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mercoledì 25 novembre 2020

A CHI GIOVA IL LOCKDOWN?..... di Luigi Copertino Luigi Copertino 24 Novembre 2020

 


    


A CHI GIOVA IL LOCKDOWN?

Il potere finanziario è autorefenziale perché crea moneta dal nulla in modo che il denaro generi altro denaro senza alcuna connessione con la produzione reale ovvero svincolando quanto più possibile lo strumento monetario dal servizio all’economia reale e, così, consentire a coloro che sono padroni dei meccanismi della monetazione e del credito di arricchirsi senza lavorare. La finanza autoreferenziale, intrinsecamente distruttiva e nichilista, è fondata sulla rendita procurata dall’interesse sulla moneta creata ex nihilo. E’ esattamente con questa promessa che il rosacruciano William Paterson allettò i suoi soci della Bank of England nel 1694. Una rendita parassitaria, un profitto disonesto.

L’attuale lockdown mondiale è una gogna deflattiva imposta all’economia reale allo scopo di evitare il tracollo della finanza speculativa. Stati, imprese e famiglie immobilizzati mediante la paura del virus indotta, oltre ogni reale misura effettiva del pericolo, nell’interesse dei grandi creditori globali ossia dei fondi di investimento, degli hedge fund et similia. Questa tesi, condivisibile, non è affatto peregrina alla luce della storia della moneta e dello sviluppo della finanza. Nel link, qui postato, è possibile accedere a maggiori informazioni sulle finalità deflattive dell’attuale lockdown per scoprire qual è il disegno elaborato dalla élite finanziaria globale, il disegno che si nasconde dietro l’annunciato Great Reset ed il proclamato Green New Deal.

https://scenarieconomici.it/i-lockdown-economici-per…/…

La finanza è una sovrastruttura rispetto all’economia produttiva. La vertigine della speculazione finanziaria ormai non è più sostenibile perché ha raggiunto picchi al tal punto stratosferici che le élite ne temono la caduta vertiginosa. Le stesse élite finanziarie temono però anche che per uscire da questo abisso sia scelta la via inflattiva. Ciò che, infatti, potrebbe salvare l’umanità dall’apocalisse finanziaria è l’inflazione. Essa è segno di circolazione della moneta nell’economia reale e quindi di vitalità del sistema produttivo. Un sistema produttivo vitale è in grado di ripagare il debito accumulato. Una volta saldati i debiti, con un po’ di politica accortezza, si potrebbero porre le basi per una riforma globale del sistema finanziario in modo da tagliare alla radice il male della speculazione. Gli strumenti ci sono e sono già stati sperimentati in passato, ad iniziare da norme come il Glass Steagall Act statunitense del 1933 o la Legge bancaria italiana del 1936. Si tratta solo di aggiornare, alla nuova dimensione digitale, dette normative riprendendone lo spirito volto a proteggere l’economia produttiva dai falchi della speculazione finanziaria.

Se tenuta sotto controllo, in limiti sostenibili, e guidata verso obiettivi di produttività, l’inflazione non è un male. Essa, infatti, lungi dal dipendere dalla quantità di liquidità immessa in circolazione, ha cause plurime e diverse. Una delle quali è lo squilibrio tra domanda ed offerta. La tesi che considera la moneta una merce è errata tanto storicamente quanto economicamente. La moneta non è una merce sicché essa non perde valore, che nel suo caso è il potere d’acquisto, quando ce ne è troppa – così infatti accade per le merci – ma quando allo stimolo da essa indotto alla domanda, perché chi possieda moneta tende a spenderla, non corrisponde una offerta adeguata. Solo quando si crea uno squilibrio tra domanda ed offerta si corre il rischio dell’iper-inflazione con distruzione del potere d’acquisto. Questa distruzione, tuttavia, non avviene per deprezzamento di un presunto valore intrinseco della moneta – che quella moderna cartacea o digitale ha men che mai – bensì per l’aumento dei prezzi causato dalla rarefazione dei beni sul mercato a fronte di una alta domanda stimolata da una grande disponibilità di moneta.

