L’amministrazione Biden chiama alla pugna, annunciando l’imminente attacco e la disfatta certa della Russia. Tuttavia, uno dopo l’altro gli alleati storcono il naso. Dal canto suo la Russia ribadisce le pretese avanzate il 17 dicembre 2021, cioè il rispetto del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti; ed esibisce la propria superiorità militare. Lo strappo è vicino.
Sul proscenio gli Stati Uniti – che insistono nel rifiuto di rispettare il diritto internazionale, in particolare la Carta delle Nazioni Unite – alla proposta russa di un Trattato che garantisca la pace hanno risposto in modo da guadagnare tempo e, accusando la Russia di preparare una guerra, fanno salire la tensione in Ucraina. Dietro le quinte Washington prepara invece nuovi terreni di scontro in Tansnistria e Medio Oriente.
La Russia ha smentito le affermazioni degli Stati Uniti e per tutta risposta ha messo alla prova la propria superiorità militare.
TRANSNISTRIA
Gli Stati Uniti vanno avanti nel piano della Rand Corporation e tentano di organizzare un conflitto in Transnistria. Il blocco di questa piccola repubblica indipendente, ma non riconosciuta, non funziona. Nonostante la polizia di frontiera ucraina, istituita dall’Alto rappresentante dell’Unione Europea, Josep Borell, il confine con la Moldavia continua a essere aperto. La presidente Maia Sandu, che sostiene l’ingresso della Moldavia nell’Unione Europea, vuole evitare a tutti i costi una guerra. Vuole sostituire il contingente russo di Tiraspol con una forza civile dell’OSCE e non rinuncia a riprendersi la Transnistria.
Sabato 12 febbraio le autorità transnistriane hanno chiesto all’incaricato d’affari statunitense di vigilare affinché cessi l’invio di armi USA alla Moldavia, attraverso Paesi terzi. Hanno inoltre rimarcato come questi trasferimenti minaccino la pace e contraddicano il dettato degli accordi internazionali.
Mercoledì 16 febbraio una delegazione della Transnistria si è recata a Mosca per chiedere aiuto, adducendo che l’apertura della frontiera con la Moldavia potrebbe non durare a lungo: l’esercito moldavo, inquadrato da ufficiali del Pentagono e dell’Unione Europea, si dispiega nella zona neutra, violando gli impegni internazionali.
Venerdì 18 febbraio a Tiraspol, nella sede dell’OSCE, si è svolto un incontro fra Moldavia e Transnistria (“1+1”). I negoziati hanno riguardato solo dettagli. Non è più possibile uscire con un veicolo dalla Transnistria senza cambiare targa al confine: la targa d’immatricolazione infatti riporta simboli secessionisti. Inoltre non è più possibile entrare in Transnistria con medicinali, anche salvavita. Una decisione che non ha giustificazione. Tutti i medicinali vengono sequestrati dalla dogana moldava sotto lo sguardo irridente di funzionari dell’Unione Europea.
SIRIA E LIBANO
La tensione sale, in particolare in Siria e Libano. Da fine ottobre Stati Uniti e Turchia hanno ripreso ad arruolare jihadisti, recuperandoli da quelli che sono sotto il loro controllo a Idlib. Alcune reclute sono state mandate in Ucraina, ma la maggior parte è stata arruolata per riprendere servizio contro la Siria e lo Hezbollah libanese. È tuttavia risaputo che si tratta per lo più di combattenti mediocri, a eccezione degli affiliati di Al Qaeda o Daesh.
Per addestrarli la CIA ha organizzato l’attacco a una prigione di Hassaké, in cui mercenari curdi sorvegliavano 3.500 membri di Daesh. I curdi hanno accondisceso alla messinscena, approfittandone per reclamare più armi e sostegno USA al fine di custodire meglio i prigionieri. La maggior parte degli jihadisti sono fuggiti e si sono uniti alla CIA. L’esercito statunitense ha poi trasferito i pochi capi di Daesh ricatturati dai curdi in un’altra prigione, in una località sconosciuta dove… li attendeva la CIA. Le apparenze sono salve, ma la realtà è che gli Stati Uniti stanno riorganizzando Daesh.
