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martedì 22 febbraio 2022

LE INTERVISTE DI BYOBLU - Manlio Dinucci & Giorgio Bianchi:" Donbass, indipendenza a caro prezzo".

 

Nell’intervista di Byoblu24 agli ospiti, Manlio Dinucci (giornalista e geografo) e Giorgio Bianchi (fotoreporter e documentarista) entrambi esperti della questione Donbass, si è analizzato lo scenario internazionale alla luce della decisione del Presidente russo. 

PIAZZA MAIDAN E I SEPARATISTI

Nel 2014 in quella regione iniziò un conflitto tra indipendentisti e governo ucraino che ha causato finora migliaia di morti. 
Di fatto la Repubblica popolare di Donetsk è uno Stato a riconoscimento limitato, proclamato il 7 aprile del 2014. Così anche il territorio di Luhansk si è autoproclamato repubblica indipendente poche settimane dopo.  La spinta secessionista arrivò a seguito dei fatti di piazza Maidan a Kiev, dove le proteste popolari avevano visto cecchini sparare dai tetti sui manifestanti. Quell’incredibile episodio, avvenuto tra il 18 ed il 20 febbraio del 2014, costò la vita ad almeno 100 persone e venne attribuito in un primo momento al governo in carica provocando la cacciata del Presidente filo russo Viktor Yanukovich. Alcune intercettazioni emerse rivelarono poi che la strage sarebbe stata compiuta da cecchini agli ordini della nuova coalizione filo-occidentale, come confessarono gli stessi autori materiali.


Per i territori a maggioranza russa della Crimea e del Donbass la deposizione del presidente fu un segnale forte di pericolo di pulizia etnica che li spinse a proclamare dei referendum per rendersi indipendenti dall’Ucraina. 
 

GLI ACCORDI DI MINSK

Con gli accordi di Minsk del 2014 si cercò di porre un freno alla guerra scoppiata nelle regioni separatiste del Sudest. Si prevedeva lo scambio dei prigionieri causati dai cinque mesi di conflitto, ritiro delle armi pesanti, aiuti umanitari e un certo grado di autonomia per le regioni del Donbass. Gli accordi non ressero alle frequenti violazioni da entrambe le parti e richiesero una ulteriore tornata di colloqui di pace nel 2015, sempre a Minsk, con la partecipazione attiva dei leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina. In questo accordo si prevedeva una fascia di sicurezza larga dai 50 ai 140 km e tra i vari punti anche il ritiro di tutte le formazioni armate straniere, inclusi i mercenari, e dei veicoli militari. Le eventuali elezioni ed il cambio della costituzione ucraina per garantire ampia autonomia ai russofoni ucraini è rimasta però un’opera incompiuta.

La decisione unilaterale della Russia di riconoscere in pieno l’indipendenza e la sovranità delle repubbliche del Donbass è stata letta dalla comunità internazionale come una violazione degli accordi di Minsk. 

L’UCRAINA E LA NATO

Le frizioni geopolitiche tra l’Ucraina e la Russia devono essere lette in chiave militare tra la Nato e la Russia, dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia. La Russia si sente minacciata dall’espansione della NATO ad oriente che si rinforzerebbe con l’eventuale adesione dell’Ucraina, lambendo ulteriormente i confini russi. 

L’Ucraina di Volodymyr Zelenskyj spinge per l’ingresso nell’Alleanza Atlantica, e cercherà di ottenerlo a tutti i costi, supportata, o forse fomentata, dagli Stati Uniti del Presidente Jo Biden.
Le richieste del comico ora Presidente Zelenskyj di una roadmap chiara e fattibile sembra non saranno ascoltate tanto facilmente, almeno in condizioni normali, perché ciò comporterebbe per i Paesi europei mettersi di traverso definitivamente nei rapporti con la Russia.
Certo, ci fosse un pretesto forte, una pistola fumante, o una simbolica boccetta di “antrace” da agitare all’Onu, forse le cose cambierebbero. Ma a quale prezzo per l’Europa e soprattutto per la Germania e l’Italia? 

GERMANIA E ITALIA DIPENDONO DAL GAS RUSSO

Germania ed Italia infatti sono tra i Paesi che maggiormente dipendono dal gas russo per soddisfare i propri fabbisogni energetici. In un recente articolo del New York Times viene analizzata la situazione dal punto di vista delle forniture di gas chiarendo come un conflitto genererebbe “onde d’urto” in tutta Europa. In effetti è chiaro come sia diminuito negli ultimi mesi il consumo di gas russo a favore di una crescita di quello liquefatto (LNG) importato con le navi metaniere dagli Usa. 

La dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia e dunque i gasdotti sono visti come fumo negli occhi dall’amministrazione USA, che vede in ciò una eccessiva influenza del Cremlino.

L’annuncio da parte del cancelliere tedesco Olaf Scholz di congelare l’autorizzazione al progetto del raddoppio del gasdotto Nord Stream2 getta un’ombra autolesionista sul futuro energetico europeo. Che sia una svolta verso il nucleare oppure la linea dura voluta dagli USA servirà a dirottare maggiormente sulla loro offerta di gas?
Di certo c’è il maggior costo che l’Europa pagherà per approvvigionarsi di gas via nave e/o per procurarsi il petrolio che servirà a compensare il deficit di gas. Già ora il prezzo del barile si aggira intorno ai 95$ come non capitava dal 2014 e i 100$ sono considerati come un orizzonte possibile.

L’ONU E LE ULTIME DICHIARAZIONI

Mercoledì 24 febbraio è prevista la discussione all’Assemblea Generale dell’ONU dove parlerà il ministro degli esteri Dmytro Kuleba come previsto, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riunitosi nella notte è stato fondamentalmente un lungo elenco di annunci di sanzioni contro la Russia.
La situazione è in evoluzione, intanto carri armati russi sono stati avvistati nei territori del Donbass. In serata, a meno di 24 ore dal riconoscimento delle due Repubbliche secessioniste, Putin ha dichiarato che “gli accordi di Minsk non esistono più“.
Se non si riuscirà a distendere il clima, molti avranno da perdere da questa situazione di conflitto e l’Italia sarà tra i primi.

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