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All’ingresso della buvette, compare Piero De Luca, primogenito di Vincenzo, in un capannello di parlamentari campani. Siparietto: “Stai già familiarizzando con il Palazzo?”. Risposta: “Lo prendo come un augurio…”. Affianco Tino Iannuzzi sorride: “È molto, molto probabile che verrà qui”. Figuriamoci se non lo eleggono, il figlio di Vicienzo: è la sua prima richiesta. L’altra è Franco Alfieri, l’uomo delle clientele organizzate “come Cristo comanda”: “Franco – disse De Luca nella famosa riunione con 300 amministratori – vedi tu come madonna devi fare. Offri una frittura di pesce, portali sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu! Ma non venire qui con un voto in meno di quello che hai promesso!”.
Imputato per bancarotta fraudolenta De Luca jr, indagato per abuso e peculato Alfieri, diventato nel corso della campagna per il referendum uno dei simboli di un sud eternamente uguale a se stesso, clientele e capibastone, voto organizzato e potere ostentato...
La richiesta è di posti sicuri, blindati, in questa campagna in cui più nulla è sicuro, neanche i feudi del sistema De Luca. Entrambi vogliono il proporzionale, perché anche il collegio di Salerno, dove trionfò il No al referendum è incerto. Un parlamentare mostra il suo telefonino, dove ci sono i numeri di un sondaggio in Campania: “35 M5s, 25 Forza Italia, 17 Pd”. Il che significa che i collegi sono tutti incerti. In Campania, ma un po’ ovunque. Michele Anzaldi fotografa la situazione, parlando con un collega: “Qua sono tutti in attesa di sapere che fine fanno e la campagna è ferma, ancora non parte”.
Dove non sono incerti, i posti non bastano a salvare tutti, perché ci sono gli alleati da tutelare, gente che alle scorse elezioni correva sotto le insegne del centrodestra. Enzo Lattuca, parlamentare romagnolo, è sconfortato: “Da noi a Rimini ci buttano Pizzolante, in quota Lorenzin. E menomale che a Cesena è saltata la Bianconi, sennò ci potevamo chiamare Ncd… Siamo uno dei pochi posti che elegge perché siamo dieci punti sopra la media nazionale”. Sono le zone rosse, dove ancora esistono le sezioni pieni di cimeli: foto di Berlinguer, pagine dell’Unitàincorniciate, qualche bandiera rossa, la militanza che faceva campagne contro la Dc prima, contro il centro-destra poi. Adesso a Bologna il Pd dovrà eleggere Pier Ferdinando Casini, rampollo democristiano, presidente della Camera berlusconiano. È pressoché ufficiale, dopo che il segretario della federazione ha incontrato ieri Renzi al Nazareno: sarà candidato al collegio di Bologna per il Senato. Qualcuno, sul territorio, ha pubblicato sul web un post di Renzi del 2012: “Se vince Renzi, no a Casini”. Sussurra un parlamentare del Pd: “È ovvio che per molti dei nostri è complicato, soprattutto perché dall’altra parte c’è Bersani. Forse era meglio catapultare un centrista meno conosciuto, piuttosto che uno che, nella vita, è sempre stato dall’altra parte rispetto a noi”
La quota centrista, chiamiamola così, o degli ex centrodestra, o riciclati, è sinonimo di rivolta della base. E di malessere tra i parlamentari Pd. Raccontano i calabresi che “a Crotone c’è un grande casino attorno alla candidatura di Dorina Bianchi”, una record-women delle migrazioni partitiche. Nata politicamente nell’Udc, passò alla Margherita, dunque aderì al Pd, per poi lasciarlo per tornare nell’Udc perché “la sua bandiera non è l’antiberlusconismo”. Un anno dopo, le foto la immortalano come candidata del Pdl a sindaco di Crotone, al fianco di Silvio Berlusconi. Era il celebre comizio in cui il Cavaliere ruppe con l’Udc e scivolò, si far per dire, sulla famosa gaffe degli elettori di sinistra che “non si lavano”. Oggi è sottosegretaria con Alfano, seguito nella scissione, e in ottimi rapporti con la Boschi. Roba che i calabresi invidiano i compagni bolognesi: “A confronto Casini pare Adenauer”.
A un certo punto in Transatlantico arriva Matteo Orfini. Tempo di percorrenza di venti metri, almeno venti minuti. I parlamentari lo avvicinano, chiedono rassicurazioni sulle liste, anime in pena in attesa di conoscere se sono nella categoria “salvati” o “sommersi”: “Scusa Matteo, ma qua non si capisce nulla. Renzi non risponde neanche agli sms”. Professionista della politica, il presidente del Pd resta abbottonato perché sa che è ancora lunga. Sul territorio è un inferno. In Sicilia, per dirne un’altra, c’è una rivolta sulla candidatura della figlia dell’ex ministro Totò Cardinale, il cui movimento Sicilia futura, schierato col centrosinistra, è diventato negli ultimi anni, la calamita che attrae ceto politico di centrodestra. Addirittura la federazione di Caltanissetta ha scritto una lettera in cui minaccia di “manifestare il proprio dissenso” a Roma e di “disimpegnarsi” davanti a una candidatura “dinastica”.
Ecco un sorriso nel Palazzo, quello di Nunzia De Girolamo, Forza Italia: “Sì, sì, tutto a posto. Io capolista a Bevenento-Avellino, Mara a Napoli. Bisogna ancora vedere gli uninominali”. Lì, le certezze diminuiscono, e non solo in Campania. Arrivano notizie che Fitto e Cesa hanno appena incontrato Berlusconi. E la trattativa con la “quarta gamba” sta andando male. Dice un parlamentare informato: “Oggi ci hanno offerto 13 posti, su 30 che ne avevamo chiesti. E su questa base non ci stiamo e Cesa ha minacciato che corriamo da soli. Il punto che è Salvini vuole accollarsene solo 13 e vuole che gli altri se li prenda a carico Berlusconi”. Andrà avanti così, per giorni fino alla presentazione delle liste, tra minacce, tensioni, ansie, di chi ha il destino nelle proprie mani e di chi è appeso a decisioni altrui. A fine giornata, Cosimo Latronico, fittiano, allarga le braccia: “E che ti devo dichiarare? Che Dio ci assista. Ecco, che Dio ci assista”.---
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