Tutta la solidarietà al medico di Savona che su denuncia di un arci-gay sta per essere sottoposto a procedimento disciplinare dall’ordine dei medici. La sua colpa: nel suo studio era postato questo:
Ma è meglio che riporti il testo dell’articolo della Adnkronos, che possiate assaporarne il tono odiosamente repressivo, da psicopolizia arrogante..
Titolo:
“Terapia per guarire dall’omosessualità”, manifesto choc in studio medico”
svolgimento dell’Adnkronos:
“Luca era gay ma un giorno accade qualcosa, rientra in se stesso e decide di intraprendere un percorso di conversione, su base psicologica e religiosa, che lo porta a riappropriarsi della sua mascolinità ed eterosessualità”. E’ quanto scritto nero su bianco [nero su bianco, che scandalo!] su un manifesto affisso in uno studio medico di Savona e finito nel mirino dell’Arcigay locale. Un brano tratto dal volume di Luca Di Tolve ‘Ero gay’ accompagnato da una didascalia che suggerisce di rivolgersi alla comunità terapeutica di Brescia, Lot, per ‘guarire’ dall’omosessualità.
Omosessualità che, dopo il caso del paziente gay “bullizzato” da un medico dell’ospedale Cotugno di Napoli, viene ancora una volta interpretata come una patologia. “Su segnalazione di una cittadina che si riteneva offesa dal manifesto – spiega all’Adnkronos il presidente dell’Arcigay Savona Mirko Principato – mi sono recato nello studio medico per fare una verifica [lo psico-poliziotto] e ho trovato affisso alla parete il testo abominevole che promuove la guarigione tramite terapie che avvengono nel bresciano”...
“Da qui la decisione di presentare un esposto all’Ordine dei Medici “affinché prendesse provvedimenti contro il medico” [“Subito! Immediatamente! Lo ordina l’Arcy-pede! Il vostro padrone!] Peccato, però, che dallo scorso 20 dicembre non ci sia stato alcun riscontro. “Per questo abbiamo deciso di denunciare la vicenda pubblicamente – aggiunge Principato – ci auguriamo che l’Ordine intervenga con delle sanzioni contro il medico e ribadisca che l’omosessualità non è una malattiaprendendo provvedimenti disciplinari contro chi avalla la teoria della guarigione”.
“E’ un fatto gravissimo, una violenza su cui è urgente intervenire – gli fa eco il segretario nazionale di Arcigay Gabriele Piazzoni [interviene l’Inquisizione Nazionale: tremate medici!] – si tratta di persone che tentano di convincere altre persone, clinicamente sane, di essere affette invece da una patologia, per poi lucrare sulla fantomatica ‘cura’”. “Questo è un raggiro che si compie sulla pelle delle persone più fragili, infierendo sulle loro insicurezze e costringendole a reprimere i propri istinti e i propri sentimenti – prosegue – Non c’è nulla di più grave di un medico che diagnostica ai pazienti malattie che non esistono”.
“L’Ordine non fa alcuna discriminazione tra i pazienti“, riferisce all’Adnkronos il Presidente dell’Ordine dei Medici di Savona Luca Torti, garantendo che l’esposto presentato “verrà esaminato a breve dal Consiglio” che “deciderà se aprire o meno un procedimento disciplinare nei confronti del collega”.
12 gennaio 2018
Fin qui la notizia.
Ora, in un mondo normale, questo comportamento dei sodomiti militanti sarebbe giudicato per quel che è: la arrogante violazione di alcune delle più importanti libertà. Dalla libertà di stampa, di pensiero, d’opinione, alla libertà di un medico di proporre una cura – senza imporla. Del resto loro lo sanno benissimo, di fare un sopruso e una violazione: ma puntano sul potere di sopraffazione che han dato loro lo Stato e il governo, i “diritti”, la “società aperta” e l’ONU. In un mondo rovesciato, dove vige il loro totalitarismo, costoro fanno violenza, si attivano in delazioni, esigono “punizioni”. Si aggiunga la particolare malvagità oscurantista di voler sopprimere anche la conoscenza di una possibile terapia per quegli omosessuali che soffrono la loro situazione.
