di Giacomo Gabellini
Lo scorso 16 marzo, il colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta militare nigerina che nel luglio del 2023 aveva deposto il presidente Mohamed Bazoum, ha annunciato la revoca immediata dell’accordo che autorizzava lo stazionamento di personale statunitense sia civile che militare nel Paese. Conformemente all’intesa, siglata nel 2012, gli Stati Uniti avevano schierato nelle basi 101 (contigua all’aeroporto di Niamey) e 201 (situata nel centro del Paese e soggetta a una recente opera di ristrutturazione costata al Pentagono circa 100 milioni di dollari) circa 1.100 miliari oltre ad aerei da trasporto C-130J e droni Mq-9 Reaper in funzione di intelligence e contrasto al terrorismo, perpetrato nell’area del Sahel dai gruppi jihadisti connessi allo Stato Islamico e ad al-Qaeda.
Significativamente, la decisione del governo di Niamey fa seguito a una serie di incontri diplomatici con una delegazione statunitense composta dall’alto funzionario del Dipartimento di Stato preposto agli affari africani Molly Phee, dall’assistente del segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale Celeste Wallander e dal generale Michael Langley, a capo dell’African Command (Africom) del Pentagono. I colloqui si erano concentrati sulla situazione politica nigerina, con particolare riferimento agli scenari che vanno delineandosi per effetto degli accordi di cooperazione raggiunti dalla giunta militare con Mali e Burkina Faso. Vale a dire due Paesi che erano stati interessati da colpi di Stato culminati con la marginalizzazione della ingombrante presenza francese e l’avvicinamento alla Russia, soprattutto in materia di anti-terrorismo e sfruttamento dei locali giacimenti minerari.
Il Niger stava seguendo una traiettoria sostanzialmente analoga, come si evince dall’accordo di cooperazione militare con una delegazione russa guidata dal viceministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov stipulato da Niamey in seguito all’espulsione dell’ambasciatore e delle 1.500 forze francesi stanziate presso le basi di Ouallam e Ayorou. Parallelamente, le autorità nigerine hanno provveduto alla denuncia dell’intesa raggiunta nel 2012 con Bruxelles dall’allora presidente Bazoum, che aveva portato al dispiegamento nel Paese di Eucap Sahel, una missione composta da circa 130 gendarmi e agenti di polizia forniti dagli Stati appartenenti all’Unione Europea.
Contestualmente al riorientamento in atto, il Niger ha seguito le orme del Mali, disponendo di concerto con il Burkina Faso il ritiro dalla forza congiunta G-5 Sahel, istituita nel 2014 grazie ai fondi europei per affinare il coordinamento nella lotta al terrorismo, e costituendo assieme ai due interlocutori l’Alleanza degli Stati del Sahel. Grazie al loro supporto, il Niger ha resistito alla pressione dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale guidata dalla Nigeria ed egemonizzata dalla Francia che in seguito al golpe condotto dai militari nigerini aveva minacciato un intervento militare per riportare al potere Bazoum e imposto sanzioni. Misure punitive particolarmente pesanti, implicanti la chiusura delle frontiere, la sospensione della fornitura di energia elettrica, l’embargo sui prodotti alimentari e farmaceutici, il sequestro dei beni finanziari detenuti dalla Banca Centrale nigerina presso istituzioni dell’Ecowas. «Per questo motivo e, in consultazione con Mali e Burkina Faso, abbiamo deciso di uscire dall’Ecowas», ha spiegato il primo ministro Ali Mahanan Lamine Zeine in un’intervista rilasciata a «Repubblica» (la prima a un mezzo di comunicazione occidentale).
Lo scioglimento del G-5 Sahel, accettato da Mauritania e Ciad in conseguenza del ritiro di Mali, Niger e Burkina Faso, scaturisce dai magrissimi risultati ottenuti dall’organizzazione in materia di stabilizzazione regionale e riflette il tramonto dell’egemonia francese sull’area, divenuta ormai una delle principali direttrici di penetrazione russa.
