Il segnale per Matteo Renzi è chiaro: sul voto per il prossimo presidente della Repubblica, il premier deve stare attento a 140 tra deputati e senatori di minoranza Pd. Tanti sono, più o meno, quelli che, nel pomeriggio, dopo l’ennesimo scontro interno in aula sulla riforma costituzionale, si incontrano nella sala Berlinguer del gruppo Pd della Camera. E’ una pattuglia variegata, che non si trasforma per incanto in un blocco compatto. Nemmeno di fronte ai fatti successi oggi e nemmeno se tutti i 140 più o meno concordano sul fatto che oggi è nata una nuova maggioranza di governo per il soccorso azzurro di Forza Italia sull’Italicum in sostituzione dei 27 Dem che hanno seguito la protesta del bersaniano Miguel Gotor al Senato. Però da oggi in poi, i 140, pur frazionati al loro interno sulla strategia da tenere per rovesciare o limitare (le ricette sono diverse) il Patto del Nazareno, costituiscono il buco nero che Renzi dovrà trattare con cautela quando la prossima settimana dovrà calare un nome da porre in votazione per il dopo Napolitano.....
Il clima in sala Berlinguer è di mortificazione generale. In tanti lo dicono, parlando con la stampa: chi con il sapore amaro della sconfitta, chi con il gusto altrettanto sgradevole del sentirsi esclusi dall’orizzonte di gioco del premier-segretario. Perché in sala Berlinguer ci sono anche parlamentari di minoranza che però non hanno mai votato contro le indicazioni del governo in aula. Eppure sono lì, sconcertati anche loro per il nuovo clima di tensione nel partito. E naturalmente vengono visti come “controllori: quasi quasi ti leggono pure gli sms che mandi…”, dice in anonimato un deputato tra i più oltranzisti.
Nella sala Berlinguer ci sono tutte le declinazioni del non essere renziani. Ci sono i dalemiani, senza Massimo D’Alema. Ci sono i bersaniani con Pierluigi Bersani che si affaccia solo per un quarto d’ora e se ne va, scoccando la sua freccia contro il premier sulle agenzie di stampa: “Dica se vuole l’unità del Pd”. Ci sono lettiani senza Enrico Letta, veltroniani senza Walter Veltroni. C’è Gianni Cuperlo, che parlando ai 140 avrebbe gridato alla “mutazione genetica del Pd”, raccogliendo applausi. C’è Stefano Fassina, tra i più anti-renziani. C’è lo stesso Gotor provato dalla battaglia in Senato e il suo ‘Sancho Panza’, il senatore Paolo Corsini che sull’Italicum lo ha seguito in tutto e per tutto.
C’è Pippo Civati, che non sta nella pelle: “Oggi hanno rifondato il Patto del Nazareno e uno dei due contraenti, Berlusconi, dice che è nata una maggioranza nuova. Dobbiamo alzare il livello!”. Civati entra ed esce dalla riunione, parla con i cronisti: “Qui solo scaramucce, non c’è nessuna vera botta in vista. Poi se nasce un’iniziativa seria, allora valuto. Sennò mi chiamo fuori”. Per lui la “vera botta” sarebbe candidare Romano Prodi per il Quirinale, unico autorevole, unico anti-Patto del Nazareno. Ma il clima in sala Berlinguer non è questo. Giusto Rosi Bindi potrebbe apprezzare. Lei lascia l’assemblea ben presto allargando le braccia: “Riunione troppo eterogenea, spuria… L’analisi c’è, ma non mi pare che sia matura la conclusione”.
Cioè non è maturo l’ossessivo ‘che fare’ della sinistra. Che fare, una volta che si è tutti d’accordo sul fatto che pare nata “una grande coalizione Pd-Forza Italia senza nemmeno averne discusso prima”, come dice persino il mite Cesare Damiano? Che fare? Non è semplice deciderlo alla Sala Berlinguer. Dentro ci sono persino personalità del sottogoverno del premier, come il viceministro Filippo Bubbico, i sottosegretari Luciano Pizzetti e Sesa Amici. E poi parlamentari di minoranza che però non condividono la forzatura di Gotor, figurarsi se possono condividere il gesto di Civati che oggi ha osato votare no all’emendamento che istituisce i senatori a vita nella riforma costituzionale, mentre una 40ina di deputati di minoranza non ha partecipato al voto.
Per dire che le strategie restano diverse. “C’è chi è convinto che basti la testimonianza e chi invece non si ferma… - sintetizza il senatore lettiano Francesco Russo – Io credo che la fronda sull’Italicum abbia spinto ancor di più Renzi a rafforzare il Patto del Nazareno. E il rischio è che, così facendo, lo si metta nella condizione di giocare con Berlusconi anche sul Colle. E’ controproducente”. Ad ogni modo, anche Russo condivide l’invito lanciato ai 140 dal bersaniano D’Attorre, uno dei più accalorati in assemblea: “Non disperdiamoci sulla corsa per il Quirinale!”. Che significa: non facciamo la solita gara tra correnti, tra chi lavora per Fassino, chi per Veltroni, chi per Finocchiaro, chi per Amato, chi per Franceschini.
Sono i nomi che girano da sempre, i nomi per cui da tempo sono mobilitate le varie anime del Pd, tra riunioni, cene e conciliaboli in Parlamento. In realtà, pare che oggi il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini abbia sondato l’opposizione di Sel sul nome di Piercarlo Padoan, ma anche Graziano Delrio, in primis. E poi anche Giuliano Amato, Sergio Mattarella, un po’ meno sulla Finocchiaro.
La divisione interna è il rischio concreto che la mortificazione generale della sala Berlinguer per ora non riesce a eliminare dal campo. Ed è questo che fa gongolare Renzi, ancora. Sull’Italicum, forza il premier parlando a margine del Forum economico di Davos, la minoranza ha una “posizione che nemmeno i militanti delle feste dell’Unità condividono, ma questo è ininfluente sul risultato finale. E non ci saranno conseguenze sul Quirinale”. Però nonostante la varietà interna, i 140 promettono di farsi sentire. Proprio sulla corsa per il Colle, che si annuncia già come una battaglia. In sala Berlinguer c’è anche il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, cui spetta il compito di sintetizzare la posizione per tutti e di metterla giù morbidissima col premier: “Dobbiamo lavorare per unire il Pd sul presidente della Repubblica: è la richiesta forte che arriva da un pezzo del Pd. Ma ho fiducia nel nostro segretario. Sono sicuro che lavorerà per unire il Pd”. Ma intorno a lui prevale la convinzione opposta. E cioè che, ora che è nata la fronda dei 140, Renzi farà di tutto per dividerla. Come è riuscito a fare sul Jobs Act, separando i dialoganti Bersani, Epifani, Damiano dai Cuperlo, Fassina e un’altra trentina. “Lo rifarà sul Colle”, si ammette tra i 140. Risponderanno uniti?
http://www.huffingtonpost.it/2015/01/21/quirinale-minoranza-pd_n_6517326.html?utm_hp_ref=italy
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