Troppe volte si è ripetuto – rischiando la galera- che l’omosessualità è un grave disturbo, che provoca profonda sofferenza in chi ne è affetto. Tanto è vero che questi soggetti tendono a suicidarsi 10 volte più dei normali:
Troppe volte si è ripetuto – rischiando la galera- che l’omosessualità è un grave disturbo, che provoca profonda sofferenza in chi ne è affetto. Tanto è vero che questi soggetti tendono a suicidarsi 10 volte più dei normali:
Anche i sodomiti che si sono “sposati” in nozze-gay si suicidano tre volte più degli sposati etero.
Sono soggetti il doppio a depressione con pensieri suicidari, rispetto ai normali ; il doppio soggetti ad alcolismo e tossicodipendenze e “sesso a rischio”, ovviamente in relazione al loro “stile di vita”. Non occorre dire che un “gay” incorre nella vita molte volte in qualcuna delle infezioni sessuali, gonorrea, clamidia, sifilide, herpes simplex, papilloma; tumori opportunistici ano-rettali. E ovviamente, l’AIDS, continuamente in crescita fra la comunità.
Soffrono con più frequenza di malattie cardiovascolari, cancro, incontinenza, disfunzione erettile, allergie e persino asma.
Una vita di desolazione e solitudine
Ma soprattutto, soffrono di invincibile, tragica, squallida solitudine. E tutto questo, ormai, non è più – come credono i militanti – a causa dei “pregiudizi” e della “repressione” che subiscono nella società. Ormai, l’accettazione sociale delle coppie omosessuali è diffusa; anche i genitori li accettano; possono esibire la loro “preferenza”, andare alle loro feste, godere della massima libertà di vita. Eppure:
“un tempo il tipico carattere del maschio gay era la solitudine che veniva dal nascondersi. Ma oggi abbiamo milioni di maschi gay usciti allo scoperto, eppure sentono lo stesso isolamento”, dice Travis Salway un ricercatore del Canadian Center for Disease Control che da cinque anni cerca di capire come prevenire l’altissimo tasso di suicidi. Ne parla a Michael Hobbes, un giornalista di Huffington Post, un gay di 34 anni; il quale ha l’intelligenza e la sensibilità di porre e sé stesso, ed agli altri della comunità, la domanda: come mai sono ancora così infelice, nonostante sia libero e accettato?
Da leggere il suo ben documentato, dolorosamente sincero articolo sulla “Epidemic of Gay Solitude” tiotolo “Together Alone” – “Soli anche insieme”:
“Paul”, uno di quelli che intervista, racconta quando fece “coming out” , a 17 anni, cercò i primi amici nella comunità gay. “Non ho trovato un posto per me nella scena gay. Volevo innamorarmi come le coppie etero fanno al cinema. Ma mi sono sentito trattato come un pezzo di carne. Ho avuto persino paura di percorrere quella strada dei gay”.
“Esci dalla casa di mamma e approdi in un club gay dove i più sono sotto droga, e ti dici: è questa la mia comunità? E’ come la fottuta giungla là fuori”.
“Tu cresci con tutta la solitudine addosso, poi arrivi a Castro o Chelsea a Booystown [quartieri con locali queer] credendo che sarai finalmente accettato per quel che sei, e scopri di colpo che non è per la tua omosessualità che vieni rifiutato; ma per il tuo peso, la tua razza, il tuo reddito”.
L’ambiente “gay” è tutt’altro che solidale: è spietato. Nelle loro “feste” e party e incontri, i gay si odiano, si offendono, si vilipendono, si dilaniano.
“I maschi gay non sono davvero carini l’uno con l’altro”, conferma John, guida turistica di New York. “Nella cultura pop, le drag queen sono famose per far abbassare la cresta e deridere. Ma la cattiveria è quasi patologica. Tutti noi siamo stati profondamente a disagio, o abbiamo mentito a noi stesi, durante la nostra adolescenza. Ma non lo mostriamo agli altri. Così mostriamo agli altri gay quello che il mondo mostra a noi, ossia la malignità”.
