(Maurizio Belpietro – la Verità) –
Prima era un premier per caso, una marionetta nelle mani dei 5 stelle, ma adesso che si è messo di traverso a Matteo Salvini, il presidente del Consiglio è diventato uno statista di prim’ ordine, anzi un furbo di tre cotte capace di battere il ministro dell’ Interno non con una maggioranza, ma addirittura con due. A spiegarlo ieri, sulle pagine del Corriere della Sera, è stato uno che di manovre di Palazzo se ne intende, avendone viste un certo numero dall’ osservatorio di direttore in via Solferino.
Paolo Mieli, che una dozzina d’anni fa pronosticò la rapida fine di Silvio Berlusconi con un endorsement a favore di Romano Prodi, e poi sussurrò a Gianfranco Fini credendolo il buttafuori del Cavaliere, ha sentenziato in un editoriale comparso sul quotidiano milanese che il vero vincitore di questa mano politica è Giuseppe Conte, mentre il capitano leghista è lo sconfitto. Da che lo abbia dedotto non è chiarissimo, ma è bastata questa premessa per consentirgli di scrivere un articolo che, come accadde con il fondatore di Forza Italia, a Salvini potrebbe perfino portare fortuna...
Mieli non ha dubbi. Il ministro dell’ Interno ha le cartucce bagnate e le sue minacce di far cadere il governo sono destinate a fare cilecca nonostante abbia fatto il pieno alle elezioni politiche. Chiusa fra pochi giorni la finestra per nuove elezioni, «ove mai la legislatura subisse un infarto, la vita di questo Parlamento, con ogni probabilità, verrebbe salvata da una nuova maggioranza più larga imperniata, ed è qui la sorpresa, sulla figura di colui che un tempo si autodefinì avvocato del popolo».
Così il premier «fantoccio» (Le Monde), «il re travicello» (Huffington Post), «il burattino di Salvini e Di Maio» (Guy Verhofstadt), «il pupazzo» (sempre l’ Huffington) e «il taroccatore di curriculum» (Alessandro Sallusti), all’ improvviso sulle pagine dei giornali, e in particolare di quello considerato più importante, è diventato un presidente del Consiglio autorevole e forte. Anzi, il traghettatore del Movimento 5 stelle. Conte, infatti, «è stato capace di trascinare con sé il frastornato movimento ponendosi in sintonia con l’ establishment italiano, quello europeo, l’ intero mondo economico e il Quirinale».
Ma come? Questo doveva essere il governo del cambiamento, almeno così era stato definito nei titoli d’ inizio del film, e adesso Mieli ci dice che invece, grazie a Conte, si è trasformato nel governo della conservazione, perché se si è messo in sintonia con tutti quelli che contano, establishment, mondo economico e Colle, è evidente che non si cambia niente, ma si conserva tutto. E come ci è riuscito quel campione di Conte? Semplice, spiega l’ex direttore «ha offerto ai grillini una prospettiva di tenuta della legislatura che offrirebbe ai pentastellati la garanzia di restare a lungo in Parlamento e perfino al governo».
Chiaro, no? Si conserva la poltrona se si conservano le cose come stanno.
Qualcuno potrebbe perfino indignarsi per la brutale franchezza con cui Mieli espone quello che dal suo punto di vista è da considerarsi un merito, ma un fatto è un fatto e cinicamente l’ex bidirettore del Corriere lo ritiene la chiave di volta per comprendere una situazione «inedita nella storia d’Italia», ovvero un premier che può contare non su una maggioranza, ma su due. La prima è quella instabile di cui fa parte la Lega, ritenuta evidentemente l’elemento destabilizzante. La seconda, invece, è quella di unità nazionale, del volemose bene in cambio del mantenimento, appunto, della poltrona parlamentare.
Di quest’ultima, oltre ai grillini, dovrebbero fare parte secondo Mieli sia il Pd che probabilmente Forza Italia, partiti che pur restando all’ opposizione d’ ora in poi concentreranno le loro energie esclusivamente nel contrastare Salvini. Insomma, l’operazione geniale di Conte, consiste nell’ imbrigliare il ministro dell’ Interno, offrendo ai 5 stelle una maggioranza alternativa a quella attuale ogni volta che ce ne sia la necessità.
Capito il furbo? Il leghista vuole l’ autonomia? E i grillini votano quella che piace a loro con l’ opposizione.
Quello strilla perché pretende la flat tax? E i pentastellati, grazie all’ abile regia del presidente del Consiglio, si mettono d’ accordo per fargliene una che non serve a niente. Tutto ciò in attesa che gli italiani aprano gli occhi e voltino le spalle a Salvini. Si tratta dunque di ingabbiare il Capitano, aspettando che passi la nuttata. Che, secondo l’ idea di Mieli, potrebbe finire in fretta, perché è in atto una «sapiente offensiva, delle imbarcazioni delle Ong, sostenuta con maggior convinzione da Chiesa, magistratura e opinione pubblica internazionale».
Non sfuggirà al lettore che l’ editorialista di via Solferino non tiene conto dell’ opinione degli italiani. Perché il ribaltone, anzi il governo dell’ ammucchiata, ha il consenso di tutti, ma proprio tutti (establishment, economia, Quirinale, Chiesa, magistratura e anche opinione pubblica internazionale), ma non degli elettori. I quali, nello scenario disegnato da Mieli, contano meno del due di coppe a briscola. Con il suo fondo, l’ ex direttore non si è neppure accorto di aver disegnato un profilo di Conte che non è quello dell’ avvocato del popolo, ma quello del difensore di chi il popolo lo ignora.---
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