La riorganizzazione di Al Qaeda è avvenuta in modo più palese. Abu Mohammed al-Julani, capo di Al Qaeda in Siria, nonché emiro di Tahrir al-Sham, ha cambiato look. I britannici gli hanno insegnato a indossare abiti occidentali e a parlare senza minacciare di tagliare la testa a chi dissenta, ma non per questo non è più alla guida di Al Qaeda in Siria.
In questo contesto il 15 febbraio il ministro della Difesa russo, Serguei Shoigu, si è recato a Damasco, dove ieri era atteso anche il ministro degli Esteri, Sergueï Lavrov.
Hassan Nasrallah, segretario generale dello Hezbollah, ha confermato ad Al-Alam TV che la rete di Resistenza si è già procurata mezzi di difesa antiaerea per proteggere il Libano dall’aviazione israeliana, che ogni giorno vìola lo spazio aereo del Paese. Lo Hezbollah ha inoltre rivelato che un suo drone ha sorvegliato a lungo Israele senza venire abbattuto. Poco tempo prima l’aeronautica militare siriana aveva pattugliato il Golan siriano, illegalmente occupato da Israele, senza provocare una reazione di Tel Aviv.
UCRAINA
Per capire la posta in gioco in Ucraina occorre tornare indietro di alcuni giorni. L’11 febbraio il presidente Joe Biden ha riunito in videoconferenza i principali alleati per annunciare un’imminente invasione russa dell’Ucraina. L’agenzia Bloomberg ha riferito che la comunità dell’intelligence ne prevedeva l’attuazione nella notte fra il 15 e il 16 febbraio. Il presidente Biden si è poi rivolto agli statunitensi in un discorso televisivo, spiegando che se la Russia attaccasse ne pagherebbe le conseguenze e che gli Stati Uniti e i loro alleati sono pronti.
Prima dell’intervento in televisione di Biden, la Russia aveva annunciato il ritiro delle truppe in Bielorussia e alla frontiera ucraina perché le esercitazioni erano terminate. Un fatto che Washington non aveva avuto il tempo di verificare. Mosca affermava che elementi della Nato stavano preparando una provocazione; alcune settimane prima il Pentagono aveva mosso alla Russia analoga accusa. In ogni vaso, per gli alleati era diventato difficile accusare la Russia di voler invadere l’Ucraina.
Il 15 febbraio la Duma federale adottava una risoluzione, presentata dal Partito Comunista (ossia dai nazionalisti), in cui si chiedeva al presidente Putin di riconoscere l’indipendenza delle due Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. In altri termini: se l’Ucraina avesse approfittato del ritiro militare russo per attaccare il Donbass, la Russia avrebbe riconosciuto l’indipendenza delle due repubbliche e sarebbe stata costretta a intervenire, giacché la Costituzione attribuisce al presidente la responsabilità della vita dei concittadini. Ebbene, la maggior parte degli abitanti del Donbass ha triplice nazionalità: ucraina, indipendentista e russa.
Lo stesso giorno, ossia il 15 febbraio, il presidente Putin riceveva il cancelliere tedesco, Olaf Sholz. Come già con il presidente francese Emmanuel Macron, l’incontro è stato particolarmente lungo. Sembra che la Russia abbia esposto in dettaglio la visita della sottosegretaria di Stato Victoria Nuland al Cremlino. Di ritorno a Berlino, il cancelliere, sconcertato come prima lo era stato il presidente francese, si è astenuto da ogni dichiarazione contro la Russia. Lo stesso scenario si è ripresentato il 19 febbraio con il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro.
Nella notte fra il 15 e il 16 febbraio le forze armate russe non hanno invaso alcuno Stato. La stampa USA ha chiesto al consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, di spiegare perché avesse indicato data precisa. Sullivan ha fatto marcia indietro, dichiarando di non aver mai indicato date.
