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martedì 15 maggio 2018

“Il ballo dei debuttanti”, di Marco Travaglio



 Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano 15-5-2018 – 
Scrivere del governo Salvimaio che pare stia per nascere è come camminare sulle uova. Perché né Di Maio né Salvini hanno alcuna esperienza di governo, dunque siamo al ballo dei debuttanti. E perché tutto ciò che sta avvenendo è senza precedenti. Mai le elezioni avevano partorito due vincitori parziali e opposti, come i 5Stelle e la coalizione di centrodestra. Mai due partiti dichiaratamente anti-sistema avevano formato una maggioranza di governo contro quelle che, in alternanza o in unione fra loro, hanno monopolizzato l’intera Seconda Repubblica. Mai due forze politiche così distanti ed eterogenee avevano provato a mettersi insieme in base a un contratto di governo (detto infatti “alla tedesca” perché l’abbiamo importato dagli ultimi due governi di coalizione in Germania fra la Merkel e i socialdemocratici)....

Mai il programma di governo era stato condizionato all’approvazione degli iscritti ai due partiti contraenti. Mai una coalizione aveva “prestato” il suo primo partito al governo, lasciando consensualmente gli altri due all’opposizione. E mai un governo nascente aveva raccolto l’unanime ostilità di tutti i poteri: europei e italiani, politici ed economici, lobbistici e mediatici.
Mutatis mutandis, a Roma si sta replicando quel che è appena accaduto a Berlino: con la non indifferente differenza che a Berlino si sono (ri)uniti i partiti che governavano anche prima, mentre a Roma si stanno unendo per la prima volta due forze che negli ultimi 7 anni erano state all’opposizione. Eppure nessuno si è scandalizzato se la Merkel, dopo le urne, ha aperto due forni opposti: prima l’alleanza con i liberali e i verdi e poi, fallita quella, l’alleanza con l’Spd. Nessuno si è scandalizzato se, per trattare con gli uni e con gli altri e poi per scrivere il contratto di governo, sono trascorsi sei mesi. E nessuno si è scandalizzato, anzi tutti hanno festeggiato la grande pagina di democrazia, se l’Spd ha sottoposto quel contratto al referendum tra gli iscritti.
Invece tutti si indignano se, in ossequio al risultato elettorale e al sistema proporzionale, Di Maio ha proposto un contratto di governo sia al Pd (che ha sdegnosamente rifiutato, dopo aver finto di volerci provare) sia alla Lega (che ci ha sempre sperato, anche se Salvini s’è seduto al tavolo solo quando B. l’ha autorizzato). Tutti si indignano se M5S e Lega annunciano un referendum tra gl’iscritti sul contratto di governo. E se, dopo meno di una settimana di negoziati, non abbiamo ancora il premier, i ministri e il programma stampato. Se fosse questo il problema del governo (forse) nascente, potremmo dormire tranquilli.
Attendere sino a fine settimana, per avere un premier e una squadra rispettabili e un programma preciso e dettagliato che vincoli i dioscuri Di Maio e Salvini sull’annunciato “programma di cambiamento”, non sarebbe una perdita di tempo. Nel 2013 l’inciucio Pd-FI fu siglato in 24 ore. Infatti il programma era scritto sull’acqua. Infatti il governo Letta jr. durò nove mesi e non lasciò rimpianti, perché non aveva fatto che danni (l’avvio della controriforma costituzionale e il rinvio di un anno dell’Imu sulle prime case).
Se ora Di Maio e Salvini cercano prima un’intesa sul programma, prima di parlare di nomi, è un fatto apprezzabile e anch’esso inedito nell’Italia degli inciuci sugli affari, anziché degli accordi sulle cose da fare. Salvini, uscendo dal Quirinale, è parso sorprendentemente molto meno ottimista di Di Maio, scoprendo all’improvviso distanze ancora da appianare, finora mai emerse, su temi centrali come l’immigrazione, la giustizia e le grandi opere. Che, nella sua brutale franchezza, il capo leghista abbia finalmente smesso i panni del Cazzaro Verde, quello che all’opposizione e in campagna elettorale banalizzava i problemi complessi, sparando soluzioni tanto facilone quanto irrealizzabili, è positivo.
Ora che deve mettere nero su bianco il come si fa, il quanto costa e il dove si trovano i soldi, l’epoca delle raffiche da sparafucile è archiviata. Però Salvini ha aggiunto che lui, nel nuovo governo, non rappresenterebbe solo la Lega, ma tutto il centrodestra, la cui unità gli sta molto a cuore.
E qui riciccia l’elemento di ambiguità mai chiarito dell’operazione Salvimaio: già è difficile intendersi con Salvini; se però Salvini fa il servitor di due padroni, è inutile sedersi al tavolo. A che si deve dunque l’improvvisa gelata leghista? Il “riabilitato” e rieleggibile B. ha fatto pervenire a Salvini una di quelle richieste che non si possono rifiutare? Se fosse vero che, nella parte di contratto di governo già concordata, ci sono la legge sul conflitto d’interessi, l’anticorruzione con l’agente sotto copertura, il blocco della prescrizione al rinvio a giudizio, il voto di scambio politico-mafioso, la galera per gli evasori, una Rai sottratta al governo e ai partiti, lo stop alla legge bavaglio sulle intercettazioni e all’inutile e costoso Tav Torino-Lione e una legge nazionale per l’acqua pubblica (il referendum tradito sui beni comuni), oltre all’avvio di tre riforme economico-sociali come la Fornero, il reddito di cittadinanza e la flat tax, non si scappa: B. sarebbe tagliato fuori e passerebbe non solo dall’astensione all’opposizione, ma alla guerra aperta contro l’(ex) alleato.
E questo farebbe finalmente chiarezza. Perché potrebbero accadere due sole cose. O Salvini ha il coraggio di tirare diritto, rompendo finalmente col Caimano e sostenendo un governo che farebbe riforme importanti e affermerebbe il paradosso di un partito di destra che fa (anche) cose di sinistra. Oppure torna a cuccia, cioè ad Arcore, fa saltare un accordo che fino a domenica sembrava a portata e si assume la responsabilità che finora era riuscito a scaricare sugli altri: quella del fallimento.---

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