento dei debiti del passato. La colpa storica della Germania viene ora brandita da chi non ha potere come un’arma per fare rumore ed essere ascoltati.
È vero,  i sondaggi all’estero mostrano che i tedeschi sono largamente rispettati negli altri paesi. Ma nell’Europa di oggi la gente ci mette comunque poco a gridare al nazismo quando la politica tedesca diventa scomoda. Le accuse contro il governo tedesco seguono una strana dialettica: la Germania domina, dicono, ma non guida. È un paese egemone, ma di un’egemonia debole. Anche questo però ci riporta alla Storia. Nel suo libro del 1987, Da Bismarck a Hitler, lo storico Sebastian Haffner ha scritto che la Germania, alla fine del secolo, aveva una “dimensione scomoda”. Era, diceva l’autore, al tempo stesso troppo grande e troppo piccola. Lo stesso potrebbe essere vero oggi.
Come appare, dunque, il ruolo della Germania in Europa quando viene vista da fuori? E quando viene vista da dentro?
“Il sangue della nostra gente”
Probabilmente, il paese che più di ogni altro teme una nuova egemonia tedesca in Europa è la Francia, che è stata almeno parzialmente occupata dai suoi vicini per tre volte nel giro di ottant’anni. Negli anni recenti la “germanofobia” è cresciuta enormemente lungo lo spettro politico, dal Front National fino all’ala sinistra del Partito socialista attualmente al governo. Ciò è servito in parte per distrarre l’attenzione dai fallimenti dei leader politici nell’implementare le riforme, ma si tratta comunque di sentimenti che devono essere presi sul serio.
L’intellettuale francese di sinistra Emmanuel Todd ha avvertito che la Germania sta “perseguendo sempre di più delle politiche di dominio e di espansione occulta”. L’Europa, dice, viene governata dalla Germania che, nel passato, ha sempre fluttuato tra la ragionevolezza e la megalomania. Fin dalla riunificazione, dice Todd, la Germania ha portato un’area enorme dell’Europa dell’est sotto il proprio controllo, una regione che era precedentemente sotto l’influenza sovietica, e l’ha usata per i propri fini economici.
Ad Atene, in un edificio del ministero della Cultura, Nikos Xydakis, viceministro alla cultura, esprime le stesse opinioni. “È come se il mio paese stesse soffrendo le conseguenze di una guerra”, dice. Le politiche europee del risparmio hanno rovinato la Grecia, dice. “Abbiamo perso un quarto del nostro prodotto interno lordo, e un quarto della popolazione è disoccupato”. Inoltre, dice, la Grecia non ha chiesto i prestiti di emergenza, ma è stata costretta a prenderli, insieme al programma di taglio alla spesa. “Ora li stiamo pagando col sangue della nostra gente”.
La Germania, dice, è diventata troppo potente in Europa. È il paese leader, ammette, sia politicamente che economicamente. “Ma quelli che vogliono essere leader devono anche comportarsi come tali”. La Germania, dice, dovrebbe essere più generosa, e smetterla di vedere i paesi più deboli dell’Europa come paesi inferiori. Xydakis dice che deve pagare l’affitto per il proprio ufficio da quando l’edificio è stato venduto per ripagare i debiti di Atene. “Mi sento come se fossi a Lipsia o a Dresda sotto una pioggia di bombe”. La sola differenza, dice, è che le bombe oggi vengono mascherate da misure per il risparmio. Per lui – così come per quasi tutti i critici della politica tedesca – c’è una sola parola al centro delle proteste: austerità. Si riferisce alle politiche di parsimonia, un concetto che in Germania ha una connotazione positiva. Ma nei paesi europei colpiti più duramente dalla crisi del debito, questa parola significa solo una politica desolante di deprivazioni imposte dall’esterno. La Germania non sta solo esportando le proprie merci; sta anche esportando le proprie regole.
