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mercoledì 19 giugno 2019

MAURIZIO BLONDET - PRESIDENTE...! PARLI AI GIUDICI (il discorso è pronto).

PRESIDENTE, PARLI AI GIUDICI  (il discorso è pronto).

Dobbiamo leggere cose così: >>>>>>>>>
                                                                                         


“Palamara voleva contare su un procuratore a Perugia che mettesse sotto inchiesta i suoi “nemici”, Paolo Ielo e Giuseppe Pignatone. Sirignano, in un’intercettazione del pomeriggio del 7 maggio viene contattato da Palamara: «Questo (Borrelli, ndr) ce l’ha le palle per farlo? Perché mi dicono che è il candidato di Area». Sirignano lo tranquillizza: «Ho parlato con Peppe e gli ho detto: “Guarda che se vai tu a Perugia, è perché sei affidabile. E capiscimi cosa vuol dire questa parola”. Gli ho anche detto: “Te la devo spiegare?”. E lui ha detto: “No no, ho capito”. Io e te siamo troppo legati per dirti che Borrelli è 99 per cento».
Palamara: «Eh… deve aprire un procedimento penale su Ielo… cioè stiamo a parlà di questo… non lo farà mai!»
Sirignano: «Io non lo so se Ielo è amico di Melillo… Se sono della stessa parte… tieni conto che Melillo e lui stanno in contrasto però»
Palamara: «Melillo e Borrelli?»
Sirignano: «Se voi non li uccidete questi qua…»
Palamara: «…non lo faremo mai…»
Sirignano: «…è chiaro che questa cosa non si fa»
Palamara: «Esatto»
Sirignano: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti…significa dare visibilità alle vostre scelte»....

Così come riportato dal Corriere della Sera, e da altre testate nazionali, a metà maggio vi sarebbe stato un messaggio (“Digli di non fare niente e quando torno lo chiamo”) che il pg della Cassazione avrebbe fatto arrivare al magistrato Luca Palamara dopo aver saputo che fosse stato indagato a Perugia per corruzione.
…..“Io me lo inculo”, “mi sono rotto i coglioni”, più dozzine di “vaffanculo”, e un vicepresidente del Csm che “caca il cazzo”…).
“L’ex premier Matteo Renzi  al padre: «I magistrati hanno dei loro giri, dei ca…i loro. Ti interrogherà uno importante». Alla fine il babbo fu ascoltato proprio dall’ex procuratore e da Paolo Ielo”.

