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martedì 26 marzo 2019

Amaro lucano di Marco Travaglio - 26 Marzo 2019

Immaginate che accadrebbe se i 5Stelle, anziché espellere Marcello De Vito dopo l’arresto per corruzione, si alleassero alle prossime elezioni comunali con lui, promotore di una lista denominata “Avanti Roma” e per giunta nascondessero il proprio simbolo miniaturizzandolo sotto uno strano logo “Comunità Pentastellate”. Arriverebbe l’ambulanza e se li porterebbe via tutti, fra le risate generali e la preoccupazione dei sanitari. Invece è esattamente quel che ha fatto il Pd in Basilicata, nell’indifferenza generale (soprattutto degli elettori). In quella regione, governata per oltre 40 anni dalla Dc di Emilio Colombo e per 25 dal centrosinistra dei Pittellas, si è votato ora perchè il 6 luglio scorso il governatore Pd Marcello Pittella era stato arrestato in un mega-scandalo di raccomandazioni e concorsi truccati nella sanità. Più o meno la stessa scena si era verificata nel 2013, quando il governatore Pd Vito De Filippo si era dimesso anzitempo per lo scandalo Rimborsopoli, trascinando anche allora la Regione alle elezioni anticipate. De Filippo fu subito premiato con un posto di sottosegretario da Renzi e Gentiloni....

Insomma, erano almeno 10 anni che il Pd lucano tentava di convincere gli elettori a votargli contro. Ma quelli niente, continuavano imperterriti a premiarlo, incuranti degli scandali. Stavolta, all’ennesimo tentativo, l’impresa di consegnare al centrodestra anche la riottosa Basilicata è finalmente riuscita. E così domenica, mentre a Roma tuonava contro i 5Stelle che avevano espulso De Vito un paio di minuti dopo l’arresto, il Pd si presentava in Lucania alleato con “Avanti Basilicata”, la lista di Pittella che, in caso di condanna in primo grado, perderebbe il posto in base alla legge Severino. Candidava a nuovo governatore un fedelissimo pittelliano, tal Carlo Trerotola, noto per i trascorsi giovanili nel Msi e per le serenate senili alla buonanima di Almirante, dunque molto di sinistra, col contorno di due candidati imputati. E nascondevano il simbolo del Pd miniaturizzandolo sotto uno strano logo “Comunità Democratiche”, che riusciva in un’altra triplice impresa: scendere dal 24,8 al 7,7%; prendere meno voti della lista dell’ex governatore arrestato (all’8,6%); e gridare alla quasi-vittoria (Repubblica, sempre spiritosa, parla di “tenuta del centrosinistra” e di “botta al governo”), al ritorno del bipolarismo destra-sinistra e all’immancabile disfatta dei 5Stelle (che hanno raddoppiato i voti delle regionali e dimezzato quelli delle politiche, mantenendo comunque l’inutile primato di partito numero uno in Regione).
Ora, quando si vota alle Regionali, vince chi arriva primo e va al governo. In Basilicata, come già in Abruzzo e in Sardegna, ha vinto il centrodestra che prima non governava, con un generale amico di B. che pare uscito dal film “Vogliamo i colonnelli”. E ha perso il centrosinistra che governava da sempre. I 5Stelle confermano la luna calante, che però si arresta sopra la soglia psicologica del 20%: e non era facile, in un voto dominato dai capibastone e dalle lobby locali, che infatti ha premiato liste colme di imputati. Ora, tentare di trapiantare questi dati su scala generale è assurdo, perchè i cosiddetti “centrosinistra” e “centrodestra” lucani non hanno nulla a che vedere con gli omonimi schieramenti nazionali: nessuno sa come voterebbe alle Europee chi ha scelto nel centrodestra “Idea-Un’altra Basilicata” e “Basilicata Positiva Bardi Presidente” (insieme 8,2%) e nel centrosinistra “Avanti Basilicata”, “Progressisti per la Basilicata”, “Partito socialista italiano”, “Basilicataprima Riscatto”, “Lista del Presidente Trerotola”, “Verdi Realtà Italia” (23,5% in tutto). Salvini è l’unico che va a gonfie vele anche in Lucania (prima non c’era, ora è al 19,1%), ma almeno lì ha bisogno degli alleati (che lo superano col 23,2%). Invece, su scala nazionale, ha da solo più del doppio di FI+FdI, ma li schifa al punto da non volerci governare insieme.
Sul disastro del centrosinistra l’incolpevole Nicola Zingaretti non fiata, anzi si consola: “L’alternativa a Salvini siamo noi”. Se parla della Basilicata, si spera che scherzi: un partito ridotto all’8%e costretto a nascondere il simbolo e coalizzarsi con l’ex governatore arrestato, può essere al massimo l’alternativa a se stesso. Se parla dell’Italia, anche se il 21% degli ultimi sondaggi fosse vero, dovrebbe spiegare dove prenderà il 30% che gli manca per superare il centrodestra (vicino al 50%), posto che con Di Maio non vuole prendere neppure un caffè. Il M5S, oltre alle migliorie organizzative che daranno frutti solo a lungo termine, deve prepararsi a una fase nuova: se è vero che si sono fermate sia la sua caduta sia l’ascesa della Lega, dovrebbe smettere di fasciarsi la testa e continuare a lavorare sulle leggi buone e identitarie, dall’acqua pubblica al salario minimo, e sperare in una partenza positiva del reddito di cittadinanza prima dello show down europeo. Ma senza più l’ansia di dover salvare a tutti i costi (Diciotti docet) la maggioranza giallo-verde: ormai l’eventuale caduta del governo terrorizza più Salvini che Di Maio. Salvini s’è gonfiato proprio perché sta al governo, mentre il M5S s’è sgonfiato proprio perché sta al governo (fa cose inevitabilmente divisive, e le comunica malissimo). Ma non è detto che la cura dimagrante di questi 8 mesi, per Di Maio&C., sia un handicap.
Chi ha già perso molti voti e mantiene il suo zoccolo duro può stare al governo più serenamente: non teme di perderne altri e lavora per risalire. Invece per Salvini le Europee-boom potrebbero essere il bis di quelle del 2014 per Renzi: il canto del cigno prima che il pallone gonfiato cominci a sgonfiarsi. A quel punto, a giovarsene sarà chi si farà trovare pronto.
Amaro lucano di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 26 Marzo 2019

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