Negli ultimi anni, la Germania ha preso ad usare un tono che non si attiene più ai nobili costumi della diplomazia. Il sussurro, il suggerimento e l’accenno sono stati rimpiazzati dall’invettiva e dall’impeto furioso. Questo è il tono che sembra uscire dalla bocca del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Della Grecia ha detto che “un paese che per un decennio ha sofferto e ha vissuto molto al di sopra dei propri mezzi a causa del fallimento della sua élite – non a causa dell’Europa, non a causa di Bruxelles o di Berlino, ma esclusivamente a causa del fallimento della sua élite – deve ritornare alla realtà. E quando i responsabili del paese mentono alla loro gente, non sorprende che la gente reagisca come ha reagito”. Ha fatto questo commento lunedì scorso, in un evento ospitato dalla fondazione di centrodestra Konrad Adenauer Stiftung.
Trionfalismo
Il giorno prima, il ministro delle Finanze bavarese Markus Söder ha parlato in modo analogamente aggressivo in un talk-show tedesco con il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Non ha perso una sola opportunità per esaltare la forza economica e finanziaria della Baviera.
Volker Kauder, il capogruppo dei conservatori al Parlamento tedesco, è stato autore di un esempio particolarmente trionfalistico di questo nuovo tono, espresso già nel 2011. Ad un convegno del partito cristiano-democratico della Merkel, a Lipsia, Kauder ha detto, durante il suo discorso: “All’improvviso in Europa si parla tedesco”. Sebbene i membri della Cdu abbiano apprezzato questa affermazione, la stessa non è stata ben accolta altrove, e Kauder ora dice che non la ripeterebbe.
La Merkel, certo, non adotterebbe mai un tono simile, almeno non pubblicamente. Lei è più cauta, le sue affermazioni a volte sono così contorte che non è immediatamente chiaro cosa stia cercando di dire. Lo scorso martedì ha detto ai Parlamentari conservatori, a Berlino, che “la Germania deve essere un paese che non lascia niente di intentato nella ricerca del progresso”. Intendeva riferirsi al progresso da qualche altra parte, in Grecia.
La cancelliera ha un progetto espansionistico che alla fine dovrà portare, si potrebbe dire sarcasticamente, a un “Reich della Merkel”. Non è così concentrata sull’Europa come lo era il suo predecessore Helmut Kohl, che voleva la dissoluzione della Germania nell’Unione europea. La Merkel pensa in termini più nazionali, ma sa che la Germania da sola avrebbe poca influenza nel mondo. I paesi che vogliono affermarsi devono avere un’ampia popolazione e una forte economia. Quest’ultima la Germania ce l’ha, ma rispetto alla Cina o agli Usa le manca la prima, ed è per questo che essa ha bisogno della popolosa Europa. Ma deve essere un’Europa competitiva ed economicamente potente, ed è a questo che la Merkel sta lavorando.
All’inizio della crisi dell’euro, la cancelliera ha sviluppato l’idea del cosiddetto benchmarking. Il concetto era di classificare i paesi europei in diverse categorie facendo il confronto con il migliore della categoria, che di solito è la Germania. In questo modo si sarebbe creata un’Europa tedesca.
Nella battaglia contro la crisi del debito in Irlanda, Spagna, Portogallo, Cipro e Grecia, l’Europa ha preso in considerazione due approcci diversi. I paesi del sud volevano stimolare la crescita attraverso un incremento della spesa, nella speranza di un aumento delle entrate pubbliche. La Germania e i paesi del Nord Europa, invece, preferivano i tagli alla spesa e le riforme strutturali, un approccio che imponeva pesanti costi ai cittadini dei paesi colpiti. La Germania, economicamente potente, ha seguito la sua strada. Per portare i paesi in difficoltà sulla retta via – vale a dire sulla via tedesca – la Merkel ha chiesto l’intervento del Fondo monetario internazionale, in modo da liberare la Germania dal ruolo del sorvegliante severo. Comunque, non è sfuggito il fatto che il responsabile fosse Berlino.