Giudici così sono ancor più potenti e pericolosi

Abbiamo dunque “magistrati” che parlano ed agiscono da malavitosi incalliti. Abbiamo una magistratura che si accorda con uno solo e preciso partito politico per assegnare le poltrone delle procure più politicamente di peso. Giustamente dice Panorama: pensate solo se fosse l’inverso,se un ex ministro di Forza Italia o un  deputato della Lega avesse  telefonato a un giudice per fare quello che ha fatto il pd Lotti (e il senatore Ferri ex magistrato)  con Palamara per farsi selezionare un procuratore pro-Berlusconi, che strilli, che crisi di  governo  e che arresti ed incarcerazioni preventive a raffica.
Invece, i partiti che fanno? Fischiettano. Anche quelli dell’opposizione.  ANCOR PIù QUELLI DEL GOVERNO – GRILLINI E LEGHISTI.
Per i talk show, il problema sono i minibot e la flat tax. Tutto ciò ci dice  l’immenso, pericoloso potere che ha questa magistratura che ha gettato nel fango se stessa, l’ultimo briciolo della sua dignità.
TACCIONO perchè terrorizzati dal “trojan”: perché tutti quelli che si occupano di politica politicante, giornalisti compresi,  parlano allo stesso modo al telefono, e con gli stessi scopi. Ed hanno paura che salti fuori anche la loro voce.
Partiti e media,  tutti, sanno  questo: che questa magistratura, proprio perché ha buttato nelle fogne  – senza  alcun riguardo per l’istituzione,  per evidente incallita abitudine a malfare di troppi di loro (e nel silenzio degli altri) –  la propria autorità e  dignità civile, è più potente di prima – e più pericolosa di prima.  Non un microgrammo del suo strapotere – indebito e illegittimo, dispotico ed arbitrario –  che occupa, usurpa e tiene in pugno  e  condiziona la politica e i suoi organi, Parlamento e Governo, ossia di fatto la volontà popolare, la democrazia – è diminuito. Anzi.
Lo dimostra che questa cosa che non sa più essere un Ordine (“Ordine” significa cura severa ed auto-esigente  della propria terzietà, oggettività  e neutralità, orgoglio della separatezza professionale )  ma solo un “potere” e un potere di fatto, è più pericoloso di prima –  non foss’altro, perché nella falcidia adesso hanno tutto il potere le toghe più rosse. L’ANM, il sindacato –   che non  ha diritto di esistere, in un Ordine dello Stato, un sindacato: per  rivendicare cosa,  se non più  indebito potere? Contro quale “controparte”, se non il popolo italiano?  –  ha un nuovo presidente che si chiama Luca Poniz  – e che nell’ultimo congresso di Magistratura democratica il nuovo presidente Anm ha detto che il primo compito di un magistrato è battersi contro i “populismi” “con radicalità”.
Dunque questo potente magistrato-sindacalista, concepisce la sua funzione  statuale come un’arma – da sparare per sopprimere  una posizione politica che lui non approva.
Questo sighnore combatterà con radicalità le scelte democratiche  del popolo che non gli piacciono.
Quindi questo signore, ritiene che essere “populisti”  è un crimine punibile: secondo quale legge?  A lui non importa che sia nella legge legiferata, è dal suo io superiore che trae la certezza che il “populismo”  –  senza altra e più precisa definizione – vada perseguito come un delitto dai  tribunali.
Persino il laicissimo Piero Calamandrei, nome di cui si fanno usbergo i “magistrati” quando vogliono rivendicare (per lo più contro la separazione delle carriere fra accusatori e giudicanti)  la loro sacra “indipendenza” e “sovranità” (sovranità che spetta a un Ordine – ma non più allo Stato..) da ogni potere politico,  riteneva ovvio vietare ai giudici  tessere di partito: per assicurare il massimo equilibrio all’esercizio dello juris dicere: il diritto «quando viene affidato al magistrato per la sua applicazione deve essere da lui visto come tale e non come era prima di divenirlo, quando era ancora politica».  Si si spiega perché Calamandrei parli di «ordine» e non di «potere”: mentre le dinamiche parlamentari sono per definizione energiche, l’applicazione del diritto si nutre di un superiore equilibrio, si avvale di un’armonia apollinea

E’ Vilipendio della Magistratura –  commesso dai magistrati

Ma fra tutti i silenzi, il più grave e scandaloso è quello del presidente Mattarella.  Ovviamente  già solo chiamare scandaloso questo silenzio espone al reato di vilipendio:   ora, il rispetto  che si deve all’Istituzione va purtroppo  tenuto distinto dal rispetto che merita chi incarna detta istituzione.  Oggi che il vilipendio della  magistratura viene commesso così platealmente, arrogantemente e impunemente dai magistrati – occorre che  la  persona –che nei fatti è  il politico, anche  il politicante da  una vita – trovi la forza  e la dignità  di incarnare in pieno l’Istituzione.  Come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura  oltraggiata da magistrati,   egli deve difendere l’Ordine e la sua dignità offesa.
E’ il solo che può farlo senza pericolo –   il solo che deve farlo.
Se gli mancassero concetti e  parole,  ci permettiamo di porgere al presidente un testo da cui può ricavare spunti ed idee.
Ed anche a noi farà bene  – per ricordare che cosa ha da essere una Giustizia che non sia patologia e  prepotenza.
E’ un testo degli avvocati penalisti. Evidentemente, quello dei  legali difensori è ancora un Ordine: i singoli avvocati possono essere più o  meno onesti   e civili, ma l’Ordine sa ancora elevarsi  sopra il livello troppo umano , ed affermare “i princìpii”  della statualità giudiziaria.