“Una volta arrivo ad un appuntamento [per un incontro sessuale] – ricorda Michael Hobbes, il giornalista – e immediatamente il tizio si alza, mi dice: “Sei più basso di quello che sembravi nella foto”, e se ne va. Alex, un insegnante di ginnastica, si è sentito dire da un compagno: “Ignorerò la tua faccia se mi scopi senza il condom”. Martin, un inglese che vive a Portland, aveva messo su forse cinque chili, e dal suo amante ha ricevuto un messaggio, a Natale: “Una volta eri sexy, che schifo sei adesso”. “Tutti quelli che conosco hanno nella memoria volumi di ricordi di quelle cose cattive che altri gay hanno detto e fatto loro”.
E riflette: “Per altri gruppi minoritari, vivere in una comunità di gente come loro – fra negri per esempio o ebrei – abbassa i livelli di ansia e depressione. Ci si sente vicini a persone che istintivamente ti capiscono. Per noi invece, l’effetto è l’opposto. Molti studi hanno dimostrato che vivere in un quartiere gay comporta più alti tassi di tossicodipendenza e sesso rischio…anche nelle relazioni romantiche sono meno soddisfacenti”.
“I maschi gay e bisessuali confessano che la comunità gay è una grave fonte di stress. La ragione è che la “discriminazione intra-gruppo” danneggia la loro psiche più che essere rifiutati da membri della maggioranza. Non hai bisogno dell’approvazione di quelli. Ma essere rifiutato e umiliato da altri omo è come perdere il solo modo di avere amici e di trovare amore. Essere messo da parte dalla tua gente ti fa più male.
Gli studi condotti dal professor John Pachankis, della Yale Public Health Institute, hanno trovato una “spiegazione” (se così si può dire) paradossale: i sodomiti in gruppo si comportano malignamente gli uni con gli altri, perché sono tutti maschi; e vogliono sovrastare gli altri con la loro mascolinità. “Ciò spiega lo stigma contro gli effeminati nella comunità gay”. Dunque gli omosessuali scherniscono e disprezzano le “femmine” tra loro? Nelle indagini, “i maschi gay dicono che vogliono mettersi con uno mascolino, e che vorrebbero agire in modo più maschile loro stessi”. E come mai?
Risposta: “Forse è omofobia interiorizzata: i gay effeminati sono ancora trattati come “culi” [bottoms], il partner ricevente nel sesso anale”.
I gay “maschi” scherniscono le “femmine”
Dunque: non in Italia dove l’Arcy-Gay garantisce la sanità, normalità psichica e felicità degli omo, ma nell’America super-liberata, gli omo “maschi” insultano le “femmine”. Non è poi così strano, dicono gli studi condotti nel 2015: nel loro immaginario erotico, sognano rapporti un maschio-maschio, possibilmente irsuto. Ovviamente non ne trova poi tanti nell’ambiente (purtroppo i maschi villosi e rudi sono per lo più etero), da qui la continua insoddisfazione nei rapporti sessuali, il disprezzo; e inoltre, per aumentare il proprio sex-appeal nell’ambiente, “ostentano maschilità”. Lo confessa uno degli intervistati, “Martin”: “Quando ho fatto coming out, ero troppo magro e delicato, tanto che temevo che i “culi” potessero pensare che ero una di loro. Per cui ho cominciato a fingere tutto quel mio comportamento iper-mascolino. Ancor oggi quando ordino un drink abbasso di un’ottava la mia voce”.
“Il senso di distanza dagli altri non andava via”, dice un altro, “così l’ho curato col sesso. Un sacco di sesso, la risorsa più abbondante nella comunità gay. Ti convinci che se fai sesso con qualcuno, hai un momento di intimità. Era una stampella.…a volte con due o tre tizi alla volta. Appena chiudevo la porta sull’ultimo tipo, pensavo: questo non ha fatto centro, proverò con un altro”.
I gay femminili sono a rischio di suicidio ancora più alto degli altri, perché vengono trattati con il disprezzo e lo scherno più insultante, dopo il rapporto sessuale, dai “maschi”.