Sin dall’inizio della crisi, gli altri leader europei hanno osato protestare apertamente. L’allora primo ministro polacco ha affermato di avere “profondi dubbi sul metodo” e ha chiesto alla Merkel, durante un vertice Ue: “Perché deve fomentare le divisioni?”. Ma dopo tre trimestri dell’anno successivo, la Merkel ha seguito la sua strada e ha ottenuto la ratifica del concetto, alquanto tedesco, del “fiscal compact”. In aggiunta, i leader dell’Ue hanno accettato di introdurre vincoli sui limiti del debito nelle loro costituzioni nazionali, in modo da imporre sanzioni più severe per quelli che superano i limiti massimi di deficit, e per far passare riforme strutturali sul modello di quelle che furono fatte passare in Germania tra il 2003 e il 2005. Il sociologo tedesco Ulrich Beck, ora scomparso, ha definito la pressione esercitata sull’Europa da parte di Berlino come “Merkiavellismo”.
Ma le caricature che si fanno di lei con i baffetti di Hitler? E i riferimenti alla Germania di oggi come “quarto Reich”? I nazisti avevano definito la loro Germania come il “terzo Reich”, nel tentativo di porsi in linea di continuità con le due precedenti epoche di dominazione tedesca. La prima era il Sacro Romano Impero, nato nel medioevo. Lungi dall’essere uno stato nazionale, era un’area dominata principalmente da imperatori tedeschi, che controllava un’ampia porzione dell’Europa, fino alla Sicilia. Il Sacro Romano Impero finì nel 1806, quando Napoleone conquistò molte aree che un tempo appartenevano all’Impero. Il secondo reich, secondo questa versione, era il cosiddetto Kaiserreich, che fu fondato da Bismarck nel 1871, dopo le vittorie contro Danimarca, Austria e Francia. I piccoli stati tedeschi furono presto uniti assieme sotto la guida prussiana, ed è per questo che Bismarck viene oggi considerato colui che ha gettato le basi della Germania contemporanea. Il primo aprile verrà celebrato il suo 200esimo anniversario.
Poco dopo la fondazione del Kaiserreich, però, iniziò a diffondersi un pericoloso sentimento. Era la hubris tedesca, il sentimento di essere superiori agli altri, di saperne di più e di essere i migliori. Ma era mescolato con una certa pavidità e con la sensazione di essere minacciati.
La dominazione degli altri
Anche il regno di Bismarck, sotto l’imperatore Wilhelm nel 1888, aveva una dimensione problematica. Era troppo ampio nel senso che era lo stato più potente in Europa, e aveva portato Francia, Gran Bretagna e Russia a sentirsi tutti minacciati. Ma era troppo piccolo per guidare l’Europa da solo. Anche i tedeschi dovettero formare alleanze, e la logica interna ed esterna di queste alleanze fu una delle principali ragioni dello scoppio della prima guerra mondiale. Il Kaiserreich perse, e andò in frantumi nel 1918.
Hitler credeva che la sua “Grande Germania” fosse abbastanza grande da dominare l’Europa, ma aveva profondamente torto. Pure con la più brutale tattica di guerra e con l’oppressione, la Germania nazista fu incapace di sconfiggere gli Alleati. Dopo la fine del terzo Reich, la dominazione tedesca sul continente sembrava essere stata resa definitivamente impossibile. La Germania Ovest e la Germania Est erano inizialmente degli stati provvisori che più o meno volentieri erano subordinati ai loro fratelli maggiori, cioè gli Usa e l’Unione Sovietica. Avevano ceduto alla dominazione degli altri.
La Germania Ovest, tuttavia, sviluppò presto un nuovo – e questa volta economico – strumento di potere: il marco tedesco. Dato che l’economia della Germania Ovest cresceva rapidamente, e il suo debito sovrano restava relativamente gestibile, la banca centrale tedesca, la Bundesbank, dominava le politiche economiche e finanziarie dell’Europa degli anni settanta e ottanta. I governi di Francia, Gran Bretagna e Italia facevano grande attenzione alle decisioni che venivano prese a Francoforte. Poco prima della riunificazione tedesca, un alto funzionario nell’ufficio del presidente francese pare che abbia detto: “Noi abbiamo la bomba atomica, ma la Germania ha il marco tedesco.”
