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venerdì 5 gennaio 2018

“Manca solo Bagonghi”: editoriale di Marco Travaglio


(pressreader.com) – di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano del 5 gennaio – 
Ultime notizie dal Circo Barnum. Siccome Emma Bonino non voleva raccogliere le 400 firme per ogni circoscrizione previste dalla legge elettorale per tutte le nuove liste (compresa la sua “+Europa con Emma Bonino”) e minacciava il Pd di correre da sola, e il Pd si era offerto di raccoglierle al posto suo aggirando il Rosatellum scritto dallo stesso Pd (una lista che raccoglie firme per un’altra), ora la Bonino non dovrà più raccogliere firme perché la sua lista non si chiama più “+Europa con Emma Bonino”, ma “+Europa con Emma Bonino – Centro democratico”, grazie al pronto intervento in suo soccorso di Bruno Tabacci, il quale le presta il suo simbolo (“Centro democratico”) che, essendo vecchio come il cucco, è esentato dalle firme e dunque, per contagio, esenta anche quello nuovo della Bonino (che non è più nuovo, ma seminuovo o semivecchio). Il fatto che Tabacci sia un cattolicone, un democristiano peripatetico, ex Dc, ex Ccd, ex Udc (centrodestra, alleato per 7 anni di Berlusconi, An e Lega), ex Rosa Bianca, ex Rosa per l’Italia, ex Alleanza per l’Italia, ex assessore della giunta Pisapia (Rifondazione comunista), ex candidato alle primarie del centrosinistra, ex cofondatore del Centro democratico, ex candidato alle Europee per Scelta europea (Centro), ex Campo Progressista di Pisapia (sinistra), e che la Bonino sia una radicale antidemocristiana, anticomunista, ultraliberista, laicista, abortista, eutanasista aggiunge un tocco clownesco alla strana coppia e rende avvincente la stesura del programma (sempreché la lista non ne presenti uno per “+Europa” e un altro per “Centro democratico”)...

Intanto, per evitare lo spiacevole fastidio di dover rispettare il Rosatellum da lei votato, la ministra Beatrice Lorenzin, leader della neonata Civica Popolare (l’altra travolgente lista alleata del Pd), pensa bene di appiccicarsi da qualche parte il vecchio simbolo della Margherita, fondata nel 2002 da Francesco Rutelli. Il quale ha però comunicato che il marchio margheritico non è a disposizione di una che nel 2008 era deputata e leader di FI nel Lazio, alleata di Alemanno che divenne sindaco proprio contro Rutelli; e nel 2013 fu rieletta col Pdl, per passare di lì a poco a un partito chiamato fino all’altroieri Nuovo Centrodestra, dunque lievemente incompatibile col centrosinistra. Lei risponde che la Margherita è del suo socio Lorenzo Dellai, che la usò per primo in Trentino. Rutelli risponde: allora usàtela in Trentino e basta. Ma Dellai vanta un presunto copyright anche sul Centro democratico di Tabacci, e sono soddisfazioni.
Ora, i trasformismi pagliacceschi di un Tabacci e di una Lorenzin non fanno più notizia: ci si meraviglierebbe della loro coerenza. Invece la Bonino ha deciso di rinunciare a quel minimo di reputazione e serietà fin qui conservato, malgrado una vita passata a ballare con tutti e col contrario di tutti per restare sempre a galla, da quando entrò in Parlamento nel 1976 per non uscirne praticamente più (8 legislature in Italia e 3 in Europa). Nel ’94, per dire, fu eletta con FI appena fondata da B., Dell’Utri e Previti, e ne rimase alleata, fra alti e bassi (compresa la nomina a commissario Ue), fino alla rottura del 2006. Allora passò armi e bagagli al centrosinistra, anche se continuò a pensarla come B. su vari temi cruciali: deregulation del mercato del lavoro, con tanti saluti allo Statuto dei lavoratori; plauso alle guerre camuffate da “missioni di pace” in ex Jugoslavia, Afghanistan e Iraq; separazione delle carriere fra giudici e pm, amnistia, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità civile delle toghe e niente autorizzazioni all’arresto di parlamentari accusati di gravi reati: perfino per Cosentino, imputato per camorra. Infatti ancora nel 2005, alla vigilia della rottura, la Bonino dichiarava di “apprezzare ciò che Berlusconi sta facendo come premier” (una legge ad personam via l’altra) e cercava disperatamente un accordo con lui. Sfumato il quale, scoprì all’improvviso i vizi del Caimano e le virtù di quelli che fino al giorno prima chiamava “komunisti” e “cattocomunisti”. E nel 2007 pensò bene di prendersela con Gino Strada, accusandolo di trescare con i talebani col suo “atteggiamento ambiguo, tra l’umanitario e il politico, che si può prestare a qualunque illazione”, perché “scientemente o incoscientemente – che sarebbe ancora peggio – finisce per giocare un ruolo che è sempre un ruolo ambiguo, tra torturati e torturatori” (Ansa, 9.4.07). Infatti lei, per evitare ambiguità fra torturati e torturatori, non disse mai una parola su Abu Ghraib e Guantanamo.
Intanto, da entrambi i forni – destra e sinistra – collezionava tante poltrone che nemmeno Divani&Divani: deputata, senatrice, europarlamentare, commissario europeo, vicepresidente del Senato, ministro degli Affari europei con Prodi e degli Esteri con Letta. E si candidava a quasi tutto: alla presidenza della Repubblica, del Consiglio, della Camera, della Regione Piemonte e della Regione Lazio, nonché a rappresentante dell’Onu per i rifugiati e per l’Iraq. Ultimamente sparava a palle incatenate contro la politica del Pd sull’immigrazione: prima svelava che era stato il governo Renzi “a chiedere che gli sbarchi avvenissero tutti in Italia, violando di fatto Dublino”, in cambio di un po’ di flessibilità sui conti; poi accusava Minniti di violare i diritti umani e di chiudere gli occhi sullo “scempio di vite umane, gli abusi, le violenze più atroci perpetrate nei lager libici”. Ora si allea col Pd di Renzi e di Minniti e, da vera radicale, fa una lista con un vecchio democristiano che potrebbe tranquillamente chiamarsi “Atei Cattolici”, ma anche “Vegani Carnivori”. Il programma lo scrive il nano Bagonghi.----

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