Il fatto rilevante, al fine di comprendere i timori attuali dell’élite finanziaria, è però un altro. L’inflazione, mentre avvantaggia i debitori, è uno svantaggio per i creditori, perché riduce il valore dei loro asset monetari e quasi-monetari ossia creditizi. Per questo le élite finanziarie, i grandi speculatori globali, hanno indotto governi e parlamenti, in genere ignari dei meccanismi finanziari, al blocco deflattivo dell’economia produttiva. Se l’inflazione è il riscaldamento, necessario fino a che non diventa surriscaldamento, la deflazione è il raffreddamento, il ghiacciamento, dell’economia. In uno scenario deflattivo il potere d’acquisto monetario aumenta perché l’assenza di domanda fa crollare il prezzo dei beni e questo contestualmente innalza il valore della moneta sicché con uno stesso somma monetaria nominale si acquistano più beni. La continua discesa dei prezzi in contesto deflattivo non è però una cosa buona perché indica l’incapacità delle imprese, per assenza di domanda, a piazzare la produzione sul mercato, con conseguente contrazione dei profitti e quindi fallimenti, licenziamenti ed esplosione della disoccupazione e della miseria. In un tale contesto, tuttavia, il valore non solo della moneta legale ma anche degli asset creditizi, bancari e finanziari, ossia della moneta e quasi moneta disponibile e concentrata in poche mani, non diminuisce. Anzi può persino aumentare. E fino a quando gli asset finanziari non subiscono deprezzamenti e quindi non viene meno la fiducia, ovvero non si scatena il panico – come accadde nel grande crack del 1929 e come è accaduto nella crisi del 2008 –, non si corre alcun rischio di innesco della catena di riscossioni insolventi che farebbe crollare immediatamente la piramide virtuale messa in piedi dalla finanza.

In una economia nella quale ha un peso enorme il mercato dei titoli derivati, ossia in un’economia finanziarizzata ovvero egemonizzata dalla finanza, la base materiale, il collaterale di garanzia, si allontana sempre più dal vertice della piramide virtuale fino a dileguarsi. Emarginata la base reale dell’economia, quel che resta è un grande castello di carta che, oggi, si è ormai trasformato in una rete virtuale di input elettronici avendo il processo di dematerializzazione effettuato il passaggio dalla carta al digitale.

Si può parlare, a proposito dell’itinerario di smaterializzazione della moneta, di degenerazione di una “invenzione” che ha permesso progressi non indifferenti alla crescita economica dell’umanità ma che è purtroppo nata sotto lo stigma della truffa speculativa. Ci riferiamo alla comparsa della moneta cartacea che, storicamente, è lo sviluppo della medioevale lettera di cambio, di emissione bancaria, la quale a partire dal XVII secolo è diventata moneta legale grazie all’avvallo statuale, all’imprimatur dei sovrani. Questi ultimi, infatti, allo scopo di indurre fiducia da parte della popolazione nella “cartamoneta” che facilitava l’indebitamento sovrano ossia l’aumento della liquidità a disposizione dei regnanti per le loro guerre, hanno assunto il ruolo di garanti di ultima istanza per le Banche d’emissione, accreditando presso il pubblico la favola della integrale copertura aurea della massa cartacea in circolazione. In altri termini i sovrani si accordarono con i banchieri “nazionali” – antesignani degli attuali banchieri centrali – per garantire, con la loro autorità politica “consacrata”, la costante e perenne solvibilità delle banche di emissione, anche se la misura effettiva dei depositi aurei era ben lungi dall’assicurare l’eventuale contemporanea conversione di tutta la moneta cartacea in circolazione.

La moneta moderna, dunque, nasce come un titolo rappresentativo fittizio, falso. Ed è questo il suo peccato originale. Un peccato che poi ne ha originati altri con lo stesso meccanismo. Infatti con un procedimento analogo anche le banche ordinarie, non solo quelle centrali, creano moneta ex nihilo ogni volta che accendono prestiti. L’obbligazione del beneficiario di un prestito bancario viene contabilizzata, dalla banca, all’attivo a copertura della somma creata dal nulla, ossia senza preventivo deposito di una eguale somma, e poi prestata e posta al passivo. L’obbligazione debitoria, nel momento della contrazione del mutuo, non è affatto moneta perché lo diventerà successivamente all’atto del rimborso. Ma intanto, una volta concesso, il prestito circola nell’economia come fosse moneta perché sul fido bancario gli imprenditori spiccano assegni ovvero, oggi, ordini informatici per il pagamento dei salari e delle fatture dei loro fornitori. Le banche creano dal nulla la loro quasi-moneta prestandola ma nessuno solleva il problema etico di questa prassi: è morale prestare il nulla e lucrare profitti reali su di esso? Una prassi sulla quale, invece, gli Stati dovrebbero esercitare un forte controllo pubblico affinché essa non si svolga a danno di imprese e famiglie, soprattutto mediante la speculazione sui tassi di interesse.