Poi, negli anni novanta, ci fu Oskar Lafontaine, allora membro dei socialdemocratici. Come ministro delle Finanze tedesco nel 1998, Lafontaine fece il primo tentativo di ricostruire l’Europa secondo la visione tedesca. Dato che egli voleva armonizzare i mercati finanziari europei e stava combattendo per il raggiungimento della moneta unica, il giornale britannico Sun si chiese se non fosse “l’uomo più pericoloso d’Europa”.
Troppo piccola ed esitante?
Alla fine Lafontaine fallì. Inoltre, la Germania riunificata tenne, all’inizio, un basso profilo politico, e si mantenne modesta. Ma poi arrivò l’euro, che Mitterand sperava avrebbe tolto alla Germania la “bomba atomica”. L’euro avrebbe dovuto rompere la dominazione economica tedesca, ma in realtà ha avuto l’effetto opposto. La moneta unica ha legato assieme i destini dei membri dell’eurozona, e ha dato alla Germania il potere su tutti gli altri. Questa è la ragione per la quale la “questione tedesca” è tornata. Forse la nuova Germania è troppo grande e potente per gli altri paesi europei, o è troppo piccola ed esitante?
Hans Kundnani è capo delle ricerche al Consiglio europeo per le relazioni estere, un think-tank paneuropeo con sede a Londra. Il suo interesse è la politica estera tedesca. Ha scritto un famoso libro sulla Germania, intitolato The Paradox of German Power. Kundnani lega la vecchia questione tedesca al nuovo dibattito sul ruolo della Germania nell’eurozona. La forza dell’economia tedesca, combinata con la reciproca dipendenza degli altri paesi ha creato, dice lui, un’instabilità economica che è comparabile all’instabilità politica che aveva caratterizzato l’epoca di Bismarck. Il problema, secondo Kundnani, non è tanto che la Germania sta esercitando un potere egemonico in Europa, ma che è solo a mezza via nell’esercizio di un tale potere. Essa infatti si focalizzerebbe solo su se stessa, e sarebbe troppo piccola per il ruolo che dovrebbe giocare. “La Germania è nuovamente un paradosso. È troppo forte e troppo debole al tempo stesso; proprio come dopo la sua unificazione nel diciannovesimo secolo, sembra potente da fuori, ma è sentita come vulnerabile da molti tedeschi”, scrive Kundnani. “Non vuole ‘guidare’, e resiste alla mutualizzazione del debito, ma al tempo stesso cerca di rifare l’Europa a sua immagine e somiglianza, per renderla più ‘competititiva’”. “Guidare”, in questo contesto, significa spesso pagare, ed è così che anche Varoufakis vede le cose.
“Più simile ad un impero”
La Germania, in verità, è stato il principale finanziatore dei due pacchetti di aiuto alla Grecia, ma essi si sono dimostrati insufficienti. Il nuovo governo greco mira a cambiare l’eurozona dalle fondamenta, stabilendo un debito che sia più mutualizzato e con meno regole tedesche. Gli altri sono d’accordo. “Questa non è un’unione monetaria”, scriveva ilFinancial Times nel maggio 2012. “È decisamente più simile ad un impero”. L’investitore George Soros ha avvertito che l’Europa potrebbe dividersi tra paesi con un surplus commerciale e paesi con un deficit, descrivendolo come un “impero tedesco nel mezzo dell’Europa, con la periferia come provincia”. Impero, naturalmente, è un’altra parola per dire Reich.
Nel mondo di oggi, dominato com’è dalle questioni economiche, i governanti e i governati hanno ceduto i loro ruoli storici ai creditori e ai debitori. La Germania è il più grande creditore d’Europa. I creditori hanno il potere sui debitori: si aspettano gratitudine, e spesso hanno le idee chiare su ciò che i debitori devono fare per poter un giorno ripagare i debiti. I creditori in genere non sono molto amati.
I creditori vogliono avere il potere sui loro debitori perché hanno paura. Hanno paura di non riavere indietro i loro soldi. La Germania potrebbe pagare i debiti della Grecia, ma non quelli dell’Italia o della Spagna.
