Invasi l‘Irak e l’Afghanistan, sostenuti gli alleati nell’aggressione a Libia e Yemen, provocate insurrezioni in Ucraina e in Siria, imprese finite in impantanamenti con milizia poco fidate, e noi crediamo di capire che la superpotenza sia in declino, visto che non vince mai…”Ma non sarà che l’impantanamento sul campo di battaglia sia nell’interesse degli Stati Uniti più che la vittoria? Il complesso militare-industriale guadagna da queste guerre interminabili”: è la conclusione a cui arriva – finalmente – un musulmano, Asad Durrani.
Il curriculum di Durrani è di tutto rispetto. Nato a Lahore Pakistan nel ’41, generale, formatore di ufficiali nella Military Academy, nel 1975 ha seguito il corso di stato maggiore alla Führungsakademie della Bundeswehr a Amburgo; attaché militare a Bon (980-84), è nominato poi capo dei servizi segreti militari del Pakistan e dal 1990, direttore del potente “Inter-Services Intelligence” (ISI), l’organo che, in stretta collaborazione strategica con la CIA, ha – fra l’altro – creato i talebani per combattere i sovietici in Afghanistan. Del jihadismo fanatico è uno degli artefici e conoscitori, insomma; ed è stato anche un “amico” degli americani nelle operazioni più inconfessabili. Ha finito la carriera militare come ispettore generale della formazione comandando l’Accademia militare del Pakistan. Poi è stato ambasciatore a Bonn (2000-2002) e in Arabia Saudita; dal 2006 al 2008 è stato ambasciatore in Usa...
“Nel maggio 2006”, scrive con undersatement il Durrani, “ho conosciuto un generale americano a riposo che era divenuto direttore di una società militare privata che era stata incaricata di addestrare l’esercito afghano. Si sa bene che queste compagnie private forniscono spesso alle reclute una cattiva formazione allo scopo di prolungare i loro contratti. Del resto alcuni di noi sanno che nessun esercito, né afgano né il più potente, può garantire la stabilità di un paese che può essere raggiunta solo per consenso tribale. Ovviamente i miliardi di dollari stanziati per “aiuti militari” consentono dei bei profitti. La metà degli 8 miliardi di dollari degli aiuti offerti a Kabul va anzitutto agli attori militari.
“E le armate mal formate sono una pacchia per costoro. Indovinate chi aveva “addestrato” le truppe irachene che si sono disintegrate davanti all’attacco dello “Stato Islamico”. La lobby bellicista era entusiasta; scontenta della decisione di Obama nel 2011 di ritirare le ruppe dall’Irak, l’industria dell’armamento ha ritrovato la sua euforia quando la comparsa di Daesh ha obbligato a ridispiegare le truppe. Nel 2014,in una conferenza, certi esponenti afghani e americani espressero la loro gratitudine per Bagdhadi [il capo dell’IS]. Che sollievo! Avevano scongiurato il prossimo ritiro della NATO dall’Afghanistan! Chi non capisce come mai le grandi potenze occidentali non riescono a battere lo Stato Islamico, ora può rispondersi.
E questo è niente in confronto ai profitti e mazzette di vendite di armi occidentali al mondo arabo. Gli stati del Golfo non hanno né le capacità intellettuali né i mezzi reali per usare armi troppo moderne acquistate a miliardi di dollari. Se il loro possesso ha spinto i sauditi a bombardare i miseri yemeniti, i veri vincitori sono i mercanti di morte che hanno mantenuto aperta e ben lubrificata la catena di rifornimento e manutenzione.
[…] quando un conflitto è lanciato, si sviluppa da solo; non occorre intervenire, se non per soffocare ogni tentativo di farlo finire; e questo è il gioco degli Stati Uniti.
[…] L’offerta dei talebani di riconciliarsi col regime di KArzai nel 2002 è stata rifiutata dal Pentagono, che allora aveva pieni poteri a Kabul. Da allora in poi vari tentativi di arrivare alla pace sono stati sabotati dagli Stati Uniti; ultimo, nel maggio 2016, l’assassinio di Mullah Mansur, la persona che aveva mandato i delegati talebani a colloqui di pace a Doha. Il fato che ciò sia accaduto solo quattro giorni dopo la decisione del Quartetto afgano di rilanciare i negoziati di pace, non è un caso e non lascia alcun dubbio sulle intenzioni dei colpevoli. Gli sforzi del Pakistan di negoziare coi militanti delle proprie zone tribali sono stati ugualmente sabotati. Il comandante Nek Muhammad, con cui il nostro governo aveva fatto un accordo nel 2004, è stato la prima vittima di un attacco americano per drone. Nel 2006, lo stesso giorno in cui la nostra missione di pace doveva rendere parte a una jirga nel Bajaur, novanta bambini son stati uccisi in un altro attacco americano con drone su una madrassa locale. Si tratta di mantenere il caos….”.
Il resto del testo di Durrani lo lascio al volonteroso lettore.
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