CONGRESSO STRAORDINARIO –  TORINO 2/4 OTTOBRE 2009

 CHI HA PAURA DELLA RIFORMA?

L’impegno delle Camere Penali
Un nuovo ordinamento giudiziario”

  1. – Premessa – Per la comprensione delle posizioni dei penalisti italiani in ordine al “sistema” dell’organizzazione della magistratura italiana e la correlativa riflessione congressuale, va preliminarmente ricordato che l’elaborazione dell’Unione delle Camere Penali Italiane si è mossa, nel corso degli anni, lungo le linee di un progressivo approfondimento, ed ha consapevolmente tralasciato la strada delle semplificazioni e delle facili suggestioni.
In contrasto con le prospettazioni polemiche della magistratura associata, le frequenti semplificazioni della stampa e della politica, le posizioni dell’UCPI su tale questione si sono sempre caratterizzate per il rifiuto  delle banalizzazioni e delle suggestioni demagogiche.
In altre parole, la questione è stata da sempre prospettata dai penalisti italiani non nell’ottica di “rapporti di forza” tra magistrati ed avvocati ovvero nell’ottica di una generica necessità di “riequilibrare” i rapporti tra accusa e difesa, ma in relazione –invece- ad un vero e proprio tema di natura istituzionale che investe “il delicato quanto fondamentale problema dell’equilibrio dei poteri in una moderna democrazia liberale e del ruolo del ‘potere giudiziario’”[1].
In definitiva, da sempre l’UCPI ha rimarcato l’esistenza di una “questione magistratura” alla luce di una valutazione storico-politica che, nel tempo, è stata recepita e fatta propria da studiosi, commentatori e politologi[2].
Non è questa la sede per indagare le ragioni, anche storiche, di tale fenomeno, ma è sotto gli occhi di tutti che l’invasione di campo della magistratura sul terreno della politica ha determinato, e determina tutt’ora, distorsioni nel sistema dei rapporti tra poteri dello stato che incidono concretamente anche sul quotidiano esercizio della giurisdizione.
Il potere giudiziario appare sempre di più come un “potere forte”, “in grado di dettare le regole del gioco, determinare condizioni politiche non solo contingenti, condizionare l’ordinamento statuale a partire dalla produzione delle leggi fino agli atti amministrativi”[3].
Naturalmente non è estranea a questa valutazione l’altra, ad essa collegata, della debolezza o incapacità della “politica”, di qualunque colore, di fare fronte a questa situazione. E’ noto che “la politica” oscilla alternativamente tra evidenti (quanto prevalenti)  segnali di subalternità alla magistratura e, d’altro lato, pulsioni riformatrici  che appaiono però troppo spesso dettate più da contingenze che da una coerente concezione liberaldemocratica.
I corollari di questa analisi, necessariamente sintetica, sono due: anzitutto i numerosi aspetti in cui si articola la “questione magistratura” non possono essere considerati separatamente ma vanno valutati complessivamente (la separazione delle carriere va necessariamente posta in relazione con una riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e della legislazione che regola, a tutti i livelli, i rapporti tra potere esecutivo e giudiziario); in secondo luogo, può ritenersi ormai assodato  che senza riforme unitarie che incidano complessivamente sull’assetto del potere giudiziario le eventuali singole modifiche legislative, anche di natura processuale e sostanziale, si rivelerebbero ben presto assolutamente inadeguate.
A tale proposito va sottolineato che il “motore” del processo risiede anche in adeguate forme di organizzazione della realtà giudiziaria e dunque, ben prima di intervenire con modifiche di natura procedurale, appare prioritario dare corso ad una riforma dell’Ordinamento Giudiziario che miri tra l’altro a rendere i Magistrati “responsabili” dei tempi del procedimento, delle decisioni nel corso di questo assunte, dei provvedimenti di volta in volta adottati, utilizzando effettivi criteri di valutazione della loro professionalità e della loro produttività.
Mentre la questione della separazione delle carriere appare ben sedimentata nel background dell’avvocatura penale (che ha imposto il tema, da decenni, alla attenzione della politica e della pubblica opinione), nuovi temi si sono gradualmente venuti ad affiancare a quello che, giustamente, può essere considerato come quello centrale per l’avvocatura.
In tal senso, le iniziative sui “magistrati fuori ruolo” e sul CSM (con il connesso ruolo delle correnti) vanno tenuti presenti e collocati nella loro giusta dimensione.
L’intuizione dell’intervento UCPI sui magistrati fuori ruolo, e cioè fuori luogo[4] va ben oltre la specifica questione, ma intende sollecitare icasticamente l’attenzione sulla interferenza dell’ordine giudiziario nei procedimenti decisionali di un altro potere, con le conseguenze ben note in termini di principio[5].
Chi non si limiti ad analisi superficiali potrà certamente avvedersi che la struttura anomala della magistratura italiana, cui si è accennato, si fonda ormai non solo e non tanto sulla associazione sindacale della corporazione, ma su un vero e proprio “circuito” di soggetti non necessariamente legati all’ANM. Qualcuno ha voluto identificare costoro come una vera e propria “casta” che si avvale (anche) di un sistema chiuso di ripartizione di incarichi tale da consentire forme di ingerenza nelle scelte politiche ed amministrative.
Il perpetuarsi di una struttura di matrice autoritaria che vede solo ed esclusivamente magistrati (indistintamente ex giudici ed ex pubblici ministeri) partecipare ai processi decisionali della politica, compresi quelli di carattere legislativo, costituisce una problematica su cui è indispensabile incrementare l’incisività delle iniziative e dell’azione dell’UCPI.
In tal senso, l’iniziativa di una proposta di legge sui magistrati fuori ruolo, che mira a ridimensionare fortemente il fenomeno e le sue implicazioni appare, oltre che estremamente opportuna, addirittura necessaria e dovrà pertanto essere oggetto di riflessione congressuale.
Quanto al Consiglio Superiore della Magistratura, pur di fronte delle ormai  consolidate riflessioni dell’avvocatura penale, è comunque opportuno approfondire l’analisi sul tema del recupero di quest’organo alla sua autenticità costituzionale in virtù di un serio esame critico di alcune distorsioni che detto organo manifesta.
Nella fase conclusiva di questa premessa va dunque segnalata la necessità di una discussione congressuale che imprima una sensibile svolta ai già tradizionali temi d’iniziativa dell’avvocatura, cercando di fornire ulteriori approfondimenti che, nell’ambito della quotidiana azione di politica giudiziaria, consentano all’UCPI di partecipare in modo incisivo alla battaglia riformatrice di cui si avvertono, nelle ultime settimane, segnali di ripresa.
