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sabato 12 gennaio 2019

Il Pensiero Forte - La Banca d'Italia è inutile ma si tiene l'oro




L’argomento di attualità delle cronache politiche ed economiche è la questione della Cassa di Risparmio di Genova, in sigla CARIGE, che essendo sottocapitalizzata è da tempo in difficoltà. Tuttavia, ha colto tutti di sorpresa la decisione, assunta il 2 gennaio scorso, di commissariare la Banca al fine di esaminarne la situazione contabile e patrimoniale interna e di trovare soluzioni per impedirne il fallimento (ovvero la “risoluzione”, come viene chiamato nel linguaggio bancario con un termine incomprensibile ai più).
 Il commissariamento di una banca in crisi non è una novità, ne abbiamo viste altre negli anni scorsi e in tempi più recenti. Tuttavia, la novità di questa volta è che il commissariamento è stato disposto non già dalla Banca d’Italia, da sempre preposta alla vigilanza sul credito, ma dalla Banca Centrale Europea. Per meglio dire, come scrive il quotidiano “La Verità”, “l’istituto ligure è stato posto in amministrazione straordinaria dalla Banca Centrale Europea e per la prima volta in Italia sono stati scelti direttamente dalla BCE – e all’oscuro di Bankitalia – i tre commissari; è stato nominato anche un comitato di sorveglianza”.
Sottolineiamo due passaggi: “per la prima volta in Italia” e “all’oscuro della Banca d’Italia”...
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 Questa, a nostro parere, è forse la pietra tombale sull’indipendenza nazionale in materia finanziaria la quale non si manifesta solo con l’emissione di moneta o con l’obbligo di acquisto dei titoli di Stato, entrambi eliminati con il “divorzio” del 1981 e l’euro del 2001 ma anche con il controllo del sistema del credito il quale è un po’ l’equivalente della circolazione del sangue in un’economia.
 A questo punto ci domandiamo a cosa serva più ormai la Banca d’Italia, quando anche quest’ultimo potere le è stato tolto! Gli resta solo il servizio di tesoreria dello Stato, peraltro già insidiato dalle banche private con gli appalti degli Enti Locali.mTutta la costosa impalcatura di quell’edificio, con migliaia di dipendenti super pagati e superpensionati, desiderosi solo di accedere ad altri incarichi pubblici di vertice in virtù della loro cosiddetta e presunta “competenza” e “imparzialità”, è divenuta ormai inutile.
 Però non tanto. C’è un problema da decenni irrisolto che interessa il governo italiano e che coinvolge le responsabilità della Banca d’Italia, quello delle riserve auree. È bene sapere che l’Italia detiene ben 2.452 tonnellate di oro, ossia due miliardi e 452 milioni di grammi (visto che l’oro si calcola a grammo), ai prezzi attuali equivalente a circa 90 miliardi di euro. Siamo addirittura il quarto Paese al mondo nella graduatoria delle riserve auree! Ma dove sta quest’oro? La metà sta nei depositi della Banca d’Italia sotto Via Nazionale a Roma, il 43% è depositato negli USA (non si sa a quale titolo) e il resto in altri Paesi europei, tra cui la Svizzera e la BCE sopra indicata.
 Ma di chi è la proprietà di quest’oro? L’onorevole Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio della Camera, aveva presentato poche settimane fa una proposta di legge che diceva semplicemente: “La Banca d’Italia gestisce e detiene, a esclusivo titolo di deposito, le riserve auree rimanendo impregiudicata la proprietà dello Stato italiano di dette riserve, comprese quello detenuto all’estero.”
Una norma talmente evidente che dovrebbe essere addirittura posta in Costituzione, in modo rigido.
Invece la Banca d’Italia si è subito opposta, in modo diretto e indiretto a questa proposta di legge e ha trovato subito due parlamentari del Partito Democratico (non c’erano dubbi che fossero di quel partito!) i quali hanno sostenuto che la proposta era “inopportuna”.
Nei giorni successivi, parliamo delle settimane precedenti l’approvazione del bilancio, addirittura il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi (che è anche controllore delle Compagnie di assicurazione quale presidente dell’IVASS) è intervenuto dichiarando in un’intervista che “sull’aspetto giuridico formale di chi sia la proprietà dell’oro si pronuncerà la Banca Centrale Europea a cui abbiamo ceduto la sovranità quando è stato creato l’euro”!
 In realtà, si vuole nascondere il fatto che la riserva aurea è stata costituita negli anni in cui la moneta ufficiale nazionale era la Lira, emessa dalla Banca d’Italia: l’Italia, che è stata sempre grande esportatore, riceveva pagamenti in dollari che – al fine di evitare le oscillazioni di quella moneta e soprattutto l’enorme giacenza in cassa – veniva convertita in acquisti d’oro. In altri termini, si trattava di un’applicazione indiretta degli accordi di “Bretton Woods” in base ai quali gli USA dovevano detenere, e consegnare se richiesti, un’oncia d’oro (che equivale a 31 grammi) ogni 35 dollari: cosa ovviamente che non fecero mai, fino ad abolire unilateralmente quella clausola nel 1971. Inoltre, con il metodo delle svalutazioni programmate della Lira si rendeva più facile l’acquisto di oro. È quindi per questo motivo e per altri movimenti di capitali che la riserva aurea italiana s’incrementava raggiungendo l’ammontare sopra indicato.
 Ora è del tutto evidente che si tratti di oro proveniente dal lavoro italiano, dalle esportazioni e dai risparmi dei cittadini: quindi la Banca d’Italia, che fino al 1998 era totalmente di proprietà pubblica non ne può rivendicare il possesso. Al massimo può solo appropriarsi dell’oro acquistato dopo quella data.
La questione resta finora sospesa, però è importante tenerla in evidenza.

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