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mercoledì 30 marzo 2016

di Thierry Meyssan - Il movente degli attentati di Parigi e di Bruxelles

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Nel 2011, Alain Juppé per la Francia e Ahmet Davutoğlu per la Turchia decidevano segretamente di creare un Sunnistan a cavallo tra l’Iraq e la Siria (questa sarà la funzione di Daesh) e uno pseudo-Kurdistan al fine di espellere i curdi dalla Turchia. Il loro progetto è stato sostenuto da Israele e dal Regno Unito.
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| Damasco (Siria)

Non sappiamo ancora chi sia stato il mandante degli attentati di Parigi e Bruxelles. Diverse piste sono state esposte. Tuttavia, solo l’ipotesi di un’operazione decisa dalla Turchia riesce oggi a reggere. Thierry Meyssan racconta il conflitto segreto che tormenta le relazioni tra l’Unione europea, la Francia e la Turchia da cinque anni in qua. È troppo presto per identificare con certezza il mandante degli attentati che hanno colpito Parigi il 13 novembre 2015 e Bruxelles il 22 marzo 2016. Tuttavia, per il momento, solo gli elementi che andremo ad esporre ne forniscono una spiegazione ragionevole.

Subito dopo la morte del fondatore dell’islamismo turco, Necmettin Erbakan, e allorquando era appena iniziata la "primavera araba", il governo Erdoğan stipulò un accordo segreto con la Francia. Secondo un diplomatico che ha studiato questo documento, esso fissa le condizioni della partecipazione della Turchia alle guerre contro la Libia (che era appena iniziata) e contro la Siria (che sarebbe seguita). La Francia, rappresentata dal suo ministro degli Esteri Alain Juppé, si impegna espressamente a regolare la "questione curda" senza "minare l’integrità del territorio turco"; una formula contorta per dire che si sarebbe creato allora uno pseudo-Kurdistan e che vi sarebbero stati espulsi i membri del PKK. Questo progetto di pulizia etnica, che non è nuovo, era stato fin lì evocato esclusivamente nella letteratura militare israeliana che descriveva il nuovo Stato a cavallo tra la Siria e l’Iraq.