  1. Le ragioni della separazione delle carriere – Non è certo il caso di dilungarsi sulla necessità di perseverare nella storica battaglia dei penalisti italiani che mira non solo a garantire l’effettività dei valori e i principi costituzionali del giusto processo e della legalità ma anche a migliorare la stessa qualità della democrazia nel nostro paese.
Il modello burocratico di civil law della nostra magistratura, di matrice napoleonica, non può che essere rimodulato alla luce di principi liberaldemocratici e collegato al modello processuale vigente, tendenzialmente accusatorio.
Su questo tema la partita non è chiusa, a dispetto delle promesse infrante dalla politica e del periodo di stasi del dibattito politico. Tracce di ripresa di una discussione attiva sono emerse nel periodo estivo ed è probabilmente necessario che il Congresso lanci alcuni segnali di iniziativa concreta anche nel corso dell’autunno.
Sembra peraltro necessario accentuare quegli aspetti che consentano di chiarire ancor meglio i connotati della proposta riformatrice proveniente dall’UCPI.
In particolare, qualcuno sembra recepire passivamente gli slogan dell’ANM secondo i quali una riforma dell’ordinamento giudiziario non inciderebbe sulla “velocità” dei processi e sulla funzionalità della giurisdizione.
Sarà allora il caso di chiarire, rilanciando e se necessario attualizzando le proposte di legge di riforma costituzionale predisposte dall’UCPI, che l’auspicabile attuazione dell’articolo 111 della Costituzione è la via maestra che conduce al miglioramento della funzionalità e della qualità della giurisdizione.
Le riforme in corso di discussione o preannunciate (sia quelle sulle intercettazioni telefoniche sia quelle di “riforma del processo penale”) risulteranno infatti, qualunque ne sia il contenuto, inesorabilmente vanificate dalla inesistenza di una effettiva e reale autonomia del giudice nella verifica delle iniziative del pubblico ministero.
In effetti, il tema fondamentale del “controllo” di un giudice terzo sulle richieste della pubblica accusa viene trascurato a causa della mancanza di una riforma che ponga le basi per l’effettività dei controlli. Tale effettività passa attraverso una reale autonomia decisionale del giudice, l’eliminazione dei meccanismi ordinamentali di contiguità tra chi giudica e accusa, la creazione, con il tempo, di una “cultura della autonoma decisione” che superi la  vigente cultura dell’inquisizione troppo spesso contrabbandata, negli slogan del sindacato dei magistrati, come una ambigua “cultura della giurisdizione”.
Di una vera riforma, peraltro, si gioverebbe non solo la qualità ma anche la funzionalità della giurisdizione: si pensi ai rallentamenti ed alle disfunzioni processuali (anche in termini di lunghezza delle procedure e di intasamento dei Tribunali) provocate da proroghe d’indagini automaticamente concesse, da inchieste giudiziarie destinate a sfociare nel nulla perché basate su intercettazioni telefoniche passivamente autorizzate, da indagini fondate su arresti concessi senza alcun effettivo controllo, e così via.
Nel solco di queste osservazioni, tornando sull’accennato tema del magistrato “responsabile” dei propri atti procedimentali, si pone il serio problema della effettiva valutazione del suo operato, della sua “produttività”, della correttezza degli atti e delle decisioni assunte, con riferimento all’esito degli affari trattati, settore nel quale oggi si avverte più di una lacuna, se non un vuoto quasi assoluto.
  1. – CSM: le correnti ed il ruolo anomalo – Le correnti della magistratura, che pure hanno svolto un funzione di reazione al conformismo giudiziario del dopoguerra storicamente riconosciuta dai politologi e dagli studiosi, sono oggi inserite in un contesto completamente trasformato. La necessità di riconoscere una funzione politica alla magistratura “esercitando dall’esterno un controllo su alcuni modi di esercizio del potere economico ed in particolare quelli connessi con la tutela di interessi diffusi”[6] è ormai notoriamente trasmodata nelle distorsioni dell’ultimo ventennio, con le conseguenze che l’UCPI denuncia da tempo e ricordate dagli studiosi: attenuazione dei confini tra responsabilità politica e penale; uso dei media nelle inchieste giudiziarie; giustizia “per campagne” di lotta; emersione del c.d. partito dei giudici. Oggi le correnti, attraverso il ruolo che esercitano sul CSM, in realtà governano la magistratura[7]: “Perciò, determinando le decisioni dell’organo di autogoverno, sono in grado di influire sul comportamento di tutti i magistrati, che così appare dipendere –e in una certa misura dipende effettivamente- dagli equilibri che si creano dentro il Consiglio, fra i rappresentanti delle correnti e quelli dei partiti. Così, l’azione della magistratura non può non venire influenzata da una miscela variabile di corporativismo e influenza politica. Inoltre, la frammentazione del corpo non solo ne intacca l’immagine all’esterno –in quanto le carriere sembrano dipendere non tanto dal merito quanto dagli accordi fra correnti e partiti- ma permette al sistema politico di sfruttare le divisioni interne”[8]. Le conseguenze sono evidenti:”…il rafforzamento del potere giudiziario, che ha caratterizzato il nostro sistema politico negli ultimi quarant’anni, ne ha reso problematica la compatibilità con i principi di fondo di un regime democratico”[9]. V’è n’è perciò quanto basta per discutere seriamente di una riforma non minimalistica del CSM, da porre necessariamente in relazione con il tema costituzionalmente imposto dall’articolo 111 della Costituzione della terzietà del giudice. Quanto all’iniziativa dell’UCPI, le proposte per l’istituzione di un doppio CSM sono note. Nell’immediato non è però inutile continuare organicamente a segnalare le distorsioni dell’organo costituzionale, divenuto ormai, secondo una ricorrente notazione polemica, “terza camera” del paese.
In proposito, le posizioni dell’Unione delle Camere Penali Italiane sono note da anni. Probabilmente si dovrà ampliare la prospettiva critica accentuando l’approfondimento di alcuni temi forse non sufficientemente esplorati: ad esempio quelli delle cosiddette “pratiche a tutela” e dei “pareri”, sintomi e conseguenze di una trasformazione incostituzionale dell’interpretazione della legge e delle prassi del CSM.  Quanto ai pareri, merita particolare rilievo, anche per impostare profili di iniziativa concreta, la segnalazione delle distorsioni interpretative della legge ordinaria (ed in particolare dell’articolo 10, comma II della legge 195/1958).
La prassi dei “pareri” del CSM, con riflessione molto articolata, è stata segnalata da alcuni studiosi come la spia di un CSM “che si fa spazio… sfruttando le larghe maglie di regole forse troppo generiche… ovvero disinvoltamente applicate[10], rimarcandosi come la questione dei “pareri”, come distorti nella prassi, attraversi questioni cruciali ben più di quanto possano fare affreschi generici sulla condizione dei rapporti tra potere politico e ordine giudiziario.