Inaspettatamente, il 17 febbraio 2022 il segretario di Stato Antony Blinken ha partecipato alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, accusando la Russia di «violazioni continue» degli Accordi di Minsk, sebbene sia Kiev a non riconoscerne la validità. Ha affermato d’intervenire per difendere «l’ordine internazionale fondato su regole che proteggono la stabilità nel mondo», ossia non il diritto internazionale, ma il diritto degli Occidentali. E ha rivelato il piano segreto del Cremlino: «La Russia vuole fabbricare un pretesto che giustifichi l’attacco. Potrebbe trattarsi di un fatto violento di cui la Russia fa ricadere la responsabilità sull’Ucraina, oppure di un’aberrante accusa al governo ucraino. Non sappiamo esattamente cosa stia preparando, potrebbe trattarsi di un sedicente attentato “terrorista” in Russia, della scoperta di una falsa carneficina, della messinscena di un attacco di droni contro civili, o di un falso – o anche vero – attacco con armi chimiche. È possibile che la Russia definisca l’avvenimento pulizia etnica o genocidio, tenendo in poco conto un concetto che noi invece non prendiamo alla leggera nell’istituzione in cui mi trovo e che io personalmente non prendo alla leggera, visto il passato della mia famiglia».
Con questa divagazione Blinken si riferiva al patrigno che lo allevò a Parigi, Samuel Pisar, sopravvissuto alla “Soluzione finale della questione ebrea”. Un’esperienza da cui Pisar non trasse odio, bensì un’acuta consapevolezza del Male. Divenne consigliere del presidente Kennedy, poi avvocato internazionale delle più grandi società. Era disgustato dalle tesi del professor Strauss, che affermava fosse indispensabile per il popolo ebreo istaurare una dittatura mondiale per sfuggire a una «nuova Shoà». Sicuramente Pisar sarebbe sconvolto dall’evoluzione del figliastro e del gruppo da lui formato con la collaboratrice Victoria Nuland, nonché con il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jacob “Jake” Sullivan.
L’OSCE conferma che in Donbass sono ripresi i combattimenti. Elementi dell’esercito ucraino, inquadrati dagli Stati Uniti – probabilmente il battaglione Azov e un altro gruppo – bombardano i separatisti. I presidenti delle due repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk hanno chiamato alla mobilitazione generale la popolazione fra i 18 e i 55 anni, nonché invitato le donne, i bambini e gli anziani che abitano in prossimità della linea di contatto a rifugiarsi all’estero. La Russia ha dichiarato di essere disposta ad accoglierli tutti. Una dopo l’altra, tutte le regioni della Federazione stanno preparando le strutture per accoglierli. Lo Stato federale assegnerà loro anche una piccola somma per la sistemazione provvisoria.
Per il dipartimento di Stato – che da parte sua ha ingiunto ai propri concittadini di lasciare l’Ucraina – lo spostamento della popolazione è la prova che Mosca sta per passare all’offensiva… Qualunque informazione viene interpretata in modo diametralmente opposto dalle parti.
Rifiutandosi di prendere posizione nel conflitto, Israele ha rinunciato a istallare per conto di Kiev una “cupola di ferro” (sistema antimissile) contro il Donbass.
Il 18 febbraio il presidente Biden si è rivolto ai parlamentari e alla vicepresidente Kamala Harris, che a Monaco rappresentavano gli USA alla Conferenza sulla Sicurezza. Ha poi convocato in videoconferenza i principali alleati transatlantici, rallegrandosi per aver ritardato l’attacco russo e accusando Mosca di non rinunciare ai propri piani. Ha poi affermato che tutti gli alleati sono pronti e che la Russia, se passasse all’azione, ne pagherebbe le conseguenze.
Il presidente Putin ha risposto a Biden dando il via a una dimostrazione delle forze nucleari della Federazione. Dalla terraferma, da un sottomarino, da navi di superficie, nonché da aerei sono stati lanciati molti missili di diversa portata. Erano caricati con armi convenzionali e tutti hanno raggiunto l’obiettivo; erano presenti osservatori stranieri, fra gli altri un ufficiale statunitense.