Con modalità ancora più virulente, con un procedimento simile al meccanismo di creazione monetaria dal nulla sono nati i cosiddetti “contratti derivati”, che in origine erano contratti di assicurazione. Sono così chiamati perché, appunto, derivano da un altro contratto “sottostante”. I derivati, però, un po’ alla volta hanno subito un processo di autonomizzazione dal sottostante per essere commercializzati come titoli a sé stanti. In tal modo il loro valore è diventato sempre più indipendente dalle dinamiche dell’economia reale. Si è così realizzato un mercato finanziario che, sostanzialmente, è un grande casinò virtuale dove vengono quotidianamente effettuate continue scommesse d’azzardo in un gioco rischiosissimo capace anche di bruciare all’istante miliardi di miliardi di valore. Come accade quando le cosiddette “bolle speculative”, gonfiate all’inverosimile, esplodono o si afflosciano su sé stesse, innescando il crollo del valore delle azioni e delle obbligazioni statuali o industriali (che sono anch’essi titoli virtuali) con sicura rovina per l’economia reale sottostante. Ecco perché ogni tanto, come per una pentola a pressione che necessita di una valvola di sfogo, sono necessarie crisi economiche per non far saltare per aria il sistema. Il fatto è che queste crisi non sono pagate dalla finanza speculatrice ma dall’economia reale, ossia dagli Stati, dalle imprese e dalle famiglie.

C’è, però, una questione da considerare per fugare ogni nostalgia romantica del bel tempo antico ed ogni tentativo di ritorno alla monetazione o alla copertura aurea, come vorrebbero gli ingenui metallisti, ignari seguaci dei “viennesi” e dei “monetaristi” nonché compagni di strada dei pauperisti della “decrescita felice” (1).

Se il sistema criminale della moneta-debito è riuscito ad imporsi c’è un motivo ben preciso ed esso rappresenta il lato “positivo” della truffa speculativa che storicamente è alle radici della moneta fiat, ossia creata dal nulla. Il passaggio alla carta moneta nel XVII secolo – nel secolo che gli storici chiamano della “Rivoluzione finanziaria” senza della quale nel successivo non ci sarebbe stata la Rivoluzione industriale – ha consentito all’umanità il superamento di quella sorta di deflazione naturale provocata dalla consistenza aurea, argentea o di altro metallo prezioso, della coniazione monetaria che, fino a quel momento, aveva posto gravi limiti di liquidità. L’oro, l’argento, o l’altro metallo prezioso, sono in natura rari e quindi non si poteva disporre del quantitativo sufficiente di liquidità necessaria allo sviluppo dell’economia reale e quindi anche alla crescita sociale. Tra le cause della povertà endemica del mondo antico bisogna annoverare anche la deflazione naturale per rarità aurea. La stessa che spingeva i sovrani, onde ottenere maggior liquidità, a tagliare, nella coniazione, l’oro con metalli meno preziosi ma anche meno rari. Non si trattava di una truffa o di un comportamento immorale ma del tentativo di ampliare la base monetaria disponibile (2). Lo Stato accettava, in adempimento degli obblighi fiscali, soltanto la moneta metallica da esso coniata. La monetazione cartacea, sviluppatasi, come si è visto, dalla prassi bancaria della lettera di cambio nei rapporti tra privati, finì per imporsi perché consentiva di superare l’atavico limite della rarità dell’oro e, quindi, la perenne situazione di deflazione naturale. Purtroppo questo passaggio storico avvenne in un contesto speculativo inteso ad indebitare gli Stati ed i popoli sicché una “invenzione” dell’intelligenza umana che avrebbe potuto essere benefica nacque come strumento di esercizio di un potere usurocratico a vantaggio della übris di ristrette élite bancarie.