4.- Magistrati fuori ruolo e iniziative di riforma – L’iniziativa in corso da parte dell’Unione delle Camere Penali Italiane, con una proposta di legge sulla materia, intende stabilire che la qualità di magistrato ha carattere esclusivo. Come già si è avuto modo di osservare in premessa, la peculiarità della funzione giudiziaria non deve consentire situazioni di impropria presenza di magistrati nelle istituzioni politiche e amministrative, nelle istituzioni del potere legislativo, nelle autorità amministrative indipendenti, nelle rappresentanze nazionali presso organismi internazionali o comunque all’estero che non siano propriamente inerenti all’esercizio di una funzione giudiziaria e neppure all’interno di altri organi costituzionali di garanzia (quale è la Corte Costituzionale) che devono essere caratterizzati dalla neutralità e estraneità rispetto a tutti i poteri dello Stato. Va pure regolamentata, tenuto conto del principio della esclusività delle funzioni, la materia degli incarichi extragiudiziari, che consente oggi, a magistrati ordinari, la possibilità di esercizio di funzioni diverse da quelle giudiziarie in regime di part time. Gli incarichi in parola dovranno essere circoscritti al solo contributo nella didattica e nella formazione in ossequio al valore della circolazione del sapere sulla base delle diverse esperienze professionali e di conoscenza. La proposta di legge intende pure affrontare e disciplinare la vexata quaestio della partecipazione dei magistrati ordinari alla vita politica del Paese a tutela dell’autonomia, dell’indipendenza e dell’imparzialità della funzione giudiziaria. Vanno previste, conseguentemente, disposizioni che disciplinino l’eleggibilità dei magistrati ordinari in servizio in  tutte le cariche elettive dello Stato, delle Regioni e della autonomie locali, nonché la partecipazione alle rispettive istituzioni di governo.  Le scelte operate vanno nel senso di prevedere che debba intercorrere un lasso di tempo di sei mesi tra le dimissioni del magistrato e la sua candidatura ad una delle cariche indicate (salvo il caso di elezioni suppletive o di anticipata fine della legislatura o consiliatura) al fine di contrastare forme di uso strumentale della funzione  posto che,  con la candidatura, con l’elezione o con l’assunzione di una carica di governo, il magistrato ha fatto una pubblica scelta di campo “partitico” incompatibile istituzionalmente con l’autonomia, l’indipendenza e l’imparzialità dello stesso anche sotto il profilo “dell’apparenza”.

