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lunedì 3 giugno 2019

Maurizio Blondet - L’ESERCITO USA VICINO A “UNA GUERRA DI TROPPO”

Il 27 maggio, in Usa,  è il Memorial Day,  che  celebra i caduti  delle guerre.  L’ufficio di propaganda ha avuto la sfortunata idea di chiedere in un tweet:  “Come ha influito su di te servire la bandiera?”.   Le risposte non sono state quelle previste, patriottiche e militariste. Più di 11 mila tweet furiosi, dolorosi,   amarissimi,  hanno rotto   la coltre della narrativa ufficiale. Storie di suicidi di reduci, di disturbi post-traumatici ed alcolismo  conseguenze, depressione ed ansia  ed incubi,  ed anche violenze carnali subite da ufficiali,  mancata assistenza sanitaria; racconti di crimini di guerra e di danni permanenti per esposizione ad agenti chimici.
“Al mio migliore amico del liceo è stato negato il  trattamento per la salute mentale ed è stato  costretto a tornare a un terzo turno in Iraq, nonostante avesse un trauma così profondo da riuscire a malapena a funzionare”, ha scritto Shane. “Ha preso una manciata di sonniferi e si è sparato alla testa due settimane prima di essere dispiegato.”
 Un altro:  “Il mio cocktail da combattimento? PSTD, depressione gravissima. Ansia. Isolamento.  Tentativi di suicidio. Una rabbia senza fine. Mi è costato il rapporto con mio figlio maggiore e mio nipote.  Ad alcuni dei miei uomini è costato anche di più. Come ha influito su di me il servizio militare? Chiedete  alla mia famiglia”...

Revulsione generale per   le menzogne secondo cui il  bellicismo Usa ha l’approvazione popolare. “Smettete di fabbricare nemici e  lanciare americani innocenti in guerre dove uccidono civili innocentiDa  tutte queste guerre combinate non avete guadagnato niente, ed per il mondo  è stato l’inferno”. Vite spezzate, ferite  fuori e nell’itnimo, mutilate  che accusano furiosamente  i metodi, i modi le distruzioni psichiche che le guerre americane senza fine (la “lunga guerra al terrorismo”,  come la chiamò Donald Rumsfeld, dura dal 2001 ) hanno ridotto  le vite dei soldati;  il diluvio di risposte  dice che il prezzo pagato è troppo alto e la misura è colma. Non solo per i veterani ma per  la società  nel suo complesso:  i 5500 reduci che si sono tolti la vita l’anno scorso, e i 321 che si sono suicidati in servizio attivo,  si aggiungono alle  morti per overdose  da oppiacei, ed ai suicidi nella “società civile”: aumentati del 30 per cento negli ultimi dieci anni, laddove in tutti gli altri stati del mondo diminuiscono.
“Più di 150.000 americani sono morti per decesso e suicidio indotto da alcol e droghe nel 2017. Quasi un terzo – 47.173 – erano suicidi”, ha scritto il New York Times.  “Nel 2017, più di 1.000 americani sono morti per overdose da oppioidi sintetici ogni due settimane, superando i 28.000 all’anno”.
Una sofferenza sociale senza limiti e non affrontata, una  “fatica del materiale” sociale e una usura del vivere che – suggerisce Philippe Grasset –  non  può che preludere alla “disintegrazione-entropizzazione” delle forze armate, le più sovrappeso della storia , proprio nel pieno del loro gigantismo e della loro superpotenza che si traduce   nel suo contrario. Non è una esagerazione. Gli Usa non sanno come ritirare le truppe bloccate in Afghanistan,  dove ormai assistono alle vittorie dei Talebani senza reagire,  perché non si sa come ritirare l’immane equipaggiamento. Non è trasportabile per aereo: era stato inoltrato via terra attraverso la Russia, ma ora le condizioni di ostilità che Washington contro Mosca non rendono fattibile questo favore.  Attraverso il Pakistan: ma i rapporti con il Pakistan sono oggi pessimi.  Dimitri Orlov suggerisce, sarcastico, di abbandonare tutto il materiale sul posto ed  evacuare il solo personale, da  inviare direttamente negli ospedali  psichiatrici della Veteran Health Administration, se ci sono ancora posti.

