PS: Egregio signor Ugo Magri, dopo averlo letto ho pensato di postare il suo articolo"esplosivo ma ancora senza polvere da sparo, miccia e fiammifero" per farlo esplodere. Ma si rende conto di cosa ha scritto pur sapenoche lei è al servizio(....che stà per servo)del suo Editore? ma si rende conto cosa stà passando per la mente in questo momento agli italiani che lo leggono? ma si rende conto che lei stà facendo la contro-figura del "mago Zurlì"inventandosi un discorso mai scritto ne tantomeno letto?
....e se poi non è così, chiederà scusa agli italiani e al Signor Silvio Berlusconi?....ci sentiamo nei prossimi giorni.
umberto marabese
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L’intervento contro le “toghe rosse” previsto dopo il voto in Giunta per la decadenza
Il Cavaliere sta preparando un discorso-bomba che, salvo
ripensamenti, farà esplodere governo e legislatura. Si ripromette di
attaccare in aula al Senato le «toghe rosse» con una tale veemenza che
mai più le aule parlamentari si troveranno a vivere momenti così intensi
e drammatici. Nei propositi manifestati da Berlusconi, descritto come
una fiera fuori controllo, il centro del discorso graviterà sull’«uso
politico della giustizia» (titolo del pamphlet di Cicchitto che
l’ex-premier si è appena andato a rileggere).
Nel suo mirino finirà Magistratura democratica, demonizzata come se fosse un potere occulto o, peggio, un gruppo eversivo: Berlusconi presenterà se stesso quale vittima di quella corrente, addirittura come un martire idealmente accomunato nella persecuzione all’altro personaggio che provò a difendersi in Parlamento con un «j’accuse» a 360 gradi, cioè Bettino Craxi. I più anziani evocheranno paragoni con altri discorsi, cominciando da quello che Benito il Duce pronunciò al teatro Lirico di Milano prima di Salò e di Piazzale Loreto. Ma comunque sempre di crepuscoli fiammeggianti si tratta, non certo di mesti congedi dalla politica come quello cui si acconciò Forlani, citato quale buon esempio da Napolitano in quanto seppe scontare con umiltà e in silenzio la condanna ai servizi sociali. Perché a far uscire di senno il Cavaliere è proprio la prospettiva che vent’anni di dominio sulla scena italiana e di celebrità mondiale possano essere archiviati «con una sentenzina burocratica» della Cassazione, ai suoi occhi indegnamente chiamata a fare da spartiacque tra il prima e il dopo Berlusconi...
Ma più dei toni apocalittici cui Silvio farà ricorso in Senato, conterà il momento prescelto. Nei piani di guerra tracciati ad Arcore, in una solitudine del leader che solo le telefonate dei fedelissimi Verdini, Mantovani e Bonaiuti riescono a spezzare, l’intervento in aula dovrebbe cadere subito dopo il voto della Giunta per le elezioni: quello che deciderà se il condannato a quattro anni di carcere (nove mesi effettivamente da scontare) dovrà essere messo alla porta del Parlamento per effetto della legge Severino contro la corruzione. Tutto fa ritenere che andrà in questo modo. E per quanto tra le «colombe» Pdl ci sia chi si batte per un rinvio del verdetto, il 9 settembre sembra praticamente certo che la Giunta chiederà all’aula di sancire con un voto delle sinistre, di Scelta civica e dei grillini la decadenza del senatore Berlusconi. Una sua reazione di quel tenore, così sfrontato e senza un briciolo di «mea culpa», renderà incolmabile la distanza, insostenibili le larghe intese. Le dimissioni dei ministri Pdl sono date per inevitabili dagli stessi diretti interessati.
Che cosa pensi di ottenere l’uomo da una crisi così autoreferenziale, non risulta ben chiaro sul Colle (dove tutta questa nevrosi appare irragionevole e irresponsabile), ma nemmeno è ben compresa da chi sente il Cavaliere due volte al dì. Pare voglia ottenere le elezioni nella speranza di vincerle, anche se sa che Napolitano mai gliene concederà la chance, piuttosto si dimetterà da Presidente lasciando al successore la firma sotto il decreto di scioglimento delle Camere. Santanché, reduce da otto ore trascorse sabato ad Arcore, ieri ha sfidato apertamente il Colle, «sono un po’ pentita di avere votato Napolitano, avrei preferito financo Prodi».