  1. – Incarichi in magistratura e sedi disagiate. – La questione degli incarichi e delle sedi disagiate è purtroppo un ulteriore sintomo di una impostazione corporativa delle questioni da parte dell’ANM. Il tentativo di porre la questione della carenza di rappresentanti dell’Accusa nelle varie sedi è emblematica della tendenza a contrabbandare temi sindacali come questioni di principio. Nell’affrontare il problema delle sedi vacanti si continua, insomma, a girare a vuoto, con veti posti dall’ANM, che nei mesi scorsi ha minacciato lo sciopero, e con interventi altrettanto critici di esponenti del CSM. In un recente documento l’ANM indicava alcune soluzioni improponibili, tra cui: il ricorso a giovani magistrati (oggi vietato dall’ordinamento giudiziario che tiene conto della necessità di una salda esperienza per ricoprire proficuamente incarichi assai impegnativi) e l’abolizione, per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente, della (a dir poco minimale) necessità di cambio di sede fuori dalla Regione, oggi imposta dalla legge per migliorare la qualità e l’imparzialità della giurisdizione. L’ANM inoltre si è espressa contro provvedimenti legislativi che legittimino trasferimenti d’ufficio da parte del CSM, a tal fine invocando la prerogativa dell’inamovibilità, e con ciò mostrando di confondere una guarentigia costituzionale che attiene al singolo magistrato con un provvedimento generale di organizzazione giudiziaria che nulla ha a che vedere con il precetto costituzionale.
Si tratta con evidenza di posizioni che mascherano altre ragioni d’intervento.
Anche volendo prescindere dal fatto che la disposizione oggi criticata dall’ANM che prevede la non assunzione immediata al ruolo dell’accusa dei giovani uditori fa parte di quella legge di modifica dell’ordinamento giudiziario imposta al Parlamento nel luglio 2007 proprio dalla stessa ANM sotto la minaccia di uno sciopero, la questione è oggi nuovamente affrontata dalla associazione dei magistrati in un’ottica puramente sindacale.  Si vogliono evitare spostamenti di sede dei magistrati “più anziani” (o più “potenti”) per confinarvi giovani al primo incarico, privi della necessaria esperienza. In un comunicato stampa dell’UCPI si è fotografata questa situazione con un polemico richiamo ad una sorta di “nonnismo giudiziario”, diretto a sacrificare i giovani uditori per salvaguardare i privilegi dei più anziani e della “supercasta” dei fuori ruolo.
La questione, perciò, è assai più complessa di una richiesta di modifiche normative contrabbandata come necessità di far funzionare gli uffici (e spesso persino qualche settore non penalistico dell’avvocatura non l’ha compreso), e deve essere interpretata anch’essa come uno di quei segnali che rendono indifferibile una riforma dell’ordinamento giudiziario e delle leggi collegate. E’ chiaro peraltro che il tema è intimamente connesso a quello dei “fuori ruolo” all’opera nelle varie strutture del potere esecutivo e sottratti al loro lavoro di magistrati.