Va osservato, a completezza del discorso, che neanche la moneta aurea era una merce. Le origini della monetazione sono pre-mercantili e sacrali. Lo stesso uso di metalli simbolicamente connessi al divino ed alla regalità (oro e argento) ne è testimonianza. La moneta nacque, agli albori della storia, come un oggetto di offerta votiva o, presso i grandi imperi del mondo antico ad economia agricola, come segno numerico per la contabilizzazione, nelle tavole di terracotta che svolgevano la funzione di registri contabili, delle partite di derrate alimentari immagazzinate nei templi per far fronte alle ricorrenti carestie. Il suo uso commerciale è un fatto di molto successivo alla sua comparsa. Le nostalgie dell’oro, di solito, non tengono conto del fatto che, tornando alla monetazione aurea o alla copertura aurea della moneta fiat o imponendo alle banche di accendere prestiti solo dopo aver preventivamente raccolto i depositi, quel che si otterrebbe è soltanto una deflazione che ghiaccerebbe l’economia per il vantaggio degli accumulatori di oro o di titoli bancari.

La deflazione ha anche un altro effetto ossia favorisce la concentrazione delle risorse finanziarie. Anche nei regimi moderni a moneta fiat o postmoderni a moneta virtuale. Per questo, come si è detto all’inizio di queste considerazioni, essa è il mezzo mediante il quale la finanza speculativa globale, cresciuta attraverso i meccanismi e le dinamiche storiche della monetazione e del credito ed ormai padrona assoluta, in assenza dello Stato, di detti meccanismi, conserva attualmente inalterato, o aumenta, il valore virtuale dei suoi asset “derivati” a danno dell’economia reale.

Onde liberare l’umanità da questa gogna è necessario sottoporre la finanza ad un sistema di rigide regole che la costringano a funzionare a vantaggio, e non a danno, dell’economia reale, imponendo ai banchieri un perimetro invalicabile nel quale il loro ruolo sia non di sfruttamento ma di servizio ai produttori, come ad esempio si tentò di fare agli albori della modernità attraverso i monti di pietà francescani la cui funzione era quella di sovvenzionare artigiani e contadini senza tassarli mediante l’indebitamento a scopo di lucro usuraico e di rendita parassitaria. Si tratta di creare, come sostiene Giulio Tremonti, un nuovo “legal standard” che faccia funzionare moneta e credito secondo principi sani per una economia sana. Ma per fare questo è necessario che il Politico torni a prevalere sull’Economico e che gli Stati tornino a controllare moneta e credito riterritorializzando il capitale finanziario in funzione della produzione nazionale.

Temi e problematiche che dovrebbero essere appannaggio quotidiano dei nostri “sovranisti”. Essi invece perdono inutilmente tempo con fattori secondari come l’immigrazione che è una mera conseguenza della finanziarizzazione dell’economia e che si risolverebbe da sola una volta rimossa la causa ossia una volta tagliati gli artigli alla finanza speculativa.

Luigi Copertino

 

NOTE

  1. La cosiddetta “decrescita felice”, che poi forse così felice non è, è cosa ben diversa ed altra da uno stile di vita personale sobrio il quale, senza cedere all’austerità economica, può e deve essere da ciascuno perseguito, con “povertà di spirito” e non attaccamento del cuore ai beni, senza per questo far venire meno le risorse della produzione e dello scambio atte a fornire lavoro al prossimo ed alla comunità nel suo insieme.
  2. Questo dimostra, incidentalmente, che, in origine come anche successivamente, l’accettazione della moneta deriva sempre da un atto politico e sovrano, piuttosto che da una “tacita convenzione”. Ai tempi della monetazione aurea solo l’uso della moneta sovrana, benché taglieggiata, consentiva il pagamento delle tasse. Così come oggi solo l’uso della moneta legale, cartacea o digitale, consente l’adempimento degli obblighi fiscali. Sicché, come un tempo, i sudditi erano necessariamente indotti ad accettare la moneta metallica emessa dal sovrano, ora i cittadini sono necessariamente indotti ad accettare la moneta fiduciaria legale che, tuttavia, per la dinamica storica esposta nel testo, viene emessa dalle Banche centrali prestandola agli Stati e, quindi alle  imprese ed alle famiglie.

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