Mentre le forze europee procedevano con la smobilitazione, Yevkurov veniva infatti ricevuto direttamente dal generale Abdourahamante Tian, a capo della giunta al potere, per sottoscrivere documenti in cui si sottolineava la necessità di espandere e approfondire la cooperazione militare, nonostante la Russia non disponesse fino a quel momento nemmeno di un’ambasciata in territorio nigerino.
La decisione di Niamey di legarsi a Mosca è stata indubbiamente influenzata dai successi conseguiti dalle truppe e i contractor russi inquadrati nella Wagner e in altre compagnie di sicurezza private impegnate a supporto dell’esercito maliano nella riconquista dei territori controllati dai ribelli Tuareg e dai gruppi jihadisti. Ma risulta altrettanto favorita dalla immancabile ingerenza degli Stati Uniti, che per tramite portavoce del Dipartimento della Difesa Sabrina Singh non hanno mancato di esprimere “preoccupazione” riguardo ai rapporti sempre più stretti che la giunta militare stava intessendo con Mosca, oltre che con Teheran. Per tutta risposta, il colonnello Abdramane ha evidenziato che la mancata comunicazione a Niamey circa la composizione della delegazione statunitense e la data del suo arrivo configurava una conclamata violazione del protocollo diplomatico. Ed ha aggiunto senza mezzi termini che «il Niger deplora l’intenzione degli americani di negare al Paese il diritto sovrano di scegliere i propri partner e la partnership in grado di sostenerlo nelle operazioni di contrasto al terrorismo. Denuncia inoltre l’atteggiamento di condiscendenza, accompagnato dalla minaccia di rappresaglie, da parte della delegazione americana nei confronti del governo del Niger e della popolazione del Paese». Dal momento che l’accordo originario del 2012, su cui si fonda la legittimità della presenza statunitense in Niger, era stato imposto unilateralmente, ha aggiunto Abdramane, lo stazionamento delle forze Usa all’interno del Paese è da considerarsi illegale. Ne consegue che «il governo del Niger revoca con effetto immediato l’accordo sullo status del personale militare e dei dipendenti civili del Pentagono nel territorio del Niger».
Lo sforzo profuso da Washington di normalizzare le relazioni con il Niger in seguito alla presa del potere da parte della giunta militare, preservare l’influenza statunitense nel Paese e scongiurarne lo scarrellamento verso l’orbita russa si è quindi rivelato fallimentare. Lo smacco è cocente, poiché, osserva «al-Jazeera», «il Niger è il centro delle operazioni statunitensi nell’Africa occidentale e settentrionale; in particolare la base aerea 201, il progetto di costruzione più costoso mai intrapreso dal governo degli Stati Uniti. Il suo scopo ufficiale riguarda il contrasto alle operazioni terroristiche, ma in realtà consiste nell’ampliare la proiezione di potenza contro Paesi come Russia e Cina».
Il 18 marzo, il governo nigerino si è congratulato con Vladimir Putin per la schiacciante vittoria ottenuta nelle elezioni presidenziali. Interpellato da «Repubblica» il mese successivo in merito alle rimostranze occidentali nei confronti delle “ingerenze russe” nel Sahel, il premier nigerino ha rivendicato la piena legittimità del proprio operato, chiarendo che «non spetta ad altri dirci con chi dovremmo o non dovremmo stare. I Paesi cooperano liberamente fra loro, secondo i loro interessi». Conformemente agli impegni presi, istruttori militari russi sono arrivati a Niamey con il compito di addestrare ed equipaggiare l’esercito nigerino e installare un sistema di difesa anti-aerea. Secondo «Analisi Difesa», «non è ancora chiaro quale sistema di difesa aerea verrà gestito dai consiglieri militari russi in Niger ma potrebbe trattarsi dei Pantsir S-2 già in dotazione alle forze armate libiche (Lna del generale Khalifa Haftar) algerine ed etiopiche: in ogni caso i sistemi russi costituiranno il primo embrione di difesa aerea missilistica della nazione africana».---
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