  1. – Azione penale – Mantengono piena attualità e necessitano di continuità nell’impegno le osservazioni in passato contenute nei documenti UCPI. Va dunque ulteriormente contrastata la inaccettabile deriva verso “l’opportunità di fatto” dell’azione penale sulla base delle scelte dei capi degli uffici giudiziari, ma anche dei singoli magistrati dell’Accusa. E’ una deriva  eversiva rispetto al principio della separazione dei poteri in un moderno stato liberale. L’UCPI ha contrastato in passato la “circolare Maddalena” e il diffondersi di quel modello in molti uffici giudiziari anche con iniziative istituzionali rivolte al CSM ed al Parlamento. Si tratta di una invasione di campo gradita alla politica che può così perseguire una logica di ricerca del consenso fondata sull’emergenza, sulla propagandata introduzione di nuove sanzioni, sull’inasprimento di quelle esistenti (vedi pacchetto sicurezza) senza farsi carico alcuno del funzionamento complessivo del sistema giustizia. Del resto la magistratura non appare affatto supplente suo malgrado, anzi rivendica a se la titolarità di scelte di politica criminale legate all’allarme sociale e, nel contempo, stabilisce un rapporto diretto con la “piazza”. Il rischio è serio ed è rappresentato ancora una volta da una magistratura che si pone come titolare di prerogative e poteri che la Costituzione attribuisce al parlamento espressione della sovranità popolare e responsabile davanti al corpo elettorale. L’ iniziativa politica della Camere Penali sul punto deve continuare in nome della legalità e per affermazione dei principi fondamentali dello stato di diritto.