Quando le forze USA si disintegrarono

Philippe Grasset ricorda che altre volte l’esercito americano conobbe una implosione gigantesca, che la storia nasconde, proprio subito dopo la vittoria  sulla Germania e sul Giappone.  Aprile ’45,  la fine  del Reich:     erano presenti in Europa 3 milioni di soldati americani; tra maggio e settembre, sono ridotti a 500 mila; il 31 dicembre 1945, non ne restano che 200  mila. Un movimento simile si verifica nel Pacifico; la smobilitazione graduale, prevista  dal capo di stato maggiore generale Marshall  che intendeva portarla a termine nel novembre 1949, non fu possibile. Lo stesso generale parlò non di “smobilitazione”, ma di disintegrazione.
(Battaglia delle Ardenne, inverno 1944-45: migliaia di soldati USA prigionieri dei tedeschi).
Il 30 giugno 1946, il 99,2% degli effettivi che esistevano al momento della capitolazione tedesca sul territorio vinto, erano  spariti. …1.282.000 rientrarono a casa in unità costituite; 983 mila individualmente“,   insomma un gigantesco fenomeno di diserzioni di massa e alla spicciolata, di rifiuto di obbedienza,  di insubordinazione, eccitata in patria dalle famiglie e dal Congresso, cui le famiglie  chiedevano a  gran voce di far tornare i loro cari; in un caos ed anarchia totale, tumultuosamente,  l’America lasciò sguarnita l’Europa.   Per le sue dimensioni, “la smobilitazione americana del 1945 non si può paragonare che a un solo altro caso nella storia, la disintegrazione dell’armata russa nel 1917”, ha scritto lo storico Richard Pipes. Ebreo polacco , che fu a capo del gruppo di lotta clandestina  anticomunista della Cia negli anni ’70, Richard Pipes è il padre di uno dei più fanatici neocon, Daniel Pipes.  Forse farebbero bene  a  chiedersi se  non hanno richiesto un prezzo troppo alto per Israele a questo popolo, come già ne chiesero uno altissimo ai popoli russi sotto il giudeo-bolscevismo.
La  seconda volta è stato nella guerra del Vietnam, anni ’70: “secondo ogni indicatore immaginabile  il nostro esercito ora di stanza in Vietnam è in uno stato prossimo al collasso, con  unità  che rifiutano il combattimento , uccidono i propri ufficiali, drogati fino ai capelli,  morale a terra, ammutinati”, scriveva il colonnello dei Marines  Robert D. Heinl Jr., e aggiungeva:   nei reparti “conflitti razziali, tossicodipendenza pandemica,   reclute che disobbediscono malevolmente, furti in caserma, reati comuni”.
Si dovettero costituire unità separate per i soldati (se così si possono chiamare) che si rifiutavano di salire sugli elicotteri per andare in operazione.  Nel 1970 gli  ufficiali uccisi dai loro soldati furono 109; l’anno prima erano stati 96.  A metà del 1969, i G-men misero una taglia da 10 mila dollari sul tenente colonnello Weldon Honerycutt, che aveva ordinato (e guidato) il sanguinoso assalto alla collina che fu chiamata  Hamburger Hill, ed  effettivamente l’ufficiale subì vari tentativo di ammazzarlo.
L’elusione tacita dal combattimento era diventata “praticamente un principio”, dice il colonnello:  sbarcati dagli elicotteri i GI invece  di   cominciare le operazioni, si rintanavano nella giungla e aspettavano,  fumando e  bevendo,  di essere rilevati.  I Vietcong lo sapevano così bene che avevano ricevuto istruzioni di non disturbare quelle unità che non li disturbavano …e  lo dissero ai colloqui di Parigi. 
I due fenomeni di disintegrazione  sono propri di un’armata di coscritti di leva, di una  gioventù  di inesistenti attitudini militari, inabituata dalla vita civile alla disciplina e ad ogni sacrificio,  in forte collegamento psicologico con la società, le famiglie, il clima culturale e politico democratico: per tutta la guerra, i sondaggi rivelavano che i soldati avevano come prima preoccupazione non di sconfiggere i nazisti, ma di non tornare nella Grande Depressione. Il Vietnam coincise (o fece nascere) l’età dei Figli dei Fiori, l’edonismo come traguardo della gioventù.
E’ stato per questo che oggi le forze armate sono completamente professionali.  Ma l’odiarne crisi morale  delle forze armate americane, nota Grasset, “deriva da quattro fattori, essenzialmente voluti dal Sistema”, che hanno un effetto terribile sul morale (e sulla morale) dei combattenti:
  • “Le guerre estremamente impopolari, illegali, senza alcuna giustificazione politica accettabile né alcuna necessità strategica [le guerre per Sion, ndr.] e segnate da grandi distruzioni  delle infrastrutture e stragi di popolazioni dei paesi attaccati.
  • Strutture di comando delle forze USA estremamente mediocri tanto sul piano tattico che strategico, tutte tese verso le proprie promozioni e  l’affermazione di “narrative” falsissime della propaganda.
  • Equipaggiamenti che sacrificano tutto a un tecnologismo sfrenato, che troppo spesso porta situazioni di blocco e inefficacia per i soldati  sul campo di battaglia, e la cui creazione acquisizione risponde solo agli interessi del complesso militare industriale e  l’orientamento inflessibile burocratico.
  • L’utilizzo sempre maggiore di  mercenari, di  contractors di agenzie private (che  sono ex soldati  di elite che guadagnano molto di più dei colleghi in  servizio); il ricorso a guerriglieri pseudo-terroristi inquadrati e manipolati da agenzie concorrenti in seno al Sistema   –  è inevitabile che ciò produca una accumulazione di disordine, la perdita del senso della gerarchia, del dovere e dell’onore, e del patriottismo che deve essere abituale nelle forze armate”.
Non è forse paradossale che la “superpotenza” oggi  aumenti  le sue minacce militaresche in provocazioni elliciste a Rusia, Iran, Cina, con toni sempre più acuti: forse proprio perché si sa intimamente vulnerabile, a rischio di entropia militare e compensa con atti provocatori rumorosi l’intima insicurezza. Con il terrore di dover combattere una guerra di troppo,spinta da Sion.

Un pilota di F-35 ha ha tracciato un pene gigante sulla Luke Air Force Base in Arizona

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