“Elder, il ricercatore di stress post-traumatico, in una indagine del 2015 ha scoperto che il 90 per cento di noi hanno detto che volevano un partner che fosse: alto, giovane, bianco, muscoloso e mascolino. Per la maggior parte di noi che a malapena adempiono ad uno di questi criteri, e non parliamo di tutti i cinque, le occasioni d’incontro via social app forniscono solo il modo più efficiente per sentirci brutti”, dice il giornalista. La malvagità e crudeltà con cui i gay si rigettano l’un l’altro mentre si “usano” è parte di un comportamento che essi credono “maschio” (si sa, i maschioni sono bruti); mentre ignorando tutto della virilità, non sanno che nessun uomo al primo appuntamento con una donna le direbbe mai: “Sei bassa, ti credevo più alta”, e se ne va. Ignorano che la virilità conosce la gentilezza, può permettersi di essere educata e cortese senza avere il complesso di essere vista come “effeminata”.
“Viviamo attraverso gli occhi degli altri”, dice Alan Down, psicologo, autore Velvet Rage, un libro sulla “lotta dei gay contro la vergogna e la validazione sociale”: “Vogliamo avere uomo dopo uomo, più muscoli, più “status” [fra gli altri sodomiti], qualunque cosa ci dia più conferma di noi stessi, sempre fuggevole e breve. Poi ci svegliamo a 40 anni, esausti, e ci chiediamo: è tutto qui? Allora viene la depressione”:
Un inferno di spietata sopraffazione
Che non è colpa della “società etero”, ma di come i gay vecchi sono trattati dai giovani gay: loro non hanno remore politicamente corrette per annichilire quelle che chiamano “vecchie checche”, che si tingono e implorano un po’ di sesso”. Va via, brutto e rugoso, eccetera.
Il giornalista Hobbes ha l’onestà di concludere: anni fa, “ci dicevamo: appena passa l’epidemia di AIDS, la nostra vita diventa normale. Poi: quando avremo il matrimonio, tutto si sistema. Ora: quando obbligheremo gli altri a smettere di giudicarci male, tutto andrà a posto. Continuiamo ad aspettare il momento quando sentiremo che non siamo diversi dall’altra gente. Ma il fatto è che siamo diversi. E’ ora di accettarlo”.
Consiglio di leggere l’intero lunghissimo articolo, per avere un’idea della infelicità e sofferenza dell’essere “allegro”. La vita dei gay è un inferno patologico, un inferno che in gran parte si procurano l’un l’altro schernendosi, giudicandosi e disprezzandosi, dominandosi e dilaniandosi, senza un’ombra di pietà e di comprensione. Ora, se qualcuno di loro decide di tentare di uscire da questo inferno, l’Arci Gay poliziescamente sorveglia che ciò non avvenga, censura i manifestini che la propongono, denuncia il medico che li ha affissi (e non ha “imposto” nulla, solo silenziosamente proposto). Che dire di questo atteggiamento? Nell’aldilà, insegnavano i vecchi parroci, le anime dannate che si scherniscono e deridono mentre urlano di dolore, non vogliono che si preghi per la loro salvezza; aumenta soltanto la loro sofferenza. Ma qui, dall’inferno si può uscire. Solo che Arci non vuole.
(Chiudo con una notizia dalla Francia):
“L’omosessualità è un abominio”: la condanna di Christine Boutin annullata in Cassazione”.
Christine Boutin è una politica di area democristiana. Nell’aprile 2014, in una intervista, disse che “l’omosessualità è un abominio”. Trascinata in giudizio da tre associazioni LGBT che si sono costituite anche parte civile, è stata condannata una prima volta dal tribunale di Parigi, il 18 dicembre 2005, per “provocazione pubblica all’odio e alla violenza”. Lei ha fatto appello, ed è stata di nuovo condannata il 2 novembre 2016. Nuovo appello, i suoi persecutori l’hanno portata fino in Cassazione. A loro sorpresa, la Cassazione ha annullato le condanne precedenti, con la motivazione che “anche se le parole incriminate sono oltraggiose, esse non contengo un appello o una esortazione alla violenza”.
Ovviamente le associazioni persecutrici hanno “deplorato” la sentenza di annullamento. Uno dei loro avvocati ha riconosciuto: se avessimo agito contro l’ingiuria, la Boutin sarebbe stata condannata, perché la Cassazione ha riconosciuto che chiamare l’omosessualità “abominio”. Ora sappiamo: se qualcuno osa dire di nuovo la stessa cosa, sulla base dell’insegnamento della Cassazione noi perseguiremo per ingiuria”.
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