  1. – Sintesi conclusiva – E’ dunque indispensabile sciogliere il nodo del ruolo condizionante della magistratura nella vita del paese e nell’esercizio della giurisdizione.
Occorre rivedere il ruolo della magistratura per liberarla dai condizionamenti interni e recuperare la politica ad un dibattito non condizionato da interessi di bottega.
Scriveva anni fa Sergio Romano[11]“Quando verrà scritta la storia dell’ordine giudiziario negli ultimi trent’anni constateremo che la scena è stata dominata da due forme di giustizia altrettanto inammissibili: una giustizia di regime che aggiusta processi, annebbia indagini, trae vantaggi personali dalla sua collusione con il sistema politico; una giustizia giacobina che conosce i colpevoli ancora prima di averli giudicati, si considera investita da una missione nazionale, vuole rovesciare l’Italia come un calzino e dichiara guerre alla mafia, alla massoneria, alla corruzione come se il compito di un procuratore non fosse quello di perseguire singoli reati, ma di organizzare crociate”.
La riforma complessiva, dunque, è necessaria anche per affrontare il problema, quello del rapporto tra politica e magistratura, con il quale si intersecano, come si è visto, molti dei temi trattati.
E’ chiaro che limitarsi a confidare nelle buone intenzioni qualche volta (anche se raramente) manifestate da esponenti della magistratura circa un ritorno alla normalità si rivelerebbe una pia illusione in assenza di un serio e meditato percorso riformatore. Giustamente è stato osservato che “Non esistono, in verità, nella storia, esempi di supplenti che –lasciati a lungo operare fuori dai binari che in astratto erano stati loro originariamente assegnati- accettino poi di autolimitarsi nuovamente e non rivendichino piuttosto un ruolo legale corrispondente al potere conquistato nei fatti[12]”.
Torino, 1 ottobre 2009
[1] così la Relazione d’apertura del Congresso Straordinario UCPI a Treviso, ottobre 2007
[2] I cui interventi si sono moltiplicati nel tempo negli ultimi mesi ed anni: raccolti dall’UCPI in una rassegna stampa: vanno ricordati i nomi di Sergio Romano, Ernesto Galli Della Loggia, Gianpaolo Pansa, Angelo Panebianco, Antonio Polito, Pierluigi Battista e molti altri
[3] così, ancora, la Relazione d’apertura del Congresso Straordinario UCPI a Treviso, ottobre 2007
[4] Secondo uno slogan coniato dall’UCPI in un comunicato stampa degli anni scorsi
[5] “…e non vi è libertà neppure quando il potere giudiziario non è separato da quello legislativo e da quello esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: poiché il giudice sarebbe legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore” (Montesquieu, Esprit des lois, libro XI, capitolo 6).
[6] così Stefano Rodotà, citato in C. Guarnieri, “Giustizia e Politica”, Il Mulino, 2003, p. 119.
[7] Giornalisticamente, e molto chiaramente, si è scritto che “ANM è l’azionista di riferimento del CSM”.
[8] Carlo Guarnieri, “Giustizia e Politica”, Il Mulino, 2003, p. 182.
[9] Carlo Guarnieri, “Giustizia e Politica”, Il Mulino, 2003, p. 183.
[10] Nicolò Zanon, “I pareri del Consiglio Superiore della Magistratura tra leale collaborazione e divisione dei poteri”, nella Relazione tenuta al seminario dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, sui “Problemi della Giustizia in Italia”, Roma, 8 giugno 2009.
[11] Sergio Romano, Le due giustizie sbagliate, su “La Stampa” del 18 marzo 1996
[12] Salvatore Prisco, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli: “Politica e magistratura in Italia: i nodi da sciogliere con pazienza”.----

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