Sostengono i «falchi» Pdl di avere sondato i Cinque Stelle e di averne avuto conferma che mai Grillo darà appoggio a governi-ponte. Ma perfino nel caso in cui la corsa alle urne fosse bloccata dal Quirinale, Berlusconi si dice pronto ad attendere in riva al fiume, tanto si voterà lo stesso tra breve... Inutilmente gli fanno notare che il suo nome verrebbe depennato dalle liste, casomai volesse ricandidarsi a dispetto della legge Severino; che l’eventuale ricorso alla giustizia amministrativa avrebbe poche speranze di essere ammesso; che nel frattempo sul suo capo pioverebbero nuove tegole giudiziarie, aggravate proprio dall’offensiva contro i magistrati. Al momento, il tono dell’umore è quello che chiaramente fa intendere il fervorino via telefono ai militanti Pdl di Bellaria: «Andate avanti con coraggio, io resisto. Non vi farò fare assolutamente brutte figure. Prepariamoci al meglio». O al peggio, chi lo sa.
Nel suo mirino finirà Magistratura democratica, demonizzata come se fosse un potere occulto o, peggio, un gruppo eversivo: Berlusconi presenterà se stesso quale vittima di quella corrente, addirittura come un martire idealmente accomunato nella persecuzione all’altro personaggio che provò a difendersi in Parlamento con un «j’accuse» a 360 gradi, cioè Bettino Craxi. I più anziani evocheranno paragoni con altri discorsi, cominciando da quello che Benito il Duce pronunciò al teatro Lirico di Milano prima di Salò e di Piazzale Loreto. Ma comunque sempre di crepuscoli fiammeggianti si tratta, non certo di mesti congedi dalla politica come quello cui si acconciò Forlani, citato quale buon esempio da Napolitano in quanto seppe scontare con umiltà e in silenzio la condanna ai servizi sociali. Perché a far uscire di senno il Cavaliere è proprio la prospettiva che vent’anni di dominio sulla scena italiana e di celebrità mondiale possano essere archiviati «con una sentenzina burocratica» della Cassazione, ai suoi occhi indegnamente chiamata a fare da spartiacque tra il prima e il dopo Berlusconi...
Ma più dei toni apocalittici cui Silvio farà ricorso in Senato, conterà il momento prescelto. Nei piani di guerra tracciati ad Arcore, in una solitudine del leader che solo le telefonate dei fedelissimi Verdini, Mantovani e Bonaiuti riescono a spezzare, l’intervento in aula dovrebbe cadere subito dopo il voto della Giunta per le elezioni: quello che deciderà se il condannato a quattro anni di carcere (nove mesi effettivamente da scontare) dovrà essere messo alla porta del Parlamento per effetto della legge Severino contro la corruzione. Tutto fa ritenere che andrà in questo modo. E per quanto tra le «colombe» Pdl ci sia chi si batte per un rinvio del verdetto, il 9 settembre sembra praticamente certo che la Giunta chiederà all’aula di sancire con un voto delle sinistre, di Scelta civica e dei grillini la decadenza del senatore Berlusconi. Una sua reazione di quel tenore, così sfrontato e senza un briciolo di «mea culpa», renderà incolmabile la distanza, insostenibili le larghe intese. Le dimissioni dei ministri Pdl sono date per inevitabili dagli stessi diretti interessati.
Che cosa pensi di ottenere l’uomo da una crisi così autoreferenziale, non risulta ben chiaro sul Colle (dove tutta questa nevrosi appare irragionevole e irresponsabile), ma nemmeno è ben compresa da chi sente il Cavaliere due volte al dì. Pare voglia ottenere le elezioni nella speranza di vincerle, anche se sa che Napolitano mai gliene concederà la chance, piuttosto si dimetterà da Presidente lasciando al successore la firma sotto il decreto di scioglimento delle Camere. Santanché, reduce da otto ore trascorse sabato ad Arcore, ieri ha sfidato apertamente il Colle, «sono un po’ pentita di avere votato Napolitano, avrei preferito financo Prodi».
Sostengono i «falchi» Pdl di avere sondato i Cinque Stelle e di averne avuto conferma che mai Grillo darà appoggio a governi-ponte. Ma perfino nel caso in cui la corsa alle urne fosse bloccata dal Quirinale, Berlusconi si dice pronto ad attendere in riva al fiume, tanto si voterà lo stesso tra breve... Inutilmente gli fanno notare che il suo nome verrebbe depennato dalle liste, casomai volesse ricandidarsi a dispetto della legge Severino; che l’eventuale ricorso alla giustizia amministrativa avrebbe poche speranze di essere ammesso; che nel frattempo sul suo capo pioverebbero nuove tegole giudiziarie, aggravate proprio dall’offensiva contro i magistrati. Al momento, il tono dell’umore è quello che chiaramente fa intendere il fervorino via telefono ai militanti Pdl di Bellaria: «Andate avanti con coraggio, io resisto. Non vi farò fare assolutamente brutte figure. Prepariamoci al meglio». O al peggio, chi lo sa.
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