Gli Stati Uniti fanno salire la tensione con le parole, la Russia con i fatti. A tal proposito ripetiamo ancora una volta che le forze armate USA non sono in grado di sostenere una guerra ad alta intensità. Se riescono senza problemi a distruggere Paesi del Terzo Mondo tenuti sotto embargo per almeno un decennio, non sono affatto preparate per affrontare un esercito moderno. I principali alleati (Regno Unito, Francia e Turchia) sono nella stessa situazione. Per esempio, il 16 febbraio, a Parigi, è stato presentato alla Commissione per la difesa nazionale e le forze armate un rapporto sul degrado delle forze armate francesi. I deputati hanno dovuto prendere atto che, considerato lo stato dei mezzi a disposizione, l’aeronautica militare non resisterebbe più di cinque giorni alle forze russe. È quindi chiaro a tutti i protagonisti che la Nato non è assolutamente in grado di fare guerra alla Russia e alla Cina.
Con generale sorpresa, a Monaco gli Stati Uniti non sono riusciti a imporre un’atmosfera marziale. Gli europei erano piuttosto irritati per le fortissime pressioni della Casa Bianca. Il cancelliere Scholz è intervenuto con un tono di voce piatto, facendo attenzione a non dire qualcosa di compromettente. Tutti in sala sapevano che un’inchiesta su una sordida vicenda, in cui è stato coinvolto quando era sindaco di Amburgo, è stata curiosamente rilanciata. Molti hanno perciò creduto parlasse sotto ricatto. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che la Casa Bianca aveva cercato di persuadere a non venire, calamitava l’attenzione di tutti: chiedeva di continuo aiuto, meno per far fronte a Mosca che per far fronte a Washington.
CONCLUSIONE PROVVISORIA
Uno scontro è sempre possibile in Ucraina, o domani in Transnistria o in Medio Oriente, ma non risponderebbe alla domanda preliminare posta il 17 dicembre 2021 dal Cremlino: in che modo gli Stati Uniti intendono mettersi in regola con il diritto internazionale e rispettare la parola data?
Per la prima volta due grandi media tedeschi, Der Spiegel [1] e Die Welt [2], hanno dimostrato che la Russia ha ragione a proposito dell’estensione della Nato al di là del territorio dell’ex Germania dell’Est. Citando un esperto, il professore associato Joshua Shifrinson dell’Università di Boston, questi giornali hanno rivelato l’esistenza di un documento datato 6 marzo 1991, appena uscito dagli archivi segreti del Regno Unito, in cui il rappresentante tedesco dichiara: «Non possiamo proporre alla Polonia e agli altri Paesi di aderire alla Nato» e il rappresentante degli Stati Uniti sottolinea che l’Alleanza non deve allargarsi a Est, in modo «formale o informale» che sia. Come se non bastasse, l’ex segretario di Stato alla Difesa tedesco, nonché vicepresidente dell’OSCE, Willy Wimmer, ha dichiarato in un’intervista a Russia Today – immediatamente tradotta in inglese e diffusa negli Stati Uniti prima che in Germania [3] – di aver partecipato ai negoziati per la riunificazione tedesca e di aver egli stesso redatto il Protocollo aggiuntivo che vieta alle forze Nato, una volta attuata la riunificazione, d’insediarsi sul territorio dell’ex Germania dell’Est.
È perciò logico porsi una domanda: perché l’amministrazione Biden, che non è sostenuta dagli alleati, insiste nelle accuse alla Russia e le amplifica con il rischio di provocare lo scoppio di un conflitto? Potrebbe darsi che l’inchiesta del procuratore speciale John Durnham sull’affare delle intercettazioni della Casa Bianca faccia precipitare le cose. Secondo Fox News [4], il procuratore sospetta Hillary Clinton di aver spiato il presidente Donald Trump alla Casa Bianca e al suo domicilio, intercettandone tutte le attività in internet. L’operazione sarebbe stata organizzata dal consigliere di politica estera della Clinton, Jake Sullivan, attuale consigliere per la Sicurezza nazionale. Sulla base dei dati illegalmente intercettati e manipolati il Congresso aveva avviato una procedura di destituzione contro Trump, il RussiaGate.
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