Il contratto.
Nel contratto M5S-Lega, sul Tav Torino-Lione, si legge: “Ci impegniamo a ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. Quindi, quando Salvini dice che “il Tav si farà e basta”, viola gli accordi da lui stesso firmati. E quando il suo sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri (grosso esperto del ramo: 18 mesi patteggiati per bancarotta fraudolenta) spiega che “i costi di uno stop sarebbero superiori ai benefici”, dovrebbe spiegare perché ignora i veri costi dell’opera e perché è entrato in un governo con un programma opposto al suo.
Merci e passeggeri.
Quando partì l’idea della Torino-Lione, si pensava a un supertreno per passeggeri sullo snodo italo-francese del Corridoio 5, da Lisbona a Kiev. Di quel progetto, mai realizzato (il primo paese a sfilarsi fu nel 2012 quello di partenza: il Portogallo), restano due reperti archeologici.
E cioè: un tratto di pennarello su un dossier nel cassetto; e un solo cantiere aperto, il Torino-Lione. Infatti, pur di non ridiscutere il dogma, anni fa si virò disinvoltamente dall’“alta velocità” (persone) all’“alta capacità” (merci). Chi, come La Stampa o l’ineffabile Siri, favoleggia di “treno per persone e merci” non sa che dice: il Torino-Lione riguarda solo le merci, mentre le persone viaggiano serene da decenni sul Tgv o su comodi aerei. Il Tav sarebbe una seconda linea ferroviaria da affiancare a quella storica (la Torino-Modane, inutilizzata all’80-90 %), scavando 57 km di tunnel dentro montagne piene di amianto e materiali radioattivi e devastando l’intera Valsusa. Il tutto per soddisfare un fabbisogno che non esiste: il previsto boom del traffico merci su quella direttrice si è rivelato una bufala colossale.
Merci fantasma.
L’ha riconosciuto a fine 2017 persino l’Osservatorio della Presidenza del Consiglio: “Molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Ue sono state smentite dai fatti”. Sulla Torino-Modane i treni merci viaggiano carichi di container perlopiù vuoti. La linea è utilizzata per un quinto delle potenzialità: che senso ha affiancargliene una nuova? Anche l’aumento dei Tir nel traforo del Fréjus è una panzana: nel 2017 l’hanno attraversato 740 mila mezzi pesanti, stessa cifra di vent’anni fa. Come ha scritto sul Fatto il prof. Francesco Ramella, “l’attuale capacità disponibile è sovrabbondante e sarà ulteriormente incrementata a breve con l’apertura al traffico della seconda canna del traforo stradale del Fréjus. Anche qualora l’attuale ripresa dovesse proseguire, non si verificherebbero criticità per almeno mezzo secolo. Ogni giorno percorrono l’autostrada tra Torino e il confine francese poco più di 11.000 veicoli contro i 33.000 della Torino-Piacenza: si tratta dunque di una infrastruttura poco utilizzata”.
Ce lo chiede l’Europa.
Secondo Aldo Grasso, ottimo critico televisivo del Corriere di cui si ignoravano (e si continuano a ignorare) le competenze in materia di Tav, questa “è una delle opere più importanti che l’Europa aspetta da anni”. Nell’ambito di una non meglio precisata “piattaforma logistica del Nord Ovest”. Ma – come spiega non il movimento No Tav, ma il sito lavoce.info, molto apprezzato quando c’è da difendere il fondatore Tito Boeri – “la Commissione Ue non ha mai chiesto che l’attraversamento delle Alpi avvenga su una linea ad alta velocità: sia a Est sia a Ovest le merci possono tranquillamente continuare a viaggiare su reti ordinarie, come da Lione a Parigi”.
L’occupazione.
Alta velocità, bassissima occupazione: le previsioni più rosee indicano 4 mila nuovi occupati. Visto quanto ci costerebbero pro capite (in soldi e in danni ambientali stimati dall’Agenzia nazionale per l’ambiente francese e dai migliori atenei italiani), è molto più conveniente mandarli a spaccare pietre e poi a reincollarle.
I costi.
La delibera 67/2017 del Cipe (governo Gentiloni) stima il costo complessivo del solo tunnel di base in 9,6 miliardi. Di questi, il 57,9% lo paga l’Italia e solo il 42,1 la Francia (disparità incredibile, tantopiù che il tunnel insiste per l’80% in territorio francese e solo per il 20 in territorio italiano, e spiegabile solo con l’ansia di convincere Parigi, da sempre renitente all’impresa). Non solo: la delibera Cipe autorizza la spesa dei 5,5 miliardi per 5 “lotti costruttivi non funzionali” del tunnel di base che, presi singolarmente, sono inutilizzabili se non a opera ultimata. Lavori inutili in caso di revisione o annullamento dell’opera. Infatti il Cipe avrebbe potuto finanziarli solo se anche la Francia avesse stanziato la sua quota: cosa che Parigi non fa, né si sa se e quando la farà. Dunque la delibera è in forte odore di illegittimità.
Penali e restituzioni.
Stampa, Repubblica, Corriere e Grasso vaneggiano poi di “penali”, “multe” e “restituzioni” miliardarie. Anche se avessero ragione, varrebbe comunque la pena sborsare 2 miliardi per risparmiarne 10 o 20. Ed è curioso che tutti s’interroghino quanto costerebbe non fare il Tav, e mai su quanto costerebbe farlo (l’operazione al completo, per i docenti Andrea Debernardi e Marco Ponti, produrrebbe una perdita economica di 7 miliardi, che salirebbe a 10 con le lievitazioni all’italiana). In ogni caso, non è vero niente. Non c’è un solo contratto o accordo col governo francese, con l’Ue o con ditte appaltatrici (per il tunnel di base non è stata bandita alcuna gara) che parli di penali. L’Italia, nel tracciato italiano, può fare ciò che vuole. La legge 191/2009, art. 2, comma 232 lettera c prevede che “il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria eventualmente sorta in relazione alle opere individuate… nonché ad alcuna pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi”. Quanto alla Ue, finanzia solo lavori ultimati: dunque, se il Tav non si fa più, l’Italia non deve restituire un euro, al massimo non incassa fondi per un’opera annullata. Quando il Portogallo si sfilò, non sborsò un cent alla Spagna né all’Ue. Idem la Francia: si finge interessata al Tav, ma ha sospeso i cantieri sulla tratta nazionale (anche per i fulmini della Corte dei Conti) e per quella internazionale – il tunnel di base – non ha mai erogato i finanziamenti (come l’Ue). Senza l’ombra di una penale. I fessi che prendono sul serio la patacca stanno tutti Italia (“prima gli italiani”, direbbe Salvini). Se avessero intascato tangenti e temessero di doverle restituire, almeno li potremmo capire. Ci facciano sapere.---
(“Alta Voracità”, editoriale di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 31 luglio 2018)
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