La Germania può essere abbastanza grande per imporre le sue regole sull’Europa, scrive Kundnani, ma è troppo piccola per essere un vero egemone. Proprio com’era prima della prima guerra mondiale, la Germania ha paura di essere circondata dai paesi più piccoli. Parte di questa paura è il fatto che la Bce potrebbe alla fine essere controllata dai paesi dell’Europa del sud, e che il potere potrebbe essere trasferito ai paesi debitori.
La Germania non sta agendo come un vero egemone, ma come un “semi-egemone”. Questo è un argomento già sostenuto dallo storico tedesco Ludwig Dehio, quando descriveva la posizione della Germania in Europa dopo il 1871. Sebbene il contesto sia radicalmente diverso, anche l’ex ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski, in un discorso a Berlino nel novembre 2011, ha detto di essere meno spaventato dal potere tedesco di quanto sia spaventato dall’inazione tedesca, e ha spronato la Germania ad assumere il ruolo di leader in Europa.
Kundnani fa notare che c’è una tendenza dei tedeschi a considerarsi come le vere vittime della crisi dell’euro: una visione che è diametralmente opposta al modo in cui i paesi debitori vedono le cose. Il risultato è l’aggressione, come si vede nel nuovo “tono” politico della Germania, o nel giornale tedesco Bild, che non si stanca mai di definire i greci come “avidi”.
Riferimenti fuorvianti al nazismo
Sebbene la Germania abbia dominato economicamente l’Europa durante l’eurocrisi, è rimasta un nano dal punto di vista delle politiche estere. L’apice del suo rifiuto di giocare un qualsiasi ruolo politico significativo è stata la sua astensione, nel marzo 2011, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per il voto sull’intervento Nato in Libia. Anche i partner europei come la Francia hanno visto questa posizione come un passo indietro della Germania. Dopotutto, il paese è stato coinvolto negli attacchi aerei in Kosovo e nella guerra in Afghanistan.
A prima vista, la richiesta di una maggiore leadership tedesca, che si è sentita negli ultimi anni da parte di molti paesi dell’Europa dell’est, è in forte contrasto con le lamentele sulla dominazione economica da parte della Germania. Ma le due cose sono collegate. La Germania cerca di essere una potenza economica, ma non una potenza militare. Il suo nazionalismo è basato sulla produzione economica e sulle statistiche delle esportazioni, non sul desiderio di diventare una potenza geopolitica. Lo stesso dilemma lo si vede nel ruolo che la Germania ha giocato nella crisi ucraina.
La Germania, scrive Kundnani, “è caratterizzata da uno strano mix di assertività economica e astinenza militare”. Per questa sola ragione, i riferimenti al periodo nazista sono fuorvianti. Non si tratta di violenza e di razzismo. Si tratta di moneta. E c’è una grande differenza, sebbene anche le questioni monetarie possano essere problematiche.
Ma di un impero si tratta, quantomeno nel campo economico. Anche se il dominio di Berlino non è incontrastato, l’eurozona è chiaramente governata dalla Germania. Il paese ha una forte voce in capitolo nel determinare il destino di milioni di individui di altri paesi. Questo potere crea una grande responsabilità, ma il governo e gli altri decisori politici sembrano a volte comportarsi come se fossero alla guida di un piccolo paese.
La Germania, in effetti, non è abbastanza grande da risolvere con il denaro i problemi di tutti gli altri. Ma sarebbe talvolta importante mostrare un po’ più magnanimità e di generosità in più. E sarebbe certamente più semplice fare dei progressi, in Europa, senza il nuovo tono polemico che arriva da Monaco e da Berlino. Il potere e la grandezza possono talvolta essere mostrati ignorando i confronti inopportuni, o rifiutandoli con eleganza.
Di Nikolaus Blome, Sven Böll, Katrin Kuntz, Dirk Kurbjuweit, Walter Mayr, Mathieu von Rohr, Christoph Scheuermann, Christoph Schult. Pubblicato sul Der Spiegel il 23 marzo 2015. Traduzione a cura di Voci dall’Estero.

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