Chi avrà suggerito a un omino riservato come Renzi di tenere un comizio dentro una chiesa, all’insaputa del parroco e del Padreterno, l’unico candidato che il Pd avrebbe qualche probabilità di fare eleggere nei collegi a nord di Bologna con la nuova legge elettorale? Sceso dal treno con cui sta battendo l’Italia alla ricerca dei voti perduti, don Matteo è apparso sull’altare della basilica di Paestum, teoricamente riservata a un evento di turismo archeologico. E, indossando giacca e maglioncino da monsignore in trasferta, ha commentato con i fedeli alcuni passi del vangelo secondo De Luca, il governatore simbolo di temperanza che sedeva nella prima fila di banchi, di solito riservata alle vecchine. Lo avesse fatto l’Unto del Signore, suo futuro alleato, non si sarebbe parlato d’altro per tre giorni, fino a resurrezione avvenuta. Ma neppure i democristiani della Prima Repubblica si erano spinti a tanto. Quella era gente che in chiesa ci andava nel tempo libero per parlare con Dio e, sotto elezioni, col prete.
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Mai, però, al posto del prete. L’unico precedente autorevole rimane Cetto Laqualunque. Chissà che cosa avrà convinto il profugo di palazzo Chigi a scacciare i mercanti (di Bankitalia?) dal tempio per occuparlo con la forza di mille ex boy scout. Potrebbe trattarsi di una vocazione tardiva. Accettata con cristiana sopportazione l’impossibilità di tornare al governo, don Matteo sente il richiamo di una nuova missione. Rottamare la Curia, introdurre il culto di Maria Elena Addolorata e dare 80 euro di elemosina a ogni chierichetto, con l’esclusione di Orfini, che tanto li perderebbe. Papa Francesco, stai sereno.
26 ottobre 2017 (modifica il 27 ottobre 2017 | 12:18)
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