L’ex premier duro con i vertici del partito,che lo accusano: «Tanto ho già vinto».
ROMA — L’assalto dei dem avversari, che lo accusano di voler distruggere il Pd e
chiedono di azzerare tutto, non gli farà cambiare idea. Matteo Renzi è sempre più
convinto di aver fatto bene a strappare la tela del dialogo ed è pronto ad
affrontarne le conseguenze. Giovedì in direzione la resa dei conti sarà inevitabile,
perché in gioco c’è la natura stessa del partito, la collocazione sullo scacchiere
della politica e la scelta del nuovo segretario. Una posta così alta da mettere a
rischio la sopravvivenza del partito. «Dobbiamo stare molto attenti perché la
corda può spezzarsi», è il timore che il reggente Maurizio Martina ha confidato
ai collaboratori.
Se l’ex premier ha giocato d’azzardo, tornando in tv e ribaltando il tavolo,
è perché aveva colto lo sbandamento dei suoi parlamentari e amministratori locali
e temeva che le sirene del governo col M5S avrebbero finito per attrarre anche i
renziani....
Ha scelto la linea dura e, facendo vedere che il capo c’è, ha rimesso
sull’attenti le truppe. Ieri sprizzava soddisfazione per la sua performance,
convinto di aver parlato in sintonia con la base: «Avete visto come sono stato
bravo da Fazio? Lui aveva il 14% di share e con me ha fatto il 22,5».
Renzi ha portato sconquasso non solo tra i partiti, ma anche tra i dirigenti
del Pd, gran parte dei quali lo davano ormai per archiviato e adesso si domandano,
con diverso grado di angoscia, cosa mai intenda farci con la ritrovata leadership.
Giorni fa non lo sapeva neanche lui ma adesso lo schema gli appare più chiaro e
ruota attorno alla suggestione di quel governo tecnico o istituzionale caldeggiato,
ad esempio, dai socialisti del senatore Riccardo Nencini.
Un governo che lavori sulle riforme costituzionali, senza imbarazzi a ragionare
di doppio turno e semipresidenzialismo. Renzi ne avrebbe parlato non solo con gli
emissari di Berlusconi, ma anche con Salvini. Nei dintorni del giglio magico
raccontano che i due «Matteo» si stanno sentendo spesso e scambiando messaggini,
Renzi infatti è stato bene attento a non attaccare in tv il leader della Lega. Le sue
bordate sono state tutte per Di Maio. E la riprova che restituire al popolo dem
l’orgoglio di appartenenza sia la strada giusta Renzi l’ha avuta nel pomeriggio,
quando il tweet di Dario Franceschini — «Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato
in un Signornò» — (ritenuto dai renziani «una ammissione di debolezza») è stato
inondato di commenti negativi. Chi accusa il ministro di voler ridurre il Pd a
«succursale della Casaleggio e associati» e chi ringrazia Renzi per aver «salvato la
dignità» degli elettori. Il «capo», lo riconforta la sua gente, è sempre lui. E se nel
partito monta la rivolta in vista della direzione, il senatore di Firenze e Scandicci
si mostra tranquillo: «Io quella partita l’ho già vinta. Voglio vedere se Martina ha il
coraggio di far votare qualcosa».
chiedono di azzerare tutto, non gli farà cambiare idea. Matteo Renzi è sempre più
convinto di aver fatto bene a strappare la tela del dialogo ed è pronto ad
affrontarne le conseguenze. Giovedì in direzione la resa dei conti sarà inevitabile,
perché in gioco c’è la natura stessa del partito, la collocazione sullo scacchiere
della politica e la scelta del nuovo segretario. Una posta così alta da mettere a
rischio la sopravvivenza del partito. «Dobbiamo stare molto attenti perché la
corda può spezzarsi», è il timore che il reggente Maurizio Martina ha confidato
ai collaboratori.
Se l’ex premier ha giocato d’azzardo, tornando in tv e ribaltando il tavolo,
è perché aveva colto lo sbandamento dei suoi parlamentari e amministratori locali
e temeva che le sirene del governo col M5S avrebbero finito per attrarre anche i
renziani....
Ha scelto la linea dura e, facendo vedere che il capo c’è, ha rimesso
sull’attenti le truppe. Ieri sprizzava soddisfazione per la sua performance,
convinto di aver parlato in sintonia con la base: «Avete visto come sono stato
bravo da Fazio? Lui aveva il 14% di share e con me ha fatto il 22,5».
Renzi ha portato sconquasso non solo tra i partiti, ma anche tra i dirigenti
del Pd, gran parte dei quali lo davano ormai per archiviato e adesso si domandano,
con diverso grado di angoscia, cosa mai intenda farci con la ritrovata leadership.
Giorni fa non lo sapeva neanche lui ma adesso lo schema gli appare più chiaro e
ruota attorno alla suggestione di quel governo tecnico o istituzionale caldeggiato,
ad esempio, dai socialisti del senatore Riccardo Nencini.
Un governo che lavori sulle riforme costituzionali, senza imbarazzi a ragionare
di doppio turno e semipresidenzialismo. Renzi ne avrebbe parlato non solo con gli
emissari di Berlusconi, ma anche con Salvini. Nei dintorni del giglio magico
raccontano che i due «Matteo» si stanno sentendo spesso e scambiando messaggini,
Renzi infatti è stato bene attento a non attaccare in tv il leader della Lega. Le sue
bordate sono state tutte per Di Maio. E la riprova che restituire al popolo dem
l’orgoglio di appartenenza sia la strada giusta Renzi l’ha avuta nel pomeriggio,
quando il tweet di Dario Franceschini — «Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato
in un Signornò» — (ritenuto dai renziani «una ammissione di debolezza») è stato
inondato di commenti negativi. Chi accusa il ministro di voler ridurre il Pd a
«succursale della Casaleggio e associati» e chi ringrazia Renzi per aver «salvato la
dignità» degli elettori. Il «capo», lo riconforta la sua gente, è sempre lui. E se nel
partito monta la rivolta in vista della direzione, il senatore di Firenze e Scandicci
si mostra tranquillo: «Io quella partita l’ho già vinta. Voglio vedere se Martina ha il
coraggio di far votare qualcosa».
Renzi: «No ai giochi di palazzo. Governi chi ha vinto»
https://video.corriere.it/renzi-no-giochi-palazzo-governi-chi-ha-vinto/feeb8212-
4be6-11e8-8cfa-f9edba92b6ed
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I suoi hanno fatto di conto e diffondono numeri che lo lasciano dormire
sereno. Su 209 membri del parlamentino i renziani doc erano un tempo 117,
ma a questi bisogna sottrarre i 20 delegati di Franceschini e Fassino, i 9 di
Martina, 2 veltroniani e «cinque cani sciolti», come li definiscono
graziosamente i seguaci dell’ex segretario. Gli orlandiani sono 32 e 14 i
delegati eletti con Michele Emiliano, ma anche i governisti fanno filtrare
ottimismo sul risultato della conta.
La battaglia per cambiare in corsa i rapporti di forza continua in Senato,
dove gli amici del già capo del governo contano 35 renziani doc, mentre gli
oppositori (che sono una ventina) ne accreditano appena 21, orfiniani
compresi. Ma sulla linea di confine ci sono una decina di senatori che
entrambi i fronti considerano «terra di conquista» e che potrebbero fare
la differenza.
Il solitamente cauto Martina non molla e non intende dimettersi. È fuori di
sé per l’iniziativa di Renzi, giudicata irresponsabile dai dialoganti. Lo
accusano di aver cambiato di colpo scenario distruggendo, con una scelta
solitaria, le già fragili fondamenta del dialogo. Gli rimproverano di aver
indicato a Di Maio la via del voto anticipato seminando sconcerto sul Colle.
E adesso? «Basta strappi», tenterà l’ultimo appello Martina, sperando nel
sostegno di Gentiloni, Delrio, Guerini, Rosato. E se parla Renzi (che pure ieri invitava i dem ad abbassare i toni) sono guai.
sereno. Su 209 membri del parlamentino i renziani doc erano un tempo 117,
ma a questi bisogna sottrarre i 20 delegati di Franceschini e Fassino, i 9 di
Martina, 2 veltroniani e «cinque cani sciolti», come li definiscono
graziosamente i seguaci dell’ex segretario. Gli orlandiani sono 32 e 14 i
delegati eletti con Michele Emiliano, ma anche i governisti fanno filtrare
ottimismo sul risultato della conta.
La battaglia per cambiare in corsa i rapporti di forza continua in Senato,
dove gli amici del già capo del governo contano 35 renziani doc, mentre gli
oppositori (che sono una ventina) ne accreditano appena 21, orfiniani
compresi. Ma sulla linea di confine ci sono una decina di senatori che
entrambi i fronti considerano «terra di conquista» e che potrebbero fare
la differenza.
Il solitamente cauto Martina non molla e non intende dimettersi. È fuori di
sé per l’iniziativa di Renzi, giudicata irresponsabile dai dialoganti. Lo
accusano di aver cambiato di colpo scenario distruggendo, con una scelta
solitaria, le già fragili fondamenta del dialogo. Gli rimproverano di aver
indicato a Di Maio la via del voto anticipato seminando sconcerto sul Colle.
E adesso? «Basta strappi», tenterà l’ultimo appello Martina, sperando nel
sostegno di Gentiloni, Delrio, Guerini, Rosato. E se parla Renzi (che pure ieri invitava i dem ad abbassare i toni) sono guai.
30 aprile 2018 (modifica il 30 aprile 2018
I suoi hanno fatto di conto e diffondono numeri che lo lasciano dormire sereno.
Su 209 membri del parlamentino i renziani doc erano un tempo 117, ma a questi
bisogna sottrarre i 20 delegati di Franceschini e Fassino, i 9 di Martina, 2 veltroniani
e «cinque cani sciolti», come li definiscono graziosamente i seguaci dell’ex
segretario. Gli orlandiani sono 32 e 14 i delegati eletti con Michele Emiliano, ma
anche i governisti fanno filtrare ottimismo sul risultato della conta.
La battaglia per cambiare in corsa i rapporti di forza continua in Senato, dove gli
amici del già capo del governo contano 35 renziani doc, mentre gli oppositori
(che sono una ventina) ne accreditano appena 21, orfiniani compresi. Ma sulla linea
di confine ci sono una decina di senatori che entrambi i fronti considerano
«terra di conquista» e che potrebbero fare la differenza.
Il solitamente cauto Martina non molla e non intende dimettersi. È fuori di sé pe
r l’iniziativa di Renzi, giudicata irresponsabile dai dialoganti. Lo accusano di aver
cambiato di colpo scenario distruggendo, con una scelta solitaria, le già fragili
fondamenta del dialogo. Gli rimproverano di aver indicato a Di Maio la via del voto
anticipato seminando sconcerto sul Colle. E adesso? «Basta strappi», tenterà
l’ultimo appello Martina, sperando nel sostegno di Gentiloni, Delrio, Guerini,
Rosato. E se parla Renzi (che pure ieri invitava i dem ad abbassare i toni) sono guai.----
Su 209 membri del parlamentino i renziani doc erano un tempo 117, ma a questi
bisogna sottrarre i 20 delegati di Franceschini e Fassino, i 9 di Martina, 2 veltroniani
e «cinque cani sciolti», come li definiscono graziosamente i seguaci dell’ex
segretario. Gli orlandiani sono 32 e 14 i delegati eletti con Michele Emiliano, ma
anche i governisti fanno filtrare ottimismo sul risultato della conta.
La battaglia per cambiare in corsa i rapporti di forza continua in Senato, dove gli
amici del già capo del governo contano 35 renziani doc, mentre gli oppositori
(che sono una ventina) ne accreditano appena 21, orfiniani compresi. Ma sulla linea
di confine ci sono una decina di senatori che entrambi i fronti considerano
«terra di conquista» e che potrebbero fare la differenza.
Il solitamente cauto Martina non molla e non intende dimettersi. È fuori di sé pe
r l’iniziativa di Renzi, giudicata irresponsabile dai dialoganti. Lo accusano di aver
cambiato di colpo scenario distruggendo, con una scelta solitaria, le già fragili
fondamenta del dialogo. Gli rimproverano di aver indicato a Di Maio la via del voto
anticipato seminando sconcerto sul Colle. E adesso? «Basta strappi», tenterà
l’ultimo appello Martina, sperando nel sostegno di Gentiloni, Delrio, Guerini,
Rosato. E se parla Renzi (che pure ieri invitava i dem ad abbassare i toni) sono guai.----
30 aprile 2018
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