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Il 31 ottobre 2014, François Hollande accompagna Recep Tayyip Erdoğan sui gradini dell’Eliseo. Un altro ospite è appena uscito con discrezione dalla porta sul retro, il curdo Salih Muslim.
Il 31 ottobre 2014, il presidente François Hollande coglie l’occasione di una visita ufficiale di Recep Tayyip Erdoğan a Parigi per organizzare un incontro segreto all’Eliseo, con il co-presidente dei curdi di Siria, Salih Muslim. Quest’ultimo, tradendo i curdi della Turchia e il loro leader Abdullah Öcalan, accetta di diventare il presidente dello pseudo-Kurdistan che dovrebbe essere creato una volta rovesciato il presidente democraticamente eletto Bashar al-Assad.
È il momento della battaglia di Kobane. Per diversi mesi, i curdi siriani difendono la città di fronte a Daesh. La loro vittoria contro i jihadisti rovescerà la scacchiera politica: se davvero si vuole combattere i jihadisti occorre allearsi con i curdi. Tuttavia, i curdi siriani hanno ottenuto la nazionalità solo all’inizio della guerra, fino a quel momento erano rifugiati politici turchi in Siria, cacciati dal loro paese durante la repressione degli anni 80. Gli Stati membri della NATO consideravano allora il PKK, la principale formazione curda della Turchia, come un’organizzazione terroristica. Ormai vanno a distinguere il PKK turco cattivo dall’YPG siriano buono, benché le due organizzazioni siano sorelle.
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Dopo la battaglia di Kobane, François Hollande cambia di campo e rimarca il suo sostegno ai curdi con il ricevere all’Eliseo, l’8 febbraio 2015, una delegazione dell’YPG.
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Colpo di scena, l’8 febbraio 2015, la Francia torna al suo precedente impegno. François Hollande riceve all’Eliseo, ufficialmente questa volta, il co-presidente dei curdi della Siria fedeli a Öcalan, Asya Abdullah, e la comandante Nesrin Abdullah in uniforme leopardata. Salih Muslim è assente dalla riunione.
Erdoğan risponde sponsorizzando un attentato di Daesh a Suruç contro una manifestazione filo-curda, il 20 luglio 2015. Impadronendosi della retorica occidentale antiterrorista, dichiara allora guerra sia a Daesh sia ai curdi, ma utilizza i suoi mezzi militari solo contro gli ultimi. Così facendo, mette fine al cessate il fuoco e rilancia la guerra civile nel proprio paese. Senza uno pseudo-Kurdistan in Siria, provocherà l’esodo dei curdi verso l’Europa....
Il 3 settembre 2015, la pubblicazione della fotografia di un bambino curdo annegato mette il segno sull’inizio di una vasta ondata migratoria dalla Turchia verso l’Unione europea, soprattutto verso la Germania. Durante le prime settimane, i leader tedeschi si rallegrano di questo massiccio afflusso di nuovi lavoratori di cui la loro industria pesante ha un grande bisogno, mentre i media esprimono la loro compassione per i profughi in fuga dalla dittatura siriana. Inoltre, il 29 settembre, i dirigenti francesi e tedeschi hanno approfittato dell’empatia verso i migranti per studiare la possibilità di sovvenzionare la continuazione della guerra con il versamento di 3 miliardi di euro alla Turchia; un dono che sarà presentato all’opinione pubblica come un aiuto umanitario per i rifugiati.
Alla fine di settembre 2015, la Russia ha iniziato la sua operazione militare contro i jihadisti di tutte le bande. Erdoğan vede così svanire il suo progetto. Spinge allora Salih Muslim a lanciare un’operazione di curdizzazione forzata del nord della Siria. Alcune brigate curde espellono dalle scuole gli insegnanti arabi e assiri e li rimpiazzano con insegnanti curdi. I siriani si ribellarono e si appellano ai russi che calmano la situazione, non senza evocare una possibile ulteriore federalizzazione della Siria. La Francia è un utente non raggiungibile.
Il 13 novembre, la Turchia esasperata dalle giravolte di François Hollande prende la Francia in ostaggio e sta dietro agli attentati a Parigi, che causano 130 morti e 413 feriti.
Ho scritto allora: «I governi francesi che si sono succeduti hanno stretto alleanze con Stati i cui valori sono opposti a quelli della Repubblica. Si sono progressivamente impegnati a combattere guerre segrete per loro, prima di ritirarsi. Il presidente Hollande, il suo capo di stato maggiore particolare generale Benoit Puga, il suo ministro degli Esteri Laurent Fabius e il suo predecessore Alain Juppé sono ora oggetto di ricatto al quale non si possono sottrarre se non rivelando in cosa hanno invischiato il paese». [1]
Terrorizzata, Parigi torna precipitosamente al piano Juppé del 2011. Con Londra, fa adottare il 20 novembre la risoluzione 2249 del Consiglio di Sicurezza. Con la scusa di combattere contro Daesh, si tratta di giustificare la conquista della Siria settentrionale per creare, finalmente, questo pseudo-Kurdistan, dove Erdoğan potrà espellere i "suoi" curdi. Ma gli Stati Uniti e la Russia ritoccano leggermente il testo in modo che la Francia e il Regno Unito non possano intervenire senza essere invitati dalla Siria; una situazione che non manca di ricordare l’operazione coloniale fallita nel 1956, quando le truppe franco- britanniche tentarono di occupare il Canale di Suez, con il sostegno di Israele e Turchia, ma dovettero ritirarsi di fronte alle facce accigliate di USA e URSS.
Durante i cinque mesi e mezzo dell’intervento russo in Siria, le relazioni turco-russe non hanno smesso di deteriorarsi. L’attentato contro il volo 9268 Metrojet nel Sinai, le accuse di Vladimir Putin al vertice del G20 di Antalya, la distruzione del Sukhoi-24 e le sanzioni russe contro la Turchia, la pubblicazione di fotografie aeree delle autocisterne che trasportavano il petrolio rubato da Daesh attraverso la Turchia, ecc. Dopo aver considerato di andare in guerra contro la Turchia, la Russia decide finalmente di giocare in modo più sottile e di sostenere il PKK contro l’amministrazione Erdoğan. Sergei Lavrov convince il suo partner statunitense ad approfittare dell’incombente destabilizzazione della Turchia per organizzare un rovesciamento del dittatore Erdoğan. Il regime turco, che sa di essere minacciato sia dalla Russia sia dagli USA, sta cercando di riguadagnarsi qualche alleato. Il primo ministro Ahmet Davutoğlu si reca il 5 marzo a Teheran, mentre il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, si muove ad Ankara il 18 marzo. Ma la Repubblica islamica non ha intenzione di litigare con le superpotenze.
Il 14 marzo, Putin annuncia il ritiro dei bombardieri russi, il progetto di pseudo-Kurdistan ridiventa quindi possibile. Ma Mosca e Washington si prendono una mossa di vantaggio: cominciano a fornire indirettamente armi al PKK.
Per malasorte, stavolta è l’Unione europea a non voler più sentire parlare di colonizzazione del Nord della Siria. La maggioranza degli Stati membri segue la politica estera imposta da Parigi da cinque anni, con la mancanza di successi che conosciamo. Per marcare il loro nervosismo, diversi Stati, tra cui il Belgio, hanno concesso l’asilo politico ai leader curdi turchi. Manifestano il loro malumore al vertice UE-Turchia del 17-18 marzo, durante il quale sono costretti ad adottare definitivamente la concessione di 3 miliardi di euro annuali ad Ankara.
Ho denunciato allora il comportamento delle élites europee che, accecate dalla loro ossessione anti-siriana, riproducevano lo stesso errore del 1938. All’epoca, ossessionate dal loro anticomunismo, avevano sostenuto il cancelliere Hitler durante l’annessione dell’Austria e durante la crisi dei Sudeti (accordi di Monaco di Baviera), senza rendersi conto che stavano armando il braccio che andava a colpirli [2].
Durante il vertice UE-Turchia, e dunque in modo indipendente dalle decisioni che sono state prese lì, il presidente Erdoğan pronuncia un discorso televisivo per celebrare il centounesimo anniversario della battaglia di Çanakkale (la "Battaglia dei Dardanelli"; la vittoria dell’Impero ottomano sugli alleati) e in memoria delle vittime dell’attentato perpetrato ad Ankara pochi giorni prima. Tra l’altro dichiara:
«Non c’è alcuna ragione per cui la bomba che è esplosa ad Ankara, non esploda a Bruxelles o in un’altra città europea (...) Ecco, faccio appello agli Stati che aprono le loro braccia che, direttamente o indirettamente , sostengono le organizzazioni terroristiche. State accogliendo un serpente nel vostro letto. E questo serpente che voi nutrite vi può mordere in qualsiasi momento. Forse guardare le bombe che esplodono in Turchia sui vostri schermi televisivi non significa nulla per voi; ma quando le bombe cominceranno a esplodere nelle vostre città, capirete sicuramente come ci sentiamo. Ma allora sarà troppo tardi. Smettetela di sostenere attività che voi non tollerereste mai nel vostro proprio paese, tranne quando sono rivolte contro la Turchia» [3].
Quattro giorni dopo, degli attentati colpiscono Bruxelles, causando 34 morti e 260 feriti. E affinché non si pensi a una coincidenza, bensì a un atto deliberato, la stampa turca il giorno dopo si rallegrava della punizione inflitta al Belgio [4].
Da quando il presidente Erdoğan ha rilanciato la guerra civile, questa è costata la vita a oltre 3 500 persone in Turchia.
Traduzione
Matzu